Berlinguer non è come ve lo raccontano

Si è molto parlato, in questi giorni, di Berlinguer. A trentacinque anni dalla morte. (E dal mio esame di maturità: astenersi spiritosoni e perditempo). Berlinguer (dicono tutti) era una brava persona. La gente andò in massa al suo funerale. Nel sole di Roma del 1984. Con il tema della maturità sul libro di Giorgio Amendola «Una scelta di vita» che (formidabile botta del suddetto culo) avevo letto proprio pochi giorni prima (che poi sai, è chiaro che se non leggi niente, una simile botta non ti capita neanche per sbaglio). Io che telefono a una compagna di classe per “due chiacchiere sulle materie d’esame” (ma era solo perché mi piaceva). Di lei, dopo tanto tempo, ricordo tutto e non ricordo niente. Come di quegli anni.

Un po’ di tempo fa Veltroni è venuto a Parigi a presentare il suo film “Quando c’era Berlinguer” e ha più o meno detto che Berlinguer è stato un eroe, ha sancito la fine del rapporto con il comunismo sovietico, ha inaugurato una nuova era, ha traghettato la storia del comunismo italiano nella parte giusta del mondo (che combinazione), quella di libertà e democrazia etc. etc. Insomma, il Berlinguer raccontato da Veltroni, e altri, è un santo, un’icona. Una figurina da venerare senza chiedersi perché.

Secondo me, invece, le cose stanno diversamente. Trentacinque anni sono un tempo sufficiente per dire che Berlinguer sarà stato una brava persona (anzi senz’altro) ma di politica non c’ha mai capito niente e non ne ha mai azzeccata non dico una ma nemmeno mezza. Nemmeno per sbaglio. Aveva cominciato in un partito che vedeva l’URSS come una poesia (diceva Gaber). L’Albania, un cono gelato. La Romania, un budino al cioccolato. Poi aveva detto: contrordine, compagni, il paradiso dei lavoratori non è esente da pecche, però non vuol dire. Noi siamo diversi. Siamo eurocomunisti. Che significa? Che (siccome in Cile al povero Allende vincere le elezioni purtroppo non è bastato) noi faremo il compromesso storico. PCI e DC. In due, facciamo il settanta per cento. O giù di lì. E chi s’è visto s’è visto. (E il trenta che resta? Affari loro: non avevano che da essere comunisti o democristiani). Il compromesso storico (che poi in nuce era già il progetto del PD: rischiare di non essere niente per la smania di essere tutto. O meglio: del partito della nazione), il compromesso storico dicevo, lo porta a dare una mezza fiducia ad Andreotti che pure un giorno sì e l’altro pure i comunisti descrivevano come il demonio. Perfetta doppiezza togliattiana, altro che “rottura” come la racconta Veltroni: dici una cosa e ne fai un’altra. Solo che capita l’inghippo: le BR rapiscono Moro (del piano berlingueriano il complice più accreditato) e il nostro Enrico subito adotta la famosa linea della fermezza: trattare? Non possumus! Tema in classe: ma perché? Svolgimento: Scalfari scrivilo tu che sei più bravo. Scalfari esegue: lo Stato, ove mai trattasse, si metterebbe sul piano medesimo ipso (Scalfari si esprime così, con l’ore rotundo) dei terroristi e la democrazia crollerebbe! Boh. Ma chi l’ha detto?

Il povero Moro dalla prigione sbotta: ma come? Trafficate notte e dì con cani e porci (senza offesa per le due categorie) e per salvar la ghirba a me invece vi scoprite sofisticati? Questo stato colluso con mafia speculatori e occupato militarmente da partiti che prendono più o meno ordini e soldi rispettivamente da CIA Unione Sovietica e Vaticano? (Dal Vaticano solo ordini; i soldi semmai il Vaticano li prende). Questo stato « clericalfasciostalinista »? Antifascista di professione e spesso ahimè fascista nella pratica (nelle bombe messe qua e là che chi è stato mai si saprà, nel corporativismo politico-statalista, nel partito che si fa stato e occupa la vita pubblica ogni giorno come Cristo si consustanzia nell’ostia)? Ora che c’è di mezzo una vita, una sporca vita come ogni vita lo è, sporca, questo stato si scopre purista? Il coro è (quasi) unanime: fermezza, fermezza, primavera di fermezza! Il sangue di Moro sarà il lavacro in cui purificheremo le nostre nefandezze. Finisce così che le BR fan fuori Moro per stanchezza. Come a dire, noi saremo anche un branco di poveri scemi e va bene, ma voi? Fine del compromesso storico.

A Berlinguer cosa resta? Non sapendo che fare, nel 1981 dà un’intervista a Scalfari e tira fuori la « questione morale ». I partiti fanno schifo, dice. Intendiamoci: non che fosse falso. E la questione morale è in sé anche giusta se vogliamo. Rubare non va bene, farlo sulla cosa pubblica meno che mai e poi mai. Solo che (secondo me) non è politica. È un’altra cosa. Puoi rivendicare la questione morale ed essere comunista, fascista, liberista, « qualunquecosista ». (O farne una professione: il « marcotravaglista »). Quindi a me, che sono scemo, di un politico non interessa sapere cosa pensa dell’onestà. Spero che la consideri importante, senza isterie, e che la pratichi più di quanto ne parli e la chieda agli altri. Tutto lì. Mi interessa invece sapere qual è la sua visione del mondo, delle cose, delle persone, delle vite. Dei marciapiedi. Del comunismo e del fascismo, della democrazia e della libertà di vivere, scopare, morire. Questo mi interessa, non “la questione morale”.

