C’è stato un tempo in cui a Genova, dove sono nato, andando ai bagni Lido, in Corso Italia, potevi incontrare Paolo Villaggio e Fabrizio de André, e sentire l’odore dei pitosfori. In quel tempo, quando io ero bambino, a Genova c’era stato questo caso. Milena Sutter. Una ragazza di tredici anni (e tredici sembran pochi. Poi ti volti a guardarli e non li trovi più). Milena era stata rapita. La famiglia ricevette una telefonata: «Se volete Milena viva, prima aiuola Corso Italia ». Era l’indicazione per il riscatto : 50 milioni. Di lire. Per forza. «Eran palanche», come si dice a Genova, per dire che era una bella cifra. La famiglia i soldi (le palanche) le aveva.
Non servirono a nulla. Milena fu ritrovata il giorno dopo, al largo della spiaggia di Priaruggia, vicino allo scoglio di Quarto da dove partirono i Mille di Garibaldi. Morta. Il viso mangiato dai pesci. La camicetta e il maglione e la blusa della brava ragazza di buona famiglia che va alla scuola svizzera. Sotto invece era svestita. Una medaglietta portava il suo nome.
Per la sua morte, fu incolpato, poi assolto, infine condannato Lorenzo Bozano, il biondino della Spider Rossa. Un giornalista del Corriere Mercantile (antico giornale pomeridiano genovese, ormai chiuso), aveva raccolto una testimonianza circa un presunto «biondino» visto diverse volte, a bordo appunto di una Spider di color rosso, nei pressi della scuola di Milena. Il biondino era lui. L’anno era il 1971, il giorno aveva cinque teste, io ero bambino, a Genova ne parlavano tutti. Una cosa enorme, una cosa sconfinata, che non stava dentro a nulla, tanto grande da sembrare un sogno. Se ne parlava piano. Come in sogno.
Per noi, alla periferia della città, quei luoghi, quei nomi, erano carichi di mistero. Corso Italia silenziosa, borghese, lucida di sole. Una Promenade des anglais tra liberty e crepuscolarismo, tra abbazie medievali e villette, ma, a differenza della passeggiata di Nizza, scostata e scostante rispetto al centro cittadino, e perciò sospesa, immobile. Bellissima ma di una bellezza solitaria, allucinata. Era l’inizio degli anni Settanta, quelli in cui Genova lo sarebbe divenuta, una città livida e spettrale e cattiva, con l’omicidio del magistrato Francesco Coco tra via Balbi e la scalinata di Santa Brigida, quella dell’operaio Guido Rossa all’Italsider, e poi Piazza de Ferrari piena sotto la pioggia, e la strage di Via Fracchia dove i carabinieri uccisero quattro brigatisti. Quella stagione che per l’Italia era cominciata a Milano con la strage di Piazza Fontana nel 1969, a Genova era iniziata con Milena Sutter.
Perché il biondino era andato a cercarla, rapirla, ucciderla, mettere dei piombi al cadavere e buttarla in mare, perché? Perché? Dove è tesa la tagliola? Tra gli incubi di bambino ricordo una frase, detta da qualcuno, sussurrata, come di chi dice una verità che non si vuole pronunciare troppo forte: La gente che sa dice che Milena Sutter non era una santarellina.
A me, più di ogni discorso complicato, si stampò in testa quella frase. Non era una santarellina? Milena, sorellina mia, sorellina nostra, il viso scarnificato per i pesci che te lo hanno mangiato, nuda e senza scarpe. Quella frase: « la gente che sa dice che Milena Sutter non era una santarellina ». Santarellina da scuola svizzera. (Forse. Forse se l’è andata a cercare. Dicevano. Dicono. La gente che sa. Forse. Certo. Questo non giustifica nulla. Ci mancherebbe altro! Da lì a fare quello che è stato fatto. Però. Però).
E anche : “era una ragazza un po’ movimentata”. Ma già non è più Milena, questa. Questa è una ragazza del 2017. Non è Genova, è la Calabria. Non è più il Novecento, forse è quel Novecento che si ostina non finire. «Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare ».
Le ragazze se la vanno a cercare. Per come si (s)vestono. Voci del paese. La ragazza di Calabria vive ora, qui con noi, ha quattordici anni, e quattordici sembran pochi (poi ti volti a guardarli e non li trovi più). Quando ha cominciato a essere violentata, regolarmente, ne aveva tredici. L’età di Milena Sutter. Nei verbali scrivono: «un metro e cinquantacinque per quaranta chili». I verbali sono precisi. Misurano le cose. Il paese è Melito di Porto Salvo, Calabria, Italia, Europa. La ragazza va a scuola e la scuola si chiama Corrado Alvaro. «Che si guardassero nella loro famiglia prima di giudicare e scrivere cazzate su FB (facebook, nrd). Moralisti del cazzo». «Solo Dio può giudicare», scrivono gli amici degli accusati, su Internet.
Pare che la violentassero in sette. O in nove. Pare che la fotografassero durante i rapporti. Usando quelle foto come arma di ricatto. Per continuare il gioco. Andavano a prenderla all’uscita da scuola e via! Queste le accuse. Gli accusati sono noti in paese. Il figlio di un presunto boss di ‘Ndrangheta, il figlio di un maresciallo dell’esercito, il fratello di un poliziotto.
C’è stata una fiaccolata di solidarietà (verso la vittima. Temo che sia bene precisarlo). Sono andati in pochini.
Questo è avvenuto negli stessi giorni in cui, in séguito a un episodio di violenze sessuali avvenuto a Rimini, di cui sono stati accusati tre marocchini e un nigeriano, Matteo Salvini ha scritto : «vi presento Guerlin Butungo, accusato di essere il capobranco dello stupro di Rimini. Arrivato in Italia dal Congo 2 anni fa, ospite, a spese degli italiani, in Umbria come richiedente asilo, era particolarmente attivo anche su Facebook con tante belle foto… Ma da che guerre scappa uno così? Non vedo l’ora di fare una bella PULIZIA, gli italiani sono stanchi di importare criminali da tutto il mondo! ». E un altro politico della Lega, Calderoli, ha (avrebbe) parlato di “castrazione chimica”, per gli immigrati durante il loro soggiorno in territorio italiano (lo riferisce il Giornale; molti i commenti entusiastici). «…Dobbiamo non solo acciuffarli, ma fargliela pagare…dobbiamo tirare fuori i coglioni, applicare le leggi e fare scontare le pene e rendere duro il carcere…». «Si dovrebbe arrivare ad un minimo di 30 anni per ciascuna bestie (sic). In Italia il problema è che non c’è la certezza della pena e che troppi balzelli creano degli (sic) sconti, non tralasciando che le bestie sono delle risorse Boldriniane quindi viziate e coccolate da una certa politica lassista e buonista».
Sono commenti che prendo dal sito del quotidiano Libero. In questo caso nessuno si azzarda a sostenere che le vittime della violenza se la siano cercata. Anzi: la responsabilità dell’atto (che in teoria, in uno stato di diritto, dovrebbe essere solo e sempre individuale) viene fatta ricadere senza troppi tentennamenti sull’intera comunità di appartenenza, cioè in questo caso sugli immigrati.
La tesi della «provocazione» femminile (assente nel caso dello stupro di Rimini) riappare però d’incanto nel caso dei due carabinieri accusati di volenza sessuale su due ragazze americane. Tra i commenti sul sito Internet del medesimo quotidiano, Libero, leggo: «le donne molte volte son delle grandi mignotte se le non vuole (sic) è molto difficile che avvenga, non è molto chiara la storia dell’assicurazione forse volevano farsi pagare le ferie?».
Da tutto questo, io non so cosa si debba ricavare. Ma forse qualcosa c’è: e cioè che per molti, per molti di noi, la violenza sulle donne è più o meno colpa delle donne, quando a commetterla è un locale, qualcuno che potrebbe essere un amico, un conoscente, un parente (Milena Sutter «non era una santarellina», la ragazza di Calabria «se l’è cercata», era «movimentata»). Qualcuno che ci somiglia. Ed è invece colpa della bestia stupratrice (possibilmente da castrare) a condizione che la succitata bestia sia di diversa ed esotica provenienza. Sia qualcosa d’altro da noi. Sia uno con una faccia da straniero, con une gueule de métèque, de Juif errant, de pâtre grec. Nihil sub sole novi, del resto.
Un vignettista che in genere non mi piace molto (Vauro) l’aveva già sintetizzata bene: “le nostre donne ce le stupriamo noi!”. E basta.
Difficile ammettere una cosa che invece è molto semplice: e cioè che uno stronzo è tale indipendentemente da nazionalità, provenienza, colore, maglietta, divisa, fede religiosa e (persino) calcistica. Che il mostro potrebbe avere la nostra faccia, le nostre mani, la nostra voce. Nel frattempo, dal tempo di Milena povera perduta nel mare di Quarto, qualcosa è cambiato davvero. L’odore dei pitosfori, in Corso Italia, a Genova, non c’è più. E scendendo da Corso Italia al mare, mai più ci capiterà, ai bagni Lido, di incontrare Fabrizio de André e Paolo Villaggio.
Maurizio Puppo
Attenzione alla puttana santa!
Ho letto ora il tuo articolo, il tuo piccolo romanzo, ho le lacrime agli occhi e un po’ di paura negli occhi. Bello leggere qualcosa di così pienamente sentito e intenso, anche se fa un po’ male. Grazie e ciao.