Per Missione Poesia presentiamo l’opera prima di Massimo Silvotti, frutto di dolorose vicende interiori, di incontri con fatti e personaggi che in qualche modo hanno segnato la vita dell’autore, nonché resoconto consapevole di confronto con l’autorevolezza del sentire poetico dei maestri del nostro ‘900.
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Massimo Silvotti (Bruxelles 1963) è poeta, artista e filosofo; ideatore di performance e curatore di mostre. È ideatore e direttore del Piccolo Museo della Poesia di San Cristoforo a Piacenza e direttore artistico della Biennale di Poesia tra le Arti. In campo poetico, artistico e filosofico ha al suo attivo numerose pubblicazioni, ed è presente in antologie e riviste letterarie italiane e straniere. Delle sue attività si sono occupate diverse testate giornalistiche, radio e televisioni nazionali e internazionali. Nel 2022 è stato insignito della “Medaglia d’oro per meriti culturali nazionali e mondiali dall’Accademia Internazionale Mihai Eminescu”. Sempre nel 2022 esce il suo primo libro di poesia: Occorre che passi la luce tra i rami (Puntoacapo).
Conosco Massimo Silvotti da diversi anni ormai. Il suo impegno per la poesia e per l’arte in generale lo rendono uno dei protagonisti della vita culturale del nostro paese, attribuendogli senza ombra di dubbio il merito di essere grande divulgatore e interprete della necessità di conoscenza e di consapevolezza alle quali, in particolare, per le nuove generazioni è necessario prestare attenzione. Il suo ruolo di Direttore del Piccolo Museo della Poesia di Piacenza gli fornisce senz’altro un osservatorio privilegiato dal quale incanalare nuove energie e proposte per far sì che questo avvenga. Come poeta è alla sua prima pubblicazione ma posso dire, come più ampiamente espresso nella recensione sottostante, che ha superato molto bene anche questa prova, e che la sua voce è già di per sé riconoscibile nella sua unicità.
Occorre che passi la luce tra i rami
Non è raro incontrare un libro di poesie nel quale i primi testi da leggere sono in realtà gli ultimi scritti in ordine di tempo: qui, del resto, a dichiararlo è lo stesso Massimo Silvotti. Qualcuno potrà chiedersi cosa spinge un autore a compiere questa scelta, che sovverte interamente l’ordine cronologico dei testi. Ovviamente possono esserci varie motivazioni ma credo, o almeno così mi sembra sia accaduto anche per questo libro, che a lavoro quasi compiuto nasca la necessità di voler dare una sorta di chiave di lettura di quella che può essere considerata la visione dell’autore stesso. Ovvero il poeta si dichiara, si apre interamente ai suoi lettori, non vuole che ci siano dubbi interpretativi – anche se questo non è sempre facile da raggiungere -; è come se egli intendesse dare un’avvertenza: attenzione ciò che leggerete va gustato sotto quest’ottica perché è così che ve lo sto presentando. Infatti, in particolar modo, il testo che riporta il verso eponimo del titolo del libro, occorre che passi la luce tra i rami, si propone come vera e propria dichiarazione di poetica laddove il desiderio di ricercare nella poesia quasi una spiegazione della vita, orientandosi nelle nebbie che la circondano, passa attraverso la sua luce che, necessariamente, si intravede attraverso i rami, che poi sono le esperienze, il vissuto.
Da qui in poi il lettore può seguire più agevolmente il percorso proposto, che è frutto di dolorose vicende interiori, di incontri con fatti e personaggi che in qualche modo hanno segnato la vita dell’autore, che è resoconto consapevole di confronto con l’autorevolezza del sentire poetico dei maestri del nostro ‘900. Queste tematiche vanno più o meno di pari passo con la suddivisione in sezioni dell’opera.
Così in le incolmabili fenditure, oltre agli omaggi a Ungaretti e Hölderlin, indiscutibilmente autori di riferimento di Silvotti, ritroviamo i segni di un passato che si fa ricordo fedele e indelebile di momenti d’infanzia: eravamo bambini colorati/allora, la vita ci stuzzicava/con occhi trasparenti come il vetro… o ancora: è solo una barchetta/di carta la vita, pensava/di fronte a quel gioco che a sera/si sarebbe concluso/assai più dolorose/le sue ginocchia sbucciate in cortile…; che si riapre ogni volta che arriva quella particolare festività: è natale, nel cesto della frutta/due arance un po’ mollicce/tre nocciole una noce (…) su per giù sono passati trent’anni/e oggi la rabbia afferra la notte/alla gola anche durante le feste…; che si riflette nell’amore per l’arte, la pittura in particolare, dove l’intensa immedesimazione in un’opera di Cézanne diventa momento di riflessione profonda: ho allargato le braccia per accoglierla/ma anziché la sua polpa/succosa/veramente/da un po’ di tempo mi sento/le spalle al muro, come/la tela di quel quadro.