Se Berlinguer fosse stato davvero quel che ne dice Veltroni, nella sua narrazione edificante, secondo me avrebbe detto una cosa ben diversa. Non avrebbe parlato della “questione morale”. O magari sì, cinque minuti, ma non ne avrebbe fatto l’architrave della sua fase finale. Avrebbe detto qualcosa del tipo: compagni, il comunismo, in cui abbiamo sinceramente creduto, si è rivelato un’esperienza certo importante e complessa, ma globalmente -compagni- fallimentare. Quando costruisci muri per impedire alla gente di scappare da quello che dicevamo essere un paradiso, vuol dire che hai fallito. Spiace ma è così. E del resto lo vedete anche voi: noi del PCI (così avrebbe potuto, forse dovuto continuare, Berlinguer) comunisti già non lo siamo più da un bel pezzo. Siamo, nei fatti, un partito socialdemocratico. Moderatamente progressista. Che non si metterà a dare lezioni agli altri o a invocare la rivoluzione dei magistrati, perché fino all’altro ieri abbiamo preso soldi dall’URSS e allora ammettiamolo: ognuno in questo porco sistema si è finanziato come sapeva e poteva. E quindi, seguendo l’aforisma di Nietzsche (non scandalizzatevi compagni, non siate conformisti, e leggete anche Nietzsche se potete), da oggi diventeremo ciò che già siamo (così avrebbe dovuto continuare, Berlinguer) e che non avevamo il coraggio di riconoscere. Quello che a torto, fino a ieri, abbiamo spesso considerato nemico e insultato a botte di “social fascista”. Un partito del socialismo democratico, riformista; sociale in economia, fermo sui diritti dei lavoratori, convinto che tra le varie libertà ci sia anche quella di intraprendere (come del resto noi stessi facciamo con le cooperative), radicale sui diritti civili (che non sono «roba da ricchi», compagni), laico, libertario e garantista (la nostra Anna Maria Ortese lo aveva detto, no? Che in Italia il PCI era stato portatore di un «liberalismo d’emergenza»).

Un partito che non lascerà ai magistrati il compito di «ripulire » l’Italia in nome della morale, né il diritto di rompere qualche uovo in nome della frittata da preparare. Ai magistrati chiederemo solo di applicare la legge; senza guardare in faccia a nessuno ma rispettando sempre i diritti delle persone, innocenti o colpevoli. Un partito che non lascerà al compagno Craxi (che è intelligente e abile ma ha qualche cattiva abitudine e alcune pessime, disinvolte, compagnie) la bandiera del socialismo riformista. Perché rischia di portarsela con sé nell’abisso, e allora sarebbero guai. Rischieremmo prima o poi di trovarci, vai a sapere, in una «seconda repubblica » dominata da partiti senza politica, magari fatta da qualche magnate televisivo. E poi in una specie di terza, fatta di politica senza partiti, che nemmeno riesco a immaginare.

Se Berlinguer fosse stato davvero quel “grande innovatore”, quel prodigioso leader che Veltroni e tanti descrivono, questo avrebbe detto. Più o meno. Semplicemente. Perché sarebbe stata la semplicità che è difficile a farsi, come diceva Brecht: niente altro che riconoscere la verità delle cose. E forse noi ci saremmo risparmiati qualcuna delle catastrofi successive.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

3 Commentaires

  1. « Un partito che non lascerà al compagno Craxi (che è intelligente e abile ma ha qualche cattiva abitudine e alcune pessime, disinvolte, compagnie) la bandiera del socialismo riformista. Perché rischia di portarsela con sé nell’abisso, e allora sarebbero guai ».
    Tra tutti i « se » dell’articolo, mi sembra che questo sia il più improbabile in assoluto.
    Mai, in quegli anni (o nei precedenti) il PCI, soprattutto per direzione di Berlinguer, Tató ecc ha avuto parole che non fossero di scherno ed insulto per il riformismo socialista, rifiutando non già il socialismo liberale (che in quegli anni si andava delineando come svolta culturale per merito dell’opera di rinnovamento di Luciano Pellicani, Norberto Bobbio, Galli della Loggia, Carlo Ripa di Meana-biennale del dissenso- ecc) ma financo la socialdemocrazia, osteggiata, sminuita e rifiutata fino all’ultimo dal segretario comunista senza.che vi sia mai stata da parte sua una condanna NETTA di ciò che era e comportava il comunismo in URSS (socialismo reale), dichiarando perfino che a quelle latitudini si respirava indubitabilmente una « superiorità morale »(ci risiamo) che l’occidente non aveva. Il che risulta incredibile alla.luce di quanto certamente già allora si sapeva (biennale del dissenso ecc) nelle segrete stanze come nelle piazze.
    Mi scuso del.lungo preambolo, l’intento era di riaffermare che, dopo la lezione di Turati, di Rosselli, Matteotti, l’unica stagione autenticamente riformista del socialismo italiano (e non solo, chiedere a Blair) fu quella di Craxi e del suo minoritario Psi.

  2. interessante analisi che mette in rilievo aspetti postumi della figura di Berlinguer, ma le considerazioni fatte oggi servono a ben poco. Berlinguer era cosciente che il socialismo reale andava ripensato e riadattato e certamente il PCUS non era più il suo punto di riferimento.
    il PD attuale non mi sembra così innovativo e propositivo, sembra un partito che si accontenta di coltivare ognuno l’orticello della propria corrente, un partito di individualisti, un partito senza un capo di riferimento.
    Più che pensare a « se Berlinguer fosse stato… » mi preoccuperei di pensare a  » se il PD fosse stato… »

    Complimenti per il suo articolo e cordialità.

    • grazie. E certo, ha ragione: il passato è passato. E non tornerà. Quanto al PD, resta sempre una specie di partito mai nato. Che si definisce per negazione, per quel che non vuol essere. Più che per proposizione.
      Un cordiale saluto, Maurizio Puppo

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