Per questo devo dirti ciò che è orrendo conoscere, dice il poeta. C’è, oggi, un segno indubitabile del disastro (culturale, sociale, antropologico) ed è il trionfo del film “Bohemian Rhapsody” su Freddie Mercury. Cantante dei Queen. Il film (che attira le folle e vince i premi) non l’ho visto e non mi piace. E chiuso il discorso. Ma non è questione di film. È che non mi piacciono i Queen. E neanche Freddie Mercury. Voi direte: e chissenefrega. Giusto. Però anche no. Questa storia dei Queen non è roba di gustibus, di cui non est disputandum. È una linea d’ombra, una demarcazione. Tra il giusto e l’ingiusto. Tra la civiltà (che ha perso) e la barbarie (che ha prevalso). Freddie Mercury piace a tutti. Belli e brutti. Piace per grazia di Dio e volontà della nazione. Freddie Mercury è legge dello stato. Freddie Mercury è la Befana fascista. I bambini delle elementari la mattina si alzano in piedi e con la maestra recitano la preghierina: “Freddie Mercury è un mito”.
Piace a tutti. Ai nipoti e zie. A donne, uomini, bambini. Anche a voi che fate finta di niente. A suore e serial killers (senza offesa né per le suore né per i serial killers, con la esse perché è plurale).
Ma io dico no. Lo so che non conviene, che non si deve dire, che se lo dico Gesù bambino piange. Ma, a me, Freddie Mercury non piace. La musica dei Queen? Orrenda. Sciatta. Assieme di insulsi coretti: alé-oh-oh. E passando alla parola “mito” : svuotata di senso e significato, di tutto. A forza di usarla per niente. “Che mito”. “Sei un mito”. “Jerry Calà è un mito”. Jerry Calà non è un mito : è un mediocre comico. Il fatto è che, secondo voi, tutto è un mito. In televisione fanno vedere Edwige Fenech un po’ di anni orsono e i bravi presentatori dicono: “è un mito”. Vi costa tanto chiamare le cose con il loro nome? Dare concretezza al linguaggio, diceva Italo Calvino. Edwige Fenech di trenta o venti anni fa (e secondo me pure adesso che di anni ne ha settanta) non è “un mito”, miei cari ingegnosi viaggiatori, ma una figa da far paura. Ecco la concretezza del linguaggio di cui diceva giustamente Calvino. Altro che mito.
Volendo dire le cose come esse (esse) stanno, Freddie Mercury, più che un mito, è un’icona. Quello sì. Nel senso di immaginetta riconoscibile e votiva. La vedi e dici: ecco. Non ha bisogno di spiegazioni. È lei. Un’idea senza parole.
Mi ci sono pure travestito, da Freddie. A una festa. Di compleanno. Sono nato negli anni Sessanta (astenersi spiritosoni e perditempo). Volevo rappresentare, nella stessa serata, i diversi decenni da me attraversati. Per cui, più o meno ogni ora, ho cambiato travestimento. Anni Sessanta, Diabolik: modernità urbana e ambizione alla ricchezza che irrompono nella società italiana. Settanta, hippy: contro-cultura che entra in, almeno apparente, conflitto con il mondo dei padri e delle madri, con le patrie (e le matrie). Ottanta, Freddie Mercury. Appunto. Anticonformismo pubblicato sulla gazzetta ufficiale. Trasgressione obbligatoria.
