Emerge nel cuore del dibattito sulla ‘buona scuola’ un’iniziativa che merita di esser riportata e commentata. Mi riferisco all’intervento di Michele Placido, noto regista, attore e sceneggiatore che ha portato di recente al Teatro Sistina di Roma un viaggio ‘nel cuore’ della letteratura italiana, grazie ad un percorso singolare, quello della musica che sottende le parole, forse l’unico modo per vincere la volgarità, la violenza di oggi – afferma Michele Placido.
Il percorso si snoda attraverso i versi, i passi scritti dalle figure più famose del patrimonio letterario italiano, dal V Canto dell’Inferno di Dante, per arrivare alla poesia di Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti.
La poesia italiana, che comprende un ascendente dal mondo classico, l’eredità giambica e quella epica dell’esametro trasfuse poi nell’endecasillabo, ha sempre avuto, al suo interno, il culto del ritmo, della musica, dell’armonia che, poi, son un tutt’uno. Non solo metafore ed immagini, dunque, ma musica.
La sinestesia fu la forma di fusione o di sintesi di più Arti dentro la Poesia ma, ancor prima, lo sforzo dei poeti fu quello di inserire il ritmo dentro le parole. Dalla terzina dantesca, basata sull’endecasillabo, alla canzone petrarchesca, al sonetto, la poesia si cimentò su diverse invenzioni ricavate dalla memoria classica fino a Carducci che nelle Odi barbare e in Giambi ed epodi si propose di seguire i classici più da vicino, ‘buon scudiero di essi’ – come si proclamò.
Ma fu con D’Annunzio e, prima ancora, con Pascoli, che con l’onomatopeia si cercò un percorso innovativo per la poesia.
Non è un caso quindi che Michele Placido inserisca proprio il già citato D’Annunzio nel suo percorso…
La pioggia nel pineto è l’esempio più alto di questo legame tra la musica e la parola lontano dall’onomatopeia. Il ritmo della pioggia si traduce in un ritmo delle parole.
Ma il poeta non canta la noia, bensì una trionfante metamorfosi.
La soglia del bosco è la porta per un’immedesimazione nella vita arborea della natura e, attraverso essa, l’ingresso nell’Eden, fatto di suoni e di sussurri, di sensazioni e di trasformazione.
Le parole piane, bisillabe taci, soglia, le sibilanti allitterazioni, su la soglia del bosco, favoriscono l’ingresso ad una sinfonia in cui il ginepro ha un suono, le tamerici un altro e le altre piante un altro ancora.
(…) La perdita della coscienza è il segno di un cambiamento profondo che consiste nell’oblio del presente e del luogo e per fino del proprio essere. La frase ricorrente che costituisce un vero e proprio refrain: chi sa’ dove, chi sa’ dove! – è il centro di questo cambiamento di cui il poeta è il regista.
D’Annunzio aveva annunciato: Poeta, divina è la parola e il verso è tutto – e sembra aver attuato il suo proposito.
La poesia, dunque soltanto, può eliminare la violenza ed operare una vera e propria metamorfosi.
…Ha ragione Michele Placido…
Carmelina Sicari