Mostra “ Faglie e Foglie” – Passi di danza nel Cretto. La Sicilia ha l’onore di custodire fra i suoi tesori, il Cretto di Gibellina, massima espressione della land art con cui Alberto Burri rinnova la memoria del tragico terremoto che nel gennaio 1968 colpì la Valle del Belice. Un’esposizione di foto di Pippo Palermo e Mauro Vincenzi si svolgerà a Caltagirone, Galleria Fotografica “Luigi Ghirri”, dal 18 Luglio al 31 Agosto, per rendere omaggio all’artista, in assoluto uno fra i maggiori del Novecento italiano, che fuse nella sua arte, danza, musica e poesia.
La mostra “ Faglie e Foglie”, che sarà inaugurata alla Galleria Fotografica “Luigi Ghirri” di Caltagirone il 18 luglio 2015, costituisce un omaggio ad ALBERTO BURRI nel centenario della nascita.
Accompagnandosi ad una danzatrice, Zina Barrovecchio, etoile del Teatro Massimo di Palermo e ad un poeta come Giovanni Perrino, i due fotografi, il primo palermitano-milanese il secondo modenese purosangue, percorrono con i loro obiettivi le strade della Valle del Belice. I viaggi raccontano la tragica odissea che dal terremoto del gennaio del 1968 conduce ad una difficile ricostruzione e ad innesti artistici che i più importanti scultori del Novecento hanno dedicato a quell’angolo di Sicilia tanto ricco di storia quanto povero di futuro.
Oggi Burri è considerato uno dei Maestri del Novecento al punto che il Museo Guggheneim di New York ne celebra i cento anni dalla nascita con una grande mostra ma, come accade per i grandi, non è stato facile il riconoscerlo come tale in vita proprio per la forza innovativa che la sua arte esprimeva.
L’uso di materiali di scarto come pezze e tele di sacco esposte alla Quadriennale di Roma nel 1956, diede scandalo e sollevò un’ondata di proteste della critica che vi vide una rottura clamorosa e inaccettabile. Le cosiddette “schifezze spacciate per arte”, gli “immondi stracci”, oggi, superate le iniziali perplessità, si riscattano e si sublimano in una bellezza altra che vi riconosce un miracolo di forma e di stile.
Il pittore di Città di Castello, vagabondo e sognatore ma attento studioso dell’arte classica e soprattutto rinascimentale di cui la sua Umbria è ricchissima, è in realtà uno spirito libero che avverte la tensione di dominare la materia inerte, anche quella umile e spregiata per farla diventare energia vitale, metafora e simbolo dei diseredati, una catarsi degli sconfitti, ancora una volta dei Vinti.
Sulla collina dove stava aggrappata la vecchia Gibellina con la sua quotidianità umile e onesta, Burri scorge fin dall’inizio gli amari segni delle cicatrici, delle ustioni e da esse decide di giocare artisticamente la sua partita fra vita e morte, fra materia e forma ove la forma, cioè la bellezza, prevale per opposizione.
Il grigio marmorino delle cattedrali rinascimentali rivive nell’umile cemento con cui Burri ricompone pietosamente le rovine del paese coi suoi tuguri, le case, i vicoli, gli slarghi sul paesaggio e le vigne circostanti fino ai mandorli e agli ulivi lontani quasi a bordo del mediterraneo, cielo-mare-blu-orizzonte.
Come l’artista della land-art esprime a Gibellina il suo capolavoro, il pendant nella pittura è rappresentato dai celebri “sacchi”. Scrive Toti Scialoja: “Invece di dipingere, Burri incollava brandelli di sacco alla tela cui aggiungeva colore creando piaghe sanguinolente: c’era un pathos enorme, sembrava il colore di Velasquez…”.
Sostando sul Cretto, dove il silenzio dialoga col dramma nel tempo e nello spazio, quel luogo diviene la voce danzante di Zina Barrovecchio mentre l’obiettivo dei due fotografi riconosce le vibrazioni sonore della materia, la perfezione rinascimentale delle geometrie, il taglio doloroso delle luci e delle ombre.
Le foto esposte rendono visibili le assonanze e le distonie, la Valle del Belice diviene locus solus di estasi e solitudine, spazio interiore, esigenza spirituale di ripercorrere il passato per affidare ai figli un futuro che sia punto dialettico fra noi e la verità.
Alberto Burri, profanando con la sua arte la tragedia, ne evita la decomposizione e se ne fa testimone. La Mostra, con la fecondità dei richiami alla danza e alla poesia, intende rendere omaggio a questo grande artista perché con il passar del tempo questo miracolo chiamato Gibellina è manifesto luogo d’arte che restituisce intatta la relazione profonda di memoria e futuro.
Giovanni Perrino
CALTAGIRONE, Galleria Fotografica “ Luigi Ghirri “- Piazza del Municipio, 18 Luglio-31 Agosto 2015