Una terra antica, intrisa di acque foriere per secoli di malaria e opera minuziosa, quasi di cesello, dei monaci cistercensi che qui cominciarono a delineare un progetto, come quello della mano sapiente che leviga la pergamena su cui altri avrebbero evocato miniature e narrazioni.
Siamo in provincia di Latina, provincia giovane e marginale; a poco più di cinque chilometri da Priverno, protetto da un filare di querce si erge il complesso abbaziale di Fossanova. Il nome richiama il lavoro dei monaci che, scavando dei fossi, riuscirono a bonificare fette sempre più ampie di terreno da destinare a coltivazione di piante ed erbe mangerecce.
Arrivare a Fossanova nei giorni feriali è come sollevare un velo di silenzio e pace. Riecheggiano lontani i rumori delle macchine agricole e nell’aria si sente il profumo antico e pungente degli sterpi dati alle fiamme. Superata la porta d’ingresso del complesso si resta per un attimo colpiti dall’eleganza essenziale della facciata della chiesa, splendido e forse primo esempio di gotico cistercense in Italia. Ma la magia o meglio, l’incantesimo si fa palpabile avvicinandosi e scoprendo particolari che la distanza e il colore caldo del travertino tendono a cancellare. Emergono la preziosa lunetta cosmatesca che sovrasta il portone d’ingresso, una volta protetto da un portico e l’ombra del primordiale rosone, ombra, appunto, dello splendido occhio che attualmente riversa luce nell’interno.
Varcare la soglia dell’edificio è come inoltrarsi in una dimensione altra. La luce piove dall’alto illuminando un interno spoglio, essenziale e ampio. Qui si pregava. Qui dei monaci sfidavano la scansione ordinaria del tempo per riunirsi a cantare lodi e avvicinarsi a quella presenza assente che pare riverberarsi negli scarni motivi decorativi. Pietra e solo pietra. E il tempo.
Fossanova va visitata con calma rinunciando, almeno inizialmente, allo schematismo delle guide turistiche. Difficilmente si incontra qualcuno in chiesa e la solitudine si fa perfetta nel chiostro o nell’ala dedicata a Tommaso d’Aquino, il “bue muto” che qui, dove morì, continua a bisbigliare.
Si cresce. Si cambia e cambiano le attese e si è indifesi agli sgambetti della memoria, eppure da Fossanova non sono mai tornato deluso o indifferente. Forse è qui, in questo silenzio spesso che su tutto incombe, che potrebbero emergere – o discendere – delle risposte. Forse è qui che anche solo per un istante si può abdicare e non smettere di percepire la nota continua della “mancanza”. In questo incontro fra l’alto e il basso, fra l’ispirazione e di manualità dove lo spirito si coagula in pietra.
I ricordi hanno modi peculiari per aggredire alle spalle: i miei hanno il profumo della cannella, quella che a ondate supera la porta socchiusa di un piccolissimo biscottificio che con molta discrezione attrae i turisti. Anche questo luogo è un’oasi di aromi perduti in cui i biscotti si possono ancora acquistare al pezzo e non inscatolati. Biscotti fragranti che sanno d’infanzia.
Natale Fioretto
Docente Univ. per stranieri di Perugia