10 Febbraio, Giorno del Ricordo. Dal 2004 e finalmente senza reticenze in Italia si ricordano la tragedia dell’esodo degli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia in seguito all’annessione delle loro terre alla Jugoslavia e agli accadimenti correlati: l’atrocità delle Foibe e l’epurazione “politica” da parte dell’esercito di Tito. Circa 300.000 Italiani pagarono un durissimo prezzo. Ricordare questo doloroso capitolo della storia italiana del ‘900 è un dovere.
Mio padre e mia madre portarono sempre nell’anima il lutto per la perdita della terra natia, la loro adorata Istria, dove non vollero mai più tornare neanche per una fugace visita. Soprattutto mio padre non si riebbe mai più dal trauma del crollo del proprio mondo e degli inauditi atti di ferocia di cui furono vittime tanti suoi amici, a Pisino, ad opera dei “liberatori” titini.
Questo fardello doloroso di memorie e di lutti è stato da loro trasmesso a me. La rinuncia forzata alla terra natale è la perdita di un qualcosa d’insostituibile che aiutava a dar senso all’assurdità della vita. Di qui un sentimento di “destino mancato” che hanno tanti esuli, soprattutto quelli che vivono all’estero.
Sconfitta, esodo, perdita della terra natale… Tali parole evocano negli italiani brani lirici, avvenimenti biblici, pagine di storia riguardanti popoli esotici. La parola “esodo”, per noi, non ha invece nulla di indeterminato, di vaporoso, di romantico. Esodo fu la nostra partenza di massa, con la perdita di una delle cose più preziose per l’uomo: il microcosmo che lo ha visto nascere e gli ha riempito l’anima di colori, suoni, sapori, che mai più ritroverà altrove.
La tragedia della nostra gente si consumò, in quei lontani giorni, nell’assenza d’ogni segno d’attenzione, di solidarietà, di simpatia, e senza la presenza dei riflettori, delle telecamere e delle cineprese, che invece illumineranno a giorno e riprenderanno per le platee del mondo, i sanguinosi scontri tra le etnie jugoslave, anni dopo.
L’Istria si svuotò. Anche l’anima venne strappata ai luoghi. I morti ingoiati dalle foibe sono morti per sempre. Forse è stata la superstizione balcanica di far morire con gli infoibati anche un cane nero ad aver sortito il suo effetto. Nessuno, niente più tornerà. L’estraneità dei luoghi fu suggellata per sempre in quei tragici giorni.
La morte delle foibe segnò l’agonia e la fine di un popolo. Questa morte avvenne nell’isolamento, nell’indifferenza, nel silenzio. Fu una morte solitaria, senza funerali, senza segni di lutto, senza cordoglio, senza riti di passaggio. Fu una morte, appunto per questo, che non è mai stata esorcizzata. Una morte rimasta per sempre in molti sopravvissuti, come purtroppo ho potuto constatare nella mia famiglia, nei miei genitori, in me stesso.
Il Presidente più amato dagli italiani, Pertini, non fece mai pericolose confusioni circa i martiri “Doc”. Quando andò a Trieste volle commemorare le vittime della Risiera di San Sabba. Silenzio assoluto invece per più di mezzo secolo sui nostri orti dell’Istria, sulle nostre case di pietra occupate da altri, e sullo sradicamento che è stato la peggiore tragedia che poteva toccare a noi, popolo non nomade ma profondamente attaccato alla terra, e popolo di una sola patria. Noi profughi per tanti anni siamo stati ignorati, oppure considerati moralmente come dei nazifascisti. L’avversione del comunismo ha impedito a molti di noi di restare in Italia. Ma, anche all’estero, nei consolati italiani risultavamo “nati in Jugoslavia”.
Poi i vicini dell’est si sono scannati. Il sangue è ripreso a scorrere. Le foibe hanno ripreso la loro funzione balcanica di carnai comuni. La Jugoslavia, paese costruito anche sul nostro sangue, si è disintegrata. Per noi le cose hanno ripreso il loro senso. Le nuove morti e il nuovo sangue ci hanno dato infine ragione.
E finalmente, oggi, la nostra tragedia è stata riconosciuta. Le tante iniziative a nostro favore, tra le quali il “Giorno del Ricordo”, su iniziativa dell’On. Menia, e i francobolli per onorare l’italianità delle terre perdute, dovuti all’On. Gasparri, hanno messo fine all’indifferenza e al silenzio nei nostri confronti.
Questi riconoscimenti sono tuttavia giunti dopo mezzo secolo d’indifferenza, troppo tardi per i miei genitori e per tantissimi altri, morti lontani dalle amate terre. Né possono dissipare in noi l’amarezza di tutta una vita.
Claudio Antonelli
Da Montréal (Canada)
ALCUNI LIBRI DI STORIA CHE LA REDAZIONE Altritaliani RACCOMANDA SUL TEMA:
Angelo Ara e Claudio Magris, Trieste – Un’identità di frontiera, I ed. 1982, tradotto anche in francese; Elio Apih, Trieste, 1988.
Raoul Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli, 2005.
Marta Verginella, Il confine degli altri: la questione giuliana e la memoria slovena, (L’altra metà della tragedia di una terra contesa), Donzelli Editore, 2008, prefazione di Guido Crainz
Enrico Miletto, Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo. Franco Angeli, Milano 2020
Oggi è il 10 febbraio, giornata della memoria per le vittime delle foibe. Che c’entra il 10 febbraio con le foibe? Assolutamente nulla. E’ la data della firma del trattato di pace (in particolare) con la Francia, la Jugoslavia e la Grecia, con le rettifiche territoriali (in particolare l’Istria e la Dalmazia) che provocarono la partenza di circa 200.000 giuliani. Una pagina molto dolorosa, ma che non sarebbe mai avvenuta senza l’invasione fascista in Jugoslavia del 1941. Da lì nacquero le prime foibe fasciste (si’, gli italiani sono stati i primi ad utilizzarle, e se ne vantavano con canzoncine sugli infoibati jugoslavi) e in seguito l’eccidio di molti giuliani, fascisti oppure no, come rappresaglia di guerra. Una tragedia che sicuramente non va dimenticata, ma che nulla ha a che vedere con il 10 febbraio 1947, quando l’Italia di De Gasperi liquidò le conseguenze delle guerre mussoliniane, tornando ad essere un paese nel consesso delle nazioni civili. Per i nazionalisti italiani, il 10 febbraio fu sempre una data oscura (di qui anche una battaglia di retroguardia per rivedere gli accordi di Osimo del 1975). Ma è incomprensibile che le altre forze politiche, in particolare gli ex-democristiani si siano prestati a questo gioco. Possibile che quando si votò l’istituzione della giornata della memoria, nessun parlamentare avesse proposto la scelta di un’altra data?