Mi sono messo un giubbottino di pelle bianca. Leggings. Berretto da poliziotto e baffetti adesivi. Che mi sono pure cascati, mannaggia. Attorno a me delle ragazze che erano delle sventole incredibili ma lo giuro: non appena ti travesti da Freddie Mercury, ti senti omosessuale all’istante. Voi direte: bravo furbo, Freddie non ti piace e ti travesti da lui. Ma non c’entra. Si tratta di rappresentare lo spirito del tempo, quel cavolo di Zeitgeist. E l’iconcina votiva di Mercury è perfetta per gli anni Ottanta. Perché è la prosecuzione (con altri mezzi) di Karol Wojtyła (Papa) e Sandro Pertini (Papa laico). Pertini, tra fine Settanta e Ottanta, aveva politicamente commercializzato commozione e indignazione (vergogna!). Wojtyła, con il suo corpaccione slavo, prima atletico, poi dolorante, aveva ridotto la fede (abisso di mistero) alla spiritualità di una merenda in campagna, venite che papa forte prende tutti braccio. Come loro, Freddie Mercury. Che fa del suo corpo la mercanzia offerta ai clienti. Come le mignotte, però facendosi pagare di più. Alternativo e «trendy», alla moda e bevibile da tutti. Prodotto talmente ovvio e scontato che non può essere rifiutato. «Ma come ? non ti piace Freddie Mercury ? ma è un miiiiiiiito». Come le sue canzoni. Anche dove c’è un inizio accettabile, certo un po’ enfatico, tipo «Eeeempty spaces, what are we liiiiiving for?» (te lo dico io : per niente, caro Freddie, per niente), e quasi quasi potrebbe venirne fuori una canzonetta dignitosa, a un certo punto arriva tutt’ad un tratto il coro. «The shoooooooow must go ooooooooooooon». (Condito di intollerabile «yeah yeah». Roba da codice penale).
Nel coretto scemo tutti si riconoscono. Si ritrovano. Si confortano. Ondeggiano. «We are the champions». Ho letto che nel film c’è una frase, come si dice, rivelatrice. «Da un certo punto in poi non abbiamo più suonato per il pubblico, ma con il pubblico». I Queen ti fanno pagare la cinquantamila (c’erano le lire) per cantare i coretti scemi tutti uguali, così il concerto lo fai tu. Così come più tardi Ikea ti farà montare i mobili. Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto come prodotto per voi, questo ci diceva Freddie. Gli anni Ottanta, ecco. Avevo vent’anni, e come Paul Nizan, non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita. Non lo era.
Per gli anni Novanta, pensate un po’, mi sono travestito da Silvio Berlusconi. Sempre per Zeitgeist. Non voglio pensare al travestimento che dovrei adottare per l’oggi. Per questo decennio che già fugge.
Maurizio Puppo
Mah, francamente vedendo la tua foto il costume non è tanto associabile al Freddie Mercury degli anni 80, eri più vestito da Village People.
Ad ogni modo, de gustibus.
Potrei essere anche d’accordo sull’abuso della parola mito.
Meglio leggenda del Rock?
Maradona potresti descriverlo come una leggenda del Calcio?
Certo ci sono stati tanti cantanti, ma sicuramente qualcuno più di altri si è distinto.
Freddie Mercury sicuramente era un performer incredibile, riusciva a prendere per mano il pubblico e portarlo dove voleva.
Poi di certo non era un modello da prendere come esempio per uno stile di vita sobrio.
Su una cosa però dissento.
E’ riduttivo indicare Freddie Mercury come una semplice icona priva di significato.
Suo malgrado, e sicuramente essendo Freddie una persona molto riservata relativamente alla vita privata neanche l’avrebbe voluto, per alcuni è diventato un simbolo.
Si, non un’icona votiva come la descrivi tu.
Simbolo a rappresentata da tutte quelle persone afflitte da una malattia che spesso veniva considerata come un problema solo di una parte della società civile e che invece riguardava anche altri (prima di lui era morto Rock Hudson).
L’AIDS ha ucciso una rockstar.
Non è morto di overdose o di chissà quale eccesso a cui spesso ci hanno abituati altri.
No, è stato consumato da un virus.
Credo sia questa l’importanza di Freddie Mercury per alcuni.
Poi che possa piacere o no questo è un altro paio di maniche.
