Bertrand Levergeois : Quando ci manca un intellettuale e un amico.

A Bertrand, che da lassù mi aiuti.

Quando muore un intellettuale vero, per la cultura è una perdita enorme e difficilmente colmabile, perché di intellettuali veri ce ne sono pochi e quando scompaiono lasciano un vuoto difficilmente colmabile*. Ma quando questi è anche un amico vero (e ce ne sono pochi anche di quelli, specie alla nostra età) la perdita è ancora più dolorosa.

Ecco, per me Bertand era tutto questo.

L’avevo conosciuto anni fa, quando ebbi l’onore di presentare con lui, che ne era l’autore, il libro: “Pasolini – L’alphabet du refus, ed. Le Felin” (credo uno dei più bei libri che abbia mai letto sull’intellettuale, romanziere e cineasta). Fu l’inizio di un incontro intermittente ma sempre intenso e divertente. Intermittente perché lui, che lavorava per le Nazioni Unite, cambiava spesso casa e paese e così, dalla sua bella casetta nella zona popolare ma tranquilla sui canali nei pressi di Stalingrad a Parigi, si trasferì prima a Bangkok, poi a New York e più recentemente a Milano.

Pasolini, un nostro comune amore, ci vide protagonisti insieme di un breve viaggio a Strasburgo, che per me resterà memorabile. Nella locale Università tenemmo una conferenza ancora su lui tra cinema e letteratura, dividendoci le competenze. Bertrand intrattenne con la sua consueta verve l’affollata sala di studenti sui temi più letterari, lasciando a me il compito di parlare del cineasta.

Bertrand Levergeois

Passammo quei due giorni divertendoci, perché Bertrand era soprattutto un uomo vitale, felice, che aveva un’aneddotica incredibile, raccontando con una capacità incomparabile, mille storie e vicende. Ogni sua parola mi rimarrà scolpita nel cuore e nella mente e finanche oggi che sono triste, tanto triste, se le ripenso mi viene da sorridere, ma lui mi perdonerebbe.

Passeggiando per Strasburgo, tra ville e ponti, mi raccontava di sua madre italiana e del suo misterioso padre che aveva lavorato nei servizi segreti durante la guerra spiando il nemico tedesco. Ne parlava con sincera ammirazione come di una cosa che ancora non fosse per lui del tutto delucidata. Naturalmente tutto ciò accentuava il fascino misterioso del suo racconto e accresceva in me la curiosità.

Davvero non potrei raccontare le mille battute che faceva, le mille immagini che ho di lui, ma mi sono rimaste così impresse che le ricordo ancora tutte, ci vorrebbe un libro e non un misero, per quanto appassionato, ricordo come il mio.

L’ultima sigaretta fumata in aereo, andando a Strasburgo, perché da lì a poco sarebbe scattato per sempre il divieto e due fumatori incalliti come noi non potevano rinunciare a questo piacere, mille discorsi interessanti ma sempre senza autoreferenzialità, perché lui, da vero intellettuale, non aveva bisogno di sembrare, di dimostrare, lui era, direi lui è. La sua passione per la vita, l’arte, la cultura, la politica, lo portava sempre a conoscere, approfondire con un cuore libero, come il fanciullino pascoliano che lui tanto amava. Ed io credo che davvero si sia intellettuali se si apprezzano le cose a mente libera senza preconcetti e pregiudizi.

Pasolini era stato da sempre il suo amore, il suo riferimento, fin da ragazzo, quando era scappato da casa per andare a Roma a conoscerlo e lo conobbe. Mi mostrò gioioso una foto che lo ritraeva con altri giovanissimi accanto all’intellettuale bolognese, friulano, romano… del mondo.

Spirito folle, situazionista, d’immensa genialità, la mattina della nostra ripartenza da Strasburgo, con me perennemente in ansia di perdere l’aereo, mi annunciò che prima di ripartire essendo sulle sponde del Reno, dovevamo andare ad invadere la Germania. Alle mie rimostranze da provinciale con l’angoscia di perdere il volo, rispose facendomi trovare fuori all’albergo, la mattina presto, un taxi che aveva prenotato la sera prima e con quello arrivammo, trionfanti invasori, al primo paesino tedesco oltre confine, per poi ripartire da lì alla volta del mio sospirato aeroporto.

