“Cani da pecora” e “Arriva” del poeta irpino Gabriele De Masi

Riceviamo e pubblichiamo con piacere due nuovi componimenti poetici, dai sentimenti contrastati, del nostro Gabriele De Masi: il primo, amaro,Cani da pecora”, descrive metaforicamente il respiro affannoso della politica, una politica allo sbando, più che mai, attuale. Il secondo, invece felice, dal titolo: “Arriva”, è sull’inizio dell’estate.

Cani da pecora

La moneta che suona di rimando
la falsa eco d’adulterato argento
canta il disprezzo del forgiato conio
all’esser non certezza ma tranello.

Così, il latrato di voi sempre in tivù,
dimenticato l’eloquio per l’offesa,
fa di voi, politici, opinionisti, cani da presa,
tra finti applausi e faccette nell’attesa.

Pur si illude di convincere, il baro,
argine stolto del deridere e non sapere
che ben si mostra, testa di legno del potere.

E ci vuol poco per tornare, intanto,
gregge e stanziare, belante,
al bastone di turno del comando.

(Gabriele De Masi)

[Gabriele De Masi con questi versi che combinano diverse soluzioni ritmiche, polemicamente pone l’accento sulla ipocrisia dei nostri giorni, dove l’unica cosa che conta è la ricchezza, il potere, rappresentato nei cani rabbiosi, con un popolo, spesso mediatico, ridotto a spettatore, spesso prezzolato e ammiccante in una società sempre più vuota di ideali e di speranza. Un gregge belante pronto alla sottomissione a priori verso il potente di turno. Ogni speranza è persa se si aspira al potere per il potere.]


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Quest’anno, il solstizio d’estate arriva un giorno prima, giovedì 20. Inizia l’estate e si accorciano, lentamente, le giornate (la luce). La magnolia nel giardino cambia foglie e porta fiori…

Arriva

Tra Maggio e Giugno cadono
molte foglie alla magnolia.
Torneranno lisce, luccicanti
dopo che il fiore, avorio vellutato,
avrà esposto all’aria pollini, profumi.
Petali grandi e gracili,
aperti all’estate,
anch’essi, caduchi,
ai primi fiati
del vento di levante.

(Gabriele De Masi)

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2 Commentaires

  1. La poesia può raccontare il possibile e l’impossibile, il reale e l’irreale, l’antico e il presente, il passato e il futuro. E poi abbiamo voci, che raccontano tutto, con una densità che conquista e smarrisce. Gabriele De Masi ha in sé il dono della grande poesia, la poesia che racconta il mondo e ci coinvolge nella scoperta, Poesia elegante e filosofica, sembra una sintesi del saggio di Ortega y Gasset, « La rivoluzione delle masse », dove si contrappone finemente l’uomo-massa all’intellettuale, concetti poi più volte ripresi da Marcuse e da Bauman. Le quattro strofe, a richiamare l’antico sonetto, descrivono una situazione: la prima la corruzione, la seconda la violenza della parola, la terza la falsità, la quattro la riduzione del popolo a massa. Tanti evocano il popolo, ma parlano di massa, in questa povera Italia condannata al declino. Triste destino pare anche della Francia, se non ritrova gli antidoti dell’Illuminismo.

  2. La natura nella nuova stagione rinasce, mutano le foglie, tutto è fiorire.
    È strano, diceva Francesco De Sanctis, quel che è vecchio è morto.
    E quel che è nuovo non nasce.
    Tutto è a pezzi, a ritagli.
    Caro Gabriele De Masi, quanto scritto dal nostro critico, lo ritrovo nella tua parola poetica.
    Il poeta non scrive sulla carta o sul computer, bensì nell’ anima.
    Nell’anima si salva.
    Due son le figure emergenti nella tua parola poetica:
    la figura dello spettatore, che resta tale, sempre che applaude; l’altra, assente, l’ attore.
    C’è un vuoto, vuoto a perdere.
    Come i giovani che la sera vanno, ma dove?!
    Hanno perso anche il sabato.
    Si vive alla luce del neon immaginando di trascorrere l’ ora del tempo autentico.
    Un invito, caro Gabriele, spunta dai tuoi versi.
    La speranza di resurrezione dell’anima, della metamorfosi dello spettatore in attore.
    Nel senso dell’agire, dell’azione generata dalla vocazione, incarnata nella situazione.
    Oggi si muovono sul palcoscenico, girano le spalle al pubblico: è l’epoca della spettacolarizzazione.
    Prevale il suono disarticolato,
    il belare, come tu scrivi, ma c’è un indicibile: il gregge, ha pure, una sua utilità.
    Quelle pecore non usciranno mai dal gregge, non saranno,
    non conoscono, ciò che è egregio.
    Vincono nella cronaca, perdono nella storia.

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