Per Missione Poesia, proponiamo il nuovo libro di Domenico Segna: ne Le onde radio (AnimaMundi Edizioni, 2024) riaffiorano tutte le presenze – e le mancanze – che ripercorrono la sua vita, dall’infanzia all’età adulta, una vita che necessita di compiersi all’insegna dell’amore, e di quella pienezza che compete all’intensità con la quale viene vissuta, al coraggio con il quale viene raccontata.
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Domenico Segna, giornalista, è caporedattore de “I Martedì” dove da anni scrive, tra l’altro, di letteratura contemporanea. Membro del Comitato Scientifico del Centro San Domenico collabora alla redazione de “Il Regno” oltre a collaborare con “Mondoperaio”, “Mistica e filosofia” e “Protestantesimo” (rivista della Facoltà Valdese di Teologia). Segna è laureato in Lettere, in Filosofia e in Scienze Bibliche e Teologiche, è docente presso l’Università “Primo Levi” e l’Istituto “Carlo Tincani” di Bologna. Impegnato nel dialogo interconfessionale, ha curato la trilogia luterana per Garzanti con propri saggi introduttivi e per le Edizioni Dehoniane Bologna ha pubblicato Il secolo conteso. Lineamenti del pensiero teologico protestante del Cinquecento (2017). Come co-autore di poesia ha scritto Libro, accompagnato da una nota di Roberto Roversi (Pendragon, 2007) e come autore Le chiese scomparse (Confine, 2014). Le sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie in Italia e all’estero, tra cui Italian Poetry Review. Le onde radio (AnimaMundi Edizioni, 2024) è il suo ultimo libro di poesia.
Conosco Domenico Segna da diversi anni, in special modo per la sua attività di giornalista sulle riviste Il Regno e I martedì di San Domenico, apprezzando il suo punto di vista su molte delle questioni trattate nei suoi articoli, ma anche per la sua poesia per la quale ho curato una recensione al suo precedente libro Le chiese scomparse (Confine, 2014) visibile QUI.
Segna cerca, attraverso i suoi testi, di recuperare quella capacità affettiva che inonda il tempo perduto, si cala nell’intimo del poeta creando ponti con la sua interiorità, con la dimensione del divino, con l’universo intero se possibile.
Le onde radio
Quasi sempre chi scrive, soprattutto i poeti, sono in cerca della propria identità. Attraverso le metafore, le similitudini, le immagini della poesia, e lo scavo interiore che precede l’uso di questi strumenti, è la ricerca di sé stessi a cui si tende: una ricerca forse mai completamente compiuta, una ricerca che affonda le radici nella propria nascita, nelle proprie origini, nei luoghi dove abbiamo vissuto, nella dimensione familiare, negli affetti anche di coloro che non ci sono più, nei sentimenti religiosi e nella spiritualità che ci hanno formati e che ci accompagnano. Non si prescinde da niente di tutto questo. Non dalla realtà delle cose. Leggete i poeti di tutti i tempi e vi ritroverete percorsi più o meno simili, accompagnati da gioie, dolori, esperienze vissute che diventano esperienze di poesia. Ognuno, poi, le affronta a modo suo. Con la propria sensibilità, con il proprio stile, più o meno lirico, sofferto, crudo, beffardo, avido di aggettivi, ricco di parole, più o meno ammantato dalla presenza dei maestri di riferimento, ma sempre tendente alla verità, alla conoscenza del mondo interiore e di quello che ci circonda. Diversamente non si parlerebbe di poesia.
