Una Europa senza europei.

Mai così bassa l’affluenza