Maratea agosto 2009, festa per gli 80 anni di Lina Wertmüller; nella immagine la mia intervista alla regista di origini lucane.
Ciao Lina. Se ne va a 93 anni, la regista che ha dato molto alla cultura cinematografica, cambiando le regole della commedia, conferendo un carattere piuttosto amaro, come nello spirito sinisgalliano dei lucani. Ha rappresentato una originale visione del cinema, facendo sociologia sentimento e soprattutto politica in senso alto; ironia e dolore trattate con la giusta leggerezza. Per i lucani qualcosa in più: “basilisca” impetuosa.
Ognuno può ritrovarsi nei personaggi caustici e sinceri dei vari film di Lina, lei che amava titoli lunghissimi (marchio di casa) come il suo lungo nome: Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich. Serena e ansiosa, verace come la terra che le ha dato le origini, la Lucania, luogo del suo prima lungometraggio “I basilischi” del 1963, una sorta di “vitelloni” in salsa meridionale, girato nella sua Palazzo San Gervasio (dove nasceva il padre, affermato avvocato) e le vicine Murge. Ma prima aveva fatto Caroselli Tv in Rai (c’è ancora chi si ricorda dello slogan tormentone della “brillantina Linetti”?) e con la giovanissima Rita Pavone “Il giornalino di Giamburrasca” maschiaccio tratto da Vamba, regia in 8 puntate nel 1964, con le canzoni scritte da lei (la leggendaria W la pappa col pomodoro).
E il grande Cinema con Zeffirelli per quel capolavoro mistico che è “Fratello sole, sorella luna” autrice della sceneggiatura. Come con Pasquale Festa Campanile (regista con origini a Melfi). Anche con Fellini fa l’aiuto regista in “La dolce vita” (1960) e “8 ½” (1963). Una grande scuola anche per il teatro e la televisione al cospetto di grandi firme come Garinei e Giovannini, e lunga militanza, avente sempre l’obiettivo del cinema nel suo orizzonte.
Saranno gli anni ’70 a consacrarla definitivamente, con la coppia Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, praticamente reinventati in ruoli semantici, popolari e da connotazioni subliminali e politiche. Film come autentici manifesti sociali, trattati con il garbo e il graffiante sguardo (mai formale o compiacente: si ricordi il sederone della signora in primo piano del “Mimì metallurgico”), l’attualità riletta e trasmessa sul grande schermo, vivacità dettata dalla sua indole inquieta e ironica. “Travolti da un insolito destino…” resterà per sempre nell’immaginario come palese distintivo nord-sud che più politico, più sensuale non si potrebbe. Coriacea e terribile sul set (raccontava Luciano De Crescenzo del morso al dito) o delle invettive lanciate ai suoi attori (persino verso l’adorata Sophia Loren).
Donne così ne nascono raramente: per fortuna il Cinema le ha riservato, non senza i percorsi travagliati, soddisfazioni e riconoscimenti. Come il premio Oscar, arrivato solo da due anni, quale risarcimento di quello mancato per “Pasqualino Settebellezze” del 1977: il film è una sorta di lettura a due facce dell’olocausto (metodo adottato anche dal film Oscar di Benigni).
Lina è stata la prima donna nella storia ad essere candidata all’Oscar come migliore regista, per quel film. Dopo di lei arrivarono Jane Campion, Sofia Coppola, Kathryn Bigelow, Greta Gerwig, Emerald Fennell e Chloé Zhao.
Una donna prima, Lina, non già una prima-donna. Un orgoglio tutto lucano che, in quella intervista, ci lasciava trasparire per amore familiare, per rispetto verso gli ultimi, per un senso solidale che solo i grandi sanno avere.
Arrivederci signora Wertmüller!
di Armando Lostaglio