Domenico Segna ci propone un libro, il suo nuovo libro, Le onde radio, appena pubblicato per AnimaMundi Edizioni, che non si discosta da questi ragionamenti. In sei partiture – Frequenze, Graffiti, Graphic novel, Le nuvole del tram, Le domeniche senza elettricità, Spettri – l’autore, nel ricordo continuo di una memoria familiare sempre presente nella sua vita, così come lo sono le domande fondamentali del dialogo con Dio, ci porta all’interno dei suoi giorni feriali e festivi, dei viaggi, degli incontri; ci fa conoscere le persone a lui più care, i fatti e le vicende che lo hanno accompagnato; persino alcune esperienze intime e dolorose di cui sentiamo tutta l’intensità. Il tono è spesso lieve e ironico, ma non senza profondità; lo stile è piano ma altrettanto complesso; nelle onde radio su cui ci fa sintonizzare riaffiorano tutte le presenze – e le mancanze – che ripercorrono la sua vita, dall’infanzia all’età adulta, una vita che necessita di compiersi all’insegna dell’amore, e di quella pienezza che compete all’intensità con la quale viene vissuta, al coraggio con il quale viene raccontata.
Senza preoccuparsi di rendere il percorso troppo autobiografico, Segna riporta con i suoi versi una confessione su ciò che sente di essere stato, anche nei confronti del suo rapporto con Dio: […] Un impiegato visionario./Una partita a tressette mai giocata./Il figlio che deluse. Due mani alzate./ […]con solo ossessioni e ansia per quel dio/che siamo nelle domeniche pomeriggio/senza voler ammettere di non credere; ci fa emozionare con la storia di un figlio non nato: Il figlio che non abbiamo avuto /torna ogni sera./Urla, piange, ride, fa di calcolo,/legge un Topolino: promosso! /L’abbiamo rimpianto, rimosso, /ma è lì Yeti che ad ogni nostro /risveglio sbadiglia.[…] Ed è così che le Frequenze della prima sezione ci assorbono e ci riempiono di un frastuono lieve, fatto di immagini che, anche sensorialmente, ci riempiono l’animo di affetti, mentre entriamo nei Graffiti – la seconda sezione – accolti dalle Cartoline del mare che non suggella i suoi pensieri: Nella sua bella blusa blu /il mare scrive cartoline. /Le invia a pochi amici. /Su ognuna di essa /un granello di sale,/un pesce fa da francobollo. /Non le firma mai.
Graphc novel, la sezione successiva, è un breve poemetto dove l’autore ci fa incontrare la figura del padre. Anche in questo caso riusciamo a dire che la tradizione poetica, fosse solo pensando a quella del nostro ‘900, ha sempre scritto intorno alla dimensione paterna. Da Aleramo a Merini, da Neruda a Gatto, da Cappello a Sbarbaro, solo per citare alcuni dei poeti dei quali si ricordano i testi più significativi, non è mai venuta meno la necessità di confrontarsi con la figura maschile, con quel padre del quale, specie una volta scomparso dalla nostra vita, non si può che sentire la mancanza, e per il quale, l’unica via di continuità, è il ricordo, è il raccontare com’era, il tornare ai suoi passi, ai suoi gesti, alla sua voce, alle sue convinzioni. Segna, rientra in questa schiera di autori, e ne scrive così: Non aveva mira mio padre. //Nelle tasche teneva i fiori/dove si era rinchiuso./L’Africa gli aveva deposto/un coltello di sole nelle viscere. //Era un uomo ricco mio padre. //Aveva le risaie in Indocina/i campi di grano in Ucraina, /l’onesta arsura degli occhi /stanchi di frontiere. //Rondine spoglia d’ali/sapeva d’avere poco tempo/per sintonizzare tutte le onde radio /del mondo con i fiori che sbocciavano/dalle tasche. […]
La sezione Le nuvole del tram è un susseguirsi di momenti esistenziali, di ricordi di domeniche passate, di un sentire il trascorrere del tempo senza poterlo fermare. Anche la successiva, Le domeniche senza elettricità, ci riporta con la stessa modalità a questi pensieri, a questa nostalgia di fondo, quasi un memoriale per fissare con modalità indelebile, quello che non potrà tornare. Le lettere che il poeta si scrive da solo, e si invia, non arrivano, e forse è un bene: avrebbero annunciato un secolo banale/ancora in cerca di un proprio altare, mentre le foto dei vecchi compagni di scuola/attorno a una tavola per cena/dopo anni di lontananza sono la testimonianza spietata di un’epoca ormai remota, della quale non resta che sorridere, anche per chi non c’è più.
