Stefano Benni, lo scrittore scomparso recentemente, è stato tra i più grandi interpreti della letteratura, intesa come Epifania: rivelazione autentica dell’esistenza e della storia.
Benni descrive una realtà intrisa di sorrisi, di assurdo, di fantasia: un miscuglio orrido, ma ironico e lieve.
Perché a lui appartengono le due categorie principi individuate da Italo Calvino nelle Lezioni americane: la leggerezza e la rapidità.
Il cavallo Pegaso alato è davvero il simbolo di questa sua scrittura sorridente e profonda, che svela lati inediti della vita con una rapidità eccezionale.
La sua eloquenza è pari a quella di Nestore che secondo la dizione classica, aveva parole alate di persuasione.
Rispetto ai latrati odierni c’è un abisso, un abisso che Stefano Benni ha colmato soprattutto ne La Compagnia dei Celestini, l’opera del 1992 che ne consacrò la fama.
Quando venne a Reggio di Calabria quasi ci scusavamo per averlo richiamato così lontano, in un’oscura periferia dell’universo letterario. Ma lui tagliò corto: “Si può pensare anche qui”, disse e la frase mi fu di conforto nelle oscure stagioni successive.

Benni, Pegaso e Nestore insieme, ci ha persuaso che l’esistenza va guardata da molteplici lati e soprattutto con sorridente accettazione.
E non è cosa da poco, è un mestiere da stoici, che ha a che fare con la dea persuasione e con la necessità di sopportare il peso del dolore della morte.
Né esistenzialista né vitalista, Benni crede soprattutto alla letteratura, alla sua funzione salvifica, di correzione della volgarità, della fatica del vivere, dell’indifferenza.
Una forma di suprema bellezza. Ci mancherà.
Carmelina Sicari
ARTICOLI ALTRITALIANI LEGATI A STEFANO BENNI:
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