Nella sezione noi invece, è la volta di un omaggio a Giampiero Neri, giustamente inserito in questa parte del libro dove campeggia il sentimento della solitudine. Qui è possibile, tra le altre cose, incontrare alcuni personaggi con i quali l’autore, nel suo lavoro svolto presso una struttura sanitaria (o forse anche altrove, non saprei dire con sicurezza), ha avuto modo di relazionarsi e che ci vengono presentati nelle loro debolezze, ma anche nella forte necessità di un’interazione umana che gli conceda ancora dei sentimenti: avrebbe avuto ancora/tanta voglia di amare/non gli importava chi/semplicemente amare/gli sembrava che soltanto così/la sua vita potesse riavviarsi…; o che gli procuri un’arma per restare a galla: è questo affievolirsi/la vita, in guanti bianchi sottrarsi?/qualcuno se ne va, qualcuno arriva/natanti alla deriva…; o che gli faccia sentire che non è solo nel dolore: nessuno può dire per certo/chi fosse passato quel giorno/a fargli compagnia/così, quando arrivai/lo trovai sereno/ (…) gli occhi come biglie/con cui giocava da bambino.
La breve sezione che chiude il libro è dedicata alla dimensione del lockdown, che tutti noi abbiamo vissuto in questi anni appena trascorsi, e rende conto con versi intensi dei sentimenti della morte, dell’isolamento e della rinascita descritta mirabilmente come il desiderio semplice di leggerezza, espresso in un sentire l’acqua del mare con le mani.
Dovessi fare una sintesi della forma espressiva utilizzata da Massimo Silvotti, di questo suo modo di fare poesia, mi sentirei – a conclusione di questa analisi, e non senza affermare di aver apprezzato il lavoro nel suo insieme – di poter dire due cose in particolare: la prima è che ho gustato molto la musicalità dei testi, basata su assonanze, rime e anche riprese semantiche che hanno infuso il giusto ritmo a una raccolta dove i contenuti sono senz’altro apprezzabili e di rilievo; la seconda è che ho naturalmente riscontrato la sua volontà di avvicinarsi, a volte, ai dettami della corrente poetica del realismo terminale, con l’uso delle similitudini rovesciate che prediligono le comparazioni agli oggetti piuttosto che agli elementi della natura ma dalla quale, al tempo stesso, egli spesso si distacca per riprendere i canoni tradizionali della nostra liricità, cosa apprezzabilissima per il rispetto dovuto anche agli autori stessi a cui viene reso omaggio nell’opera, e non solo a quelli citati esplicitamente.
Alcuni testi da: Occorre che passi la luce tra i rami
dal nebbiaio di una raminga memoria,
di ramo in ramo, cercare
sponda nelle parole eco, manchevoli
poichè intangibili, ma pur sempre
presenze
aggiungo, in certa poesia
come per rendere fruttuosi gli ulivi
occorre che passi la luce tra i rami
***
lezione di estetica
immaginarsi sasso
nel fragrante fragore della pioggia
o radice, l’acqua che ti blandisce
rapisce questo senso
estetico della vita di ieri
come la tastiera di un pianoforte
soprattutto, quando è incline al silenzio
***
verso l’imbrunire
verso l’imbrunire, rientrando a casa
un ciocco di legno sul ciglio della
strada, mi pare affranto
ma l’automobile freme, così
lo lascio a riposare, quasi fosse
uno stuoino logoro
***
momenti domestici
è sbilenco quello sgabello, stai
attenta, non ti sedere le dissi
stanca la cagnolina
immobile come di porcellana
quella volta sorrise
ci fu un istante di sospendimento
e finimmo a risate
***
la finestra
chi morirà per primo amico caro
giocherà, ma con i dadi truccati
e punterà sulla felicità
dell’altro, mettendo in gioco se stesso
pinocchio di cristallo
poi riderà così forte che, quasi
lo si potrà sentire; non esiste
flagranza per chi ha saputo morire
la vita da lassù è una finestra
solo chi resta giù
ricorda la Ginestra
Cinzia Demi
Bologna, 15 gennaio 2023
Altri contributi di « MISSIONE POESIA », rubrica Altritaliani di poesia italiana contemporanea curata da Cinzia Demi: biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. Contatto: cinziademi@gmail.com
Grazie, Cinzia, del farmi leggere e conoscere, cosa rara di questi tempi di scrittura, parole che danno armonia e luce, semplicità e cordialità all’anima, come è per i grumi di limpidi versi di Massimo Silviotti. Tu ,sempre attenta, Massimo, ispirato e cristallino!