Bertrand, le volte che passeggiando per Parigi cantavamo davanti agli scandalizzati parigini a squarciagola i ritornelli di Brutti, sporchi e cattivi, il film di Ettore Scola, che ricordavi a memoria.

Le magnifiche serate da me o da lui con mia moglie e la sua preziosissima moglie e compagna Claire a cui mi stringo forte, quante risate e quanti momenti di vera amicizia, perché la nostra lo era davvero. Come ricordava Cicerone nel suo trattato sull’amicizia: quella vera è tra persone che non sono legati da affari comuni, o da impegni lavorativi, ma solo da una reciproca profonda e disinteressata stima, simpatia e ammirazione e la mia per lui era sconfinata. Insieme a Claire erano una coppia fantastica, entrambi brillanti, allegri, ironici. Le parodie dei francesi che studiavano l’italiano o delle donne borghesi romane di oggi sempre attente solo all’apparire: “Con questi capelli non riesco proprio più a vedermi…”.

Ad ogni suo ritorno dai viaggi e dalle sue permanenze all’estero per il suo lavoro ci si rivedeva.

Ricordo quando per festeggiare il loro ritorno andammo a mangiare in un ristorante pakistano, dove scoprimmo che non era permesso, per motivi religiosi, servire il “sacro” vino, carburante delle nostre gioie. Immediatamente mi trascinò fuori per andare a comprare una bella bottiglia di Bordeaux che poi aprimmo tra lo sconcerto di tanti, una volta rientrati al tavolo del religioso ristorante. Parbleu! La Francia è laica!

E che dire dei suoi consigli per migliorare il mio traballante francese? Mi disse con ironia di fare come gli intellettuali parigini: “Prendi tempo, esita con lunghi silenzi, dai la sensazione che dalla tua bocca debbano uscire parole immortali, e nel frattempo cerca le parole giuste tra quelle che hai imparato dal vocabolario. Vedrai che tutti penderanno dalle tue labbra”.

Lui parlava un italiano perfetto, ma conosceva bene tante lingue. I suoi libri, fosse che si parlasse di Giordano Bruno, Pascoli o di cinema (che lui adorava) con il suo Fellini o del nostro Pasolini, avevano tutti la capacità di essere letti con piacere, senza mai cadere nella noia, di essere vibranti, documentati e ricchi di una verve che era la sua. Finanche il suo ultimo libro su Giordano Bruno, voluminoso e in lingua italiana, era così ricco di aneddoti raccontati con uno stile tale da rendere un ponderoso saggio in un avvincente romanzo. Ecco, la leggerezza di Bertrand, quella capacità di essere senza sembrare, quella di raccontare, senza fardelli moralisti, le persone e le cose, rendendocele chiare e vivide ai nostri occhi.

Perdonami da lassù Bertrand per non essere riuscito a recensire quel tuo bel libro su Bruno, non fu per cattiva volontà, ma tu lo sai, io per recensire un libro lo devo leggere. In parte lo leggevo, ma poi ero sempre oppresso dalla meschinità di una vita precaria, ero sempre a correre dietro al mio lavoro. Che errore che ho fatto! ma lo so che con qualche tua battuta già stai sdrammatizzando.

Quel libro lo finirò e poi ne parlerò su Altritaliani che tu apprezzavi. Perché davvero ogni tua opera dovrebbe essere conosciuta ed io ho avuto anche il piacere di conoscere davvero l’autore.

Ovunque tu sia, aspettami ché appena arrivo canteremo insieme il ritornello di Brutti, sporchi e cattivi, ma a squarciagola, mi raccomando. Noi ti abbracciamo, e abbracciamo Claire che speriamo di avere presto con noi, per ricordarti e ricordarci.

*Volutamente la frase evoca in similitudine quella di Moravia a proposito di Pasolini poeta, nella sua commemorazione al suo funerale.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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