La sezione finale, Spettri, a mio avviso, concentra su di sé la poetica dell’intero libro, ne riassume il significato – ritengo volutamente – da parte dell’autore che mette in scena un’ultima cena, anzi un Dopocena che, contestualizzato in quest’epoca, perde i suoi riferimenti di valore, si svuota di sacralità: tutto sembra far parte di un disegno di routine quotidiana che non contempla la dimensione spirituale dell’uomo, ma viene fagocitata dalla necessaria presenza degli elettrodomestici, dall’indispensabile visione di film in piattaforme, alle quali neanche Gesù stesso sembra riuscire a resistere. Nulla ha più senso, le onde radio sono su frequenze incomprensibili, l’umanità sente ma non ascolta. Strano a dirsi ma la cena è riuscita. /Abbiamo spezzato il pane,/bevuto il vino, intinto nell’olio le focacce. /Giuda è stato tranquillo, Pietro brioso. /Quando se ne sono andati /Giovanni, il più giovane dei miei discepoli,/mi ha ringraziato per la lieta serata./Dopo aver chiuso la porta ho sgombrato la tavola, /la lavastoviglie non ha fatto rumore./Non avevo voglia di mondare i piatti./Disteso sul sofà mi sono visto la registrazione /dell’ultima puntata di Downton Abbey./Tranquille appassite verità.[…]
Forse, l’Ecce homo, starebbe bene in uno zoo, alla mercè di tutti, quale bestia rara da esporre… ma manca anche lo zoo, nella città che tutto affossa, dove tutto passa inosservato, e non c’è più tempo né forza neanche per ragionare sulla propria Conversione.
Alcuni testi da: Le onde radio
Le confessioni
Cosa sono stato?
Un impiegato visionario.
Una partita a tressette mai giocata.
Il figlio che deluse. Due mani alzate.
Saltai sull’ambulanza
senza conoscenza o sapienza,
con solo ossessioni e ansia per quel dio
che siamo nelle domeniche pomeriggio
senza voler ammettere di non credere.
***
Discorso a tavola
Su questa forte rocca
ho afflitto precoci mattini,
salmi di senilità nascoste.
Divoro parole,
rettitudini,
concupiscenze inaccettabili:
quanto ho scritto
è convulsa compieta
d’una indulgenza rifiutata.
Mi velo al mondo
per non tediarlo,
celo la mia vergogna
giocando a dama
riempiendo boccali
nei discorsi fatti a tavola.
Sbeffeggio,
maledico,
scuoto.
Traduco
dall’ebraico al greco
brucio lettere di paglia
mendico
la resa.
***
C’è un colombo sul ramo
dinanzi casa. Cammina su e giù,
guarda di lato apre un poco le ali,
resta ancora.
Lo farei entrare. Gli darei un nome,
lo considererei uno di famiglia.
Nel testamento lo nominerei erede
di tutte le mie sostanze.
L’ingrato non c’è più.
***
Ho amato un corpo morto:
mio padre.
Verranno gli autunni
sulle onde radio.
Coglieranno pretesti
che non comprendiamo
– la piena dei sobborghi sfugge
al patio dei controlli.
Giungono senza un lamento,
senza una colpa
verso altre stazioni
per togliere anni
agli istanti.
Oggi fa freddo.
Le previsioni dicono
che sarà difficile
catturare le frequenze.
***
Upupa di silenzio.
L’impossibile ala di neve
di una ringhiera.
Ti desti in un grido.
Onde radio scendono dal cielo,
irrequieto candore sulle fronde degli alberi.
S’addensano nastri di nubi.
Silenzio aspro, tenda immobile
qui vicino o altrove
le frequenze della radio
restano flebili.
L’aia appare sul vuoto,
dipinge il pane e il vino.
La mano cerca la manopola
per sintonizzarsi.
Palpito arido osceno
intervallo a lungo meditato,
eppure il cielo brilla
in questo pomeriggio di febbraio.
Candida abbagliante clausura
a monte o a valle la cecità
non dà tregua.
Cinzia Demi
Bologna, novembre 2024
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi. Altri contributi e autori qui: https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/