A me non piace Vasco Rossi, non mi è mai piaciuto. Però alcune sue canzoni, soprattutto dei primi dischi, le trovo dei pezzi storici.
Quindi che non possa piacere è più che lecito, ricondurlo ad una semplice icona forse no.
Detto questo, un solo appunto.
« The Show must go on » non l’ha scritta Mercury, l’ha scritta Brian May. Mercury in quel periodo praticamente cantava tutto ciò che gli era possibile perché sapeva che gli rimaneva poco tempo. Quindi i coretti « yeah yeah », che ripeto, possono non piacere, andrebbero contestualizzati.
Un saluto.
Lascia perdere!! Se non ti piace Freddie Mercury, non perdere tempo a scriverne articoli.. Di quello che pensi tu, non frega a nessuno… Non è colpa sua se è diventato un Mito, per quanto non ti piaccia sta parola…
Sei un paradosso vivente, il mio intento non è insultare e non sono fanatica, però quando ho letto che ti sei vestito come Mercury per rappresentare gli 80″, sono rimasta basita!….ma se per te la loro musica non è altro che coro da stadi ….. perché farle un omaggio e rappresentare gli anni 80 imitando Freddy??? Avrei altro da dirti ma non ne vale la pena. E poi tu non devi amare nessun tipo di musica ,oppure non sei mai andato a un concerto, perché anche i Grandi Vasco,Celentano, Sting, U2 ecc,fanno cantare il pubblico quindi sono tutti fessi quelli che pagano per andare a vedere i concerti. Aggiungo solo che chi scrive un articolo, qualunque esso sia, prima debba prendere informazioni su di esso, perché non aver visto il film e giudicarlo è assurdo, e poi mi chiedo…..ma se non ti piacciono i Queen come mai conosci testi perché ho visto che mi hai fatto largo uso nel tuo articolo.@pischeddaantone
Cara Antonella, « non l’ho visto e non mi piace » è appunto un paradosso. Cioè (dal dizionario, che è un libro magnifico, anche se non l’ho letto per intero e nessuno lo ha fatto), una « proposizione che per forma o contenuto si oppone all’opinione comune o all’esperienza quotidiana, riuscendo perciò sorprendente o bizzarra ».
In questo caso è un paradosso che ho preso a prestito da un bravissimo scrittore che si chiama Giorgio Manganelli. Che per pura civetteria ne attribuiva la paternità a un’altra persona, scrivendo: « un lettore di professione è in primo luogo chi sa quali libri non leggere; è colui che sa dire, come scrisse una volta mirabilmente Scheiwiller, « non l’ho letto e non mi piace ».
Come tutti i paradossi, contraddice l’esperienza comune, e proprio nel contraddirla rivela una verità. E cioè che molto spesso (quasi sempre) sappiamo benissimo, senza leggere o vedere o ascoltare, dove ci portano i nostri gusti e le nostre inclinazioni. Non c’è bisogno di avere letto tutti i libri di una libreria, o ascoltato tutti i dischi di un negozio, per effettuare la propria scelta. Non c’è bisogno di avere conosciuto tutte le persone del mondo per credere che una persona sia quella più giusta per noi. Non c’è bisogno di assaggiare una cosa che ci disgusta per dire non ci piace.
Il paradosso (che tu sembri considerare un termine negativo, mentre non lo è) ci suggerisce qualcosa che i luoghi comuni di tutti i giorni ci tenevano nascosto. E di questo qualcosa, ognuno farà l’uso che crede. Anche tu. Un saluto, Maurizio
Cara Antonella, hai messo in fila 4 bluff della musica ,sopratutto u2.Ci sono solo tre prima e dopo.Prima e dopo Elvis,prima e dopo Bowie,prima e dopo Jimmi.Se consideri quei 4 menzionabili ascolti robetta.E sui Queen,purtroppo sono in linea con Maurizio.Ascolta Soft Machine ,Can,Taste.Ciao Maurizio