A pochi giorni dal voto (e in quale momento, per questa nazione!), dopo tanto chiacchiericcio fatto di propagande e di maldicenze l’una contro l’altro scagliate, verrebbe da zittirli tutti, di confutare un “basta!” collettivo, e istituire non utopicamente una giornata senza più parole. E’ utopia, certo.
Eppure tacere ci illuminerebbe per un giorno la vita, senza spiegarla. Il silenzio ci insegnerebbe a guardarci – finalmente – nel profondo, sapere chi siamo di fronte a tanti piccoli e grandi eventi che la quotidianità ci riserva. E poi smettere per un giorno di ascoltare le manfrine di uomini capricciosi che come bambini si rinfacciano responsabilità, riesumando ruoli di potere inconfutabile. Parole e solo parole. Scriveva il poeta giapponese Kawazaki: “La luna illumina una rosa. E non si vedono parole”. Occorrerebbe riannodare a noi lo scorrere della natura, riascoltando magari quell’Oceano di silenzio suggerito da Battiato. E invece parlano, parlano. Le parole usate talvolta senza un filo conduttore, strillate o declinate con calma, ma con una rituale forma retorica. Come la retorica della giovinezza, che si va spargendo come “stucchevole miele in ogni interstizi o della vita italiana. E così toglie ai giovani la loro realtà. Li trasforma in una figura mitologica. Ed elevandoli a categoria astratta, ne esorcizza la forza potenziale.” E’ la considerazione non proprio recente tratta da una analisi sociologica, sulle difficoltà di inserimento delle fasce più deboli, giovani e donne, cui oggi si aggiungono cassintegrati di lungo corso e – dal lessico del recente governo – anche esodati.
Non c’è più tempo per la retorica, i conti si fanno con il debito pubblico, con l’economia sommersa e occulta, con l’alta finanza e con i poteri forti. Al cittadino (che nei prossimi giorni si chiamerà “elettore”) non resta che l’operosa acquiescenza di uno stato di diritto, della democrazia diretta che si esprime con il voto. Basterà a cambiare le cose: interrogativo o affermativo che sia, occorre un ulteriore atto di fede. Basta che non ci aggrediscano ancora una volta di inutili e scontate ridondanze, c’è molta più maturità in giro di quanto si pensi.
Scriveva Dostoevskij (ne “Le notti bianche”): “Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esserci solo quando si è giovani, il cielo era così stellato e luminoso che alzando gli occhi, malgrado tutto bisognava chiedersi: E’ possibile che sotto un simile cielo possano vivere esseri arrabbiati e capricciosi? Anche questa è una domanda giovane, molto giovane … possa il Signore ispirartela più spesso.”
Possa il Signore ispirarcela più spesso, magari in silenzio.
Armando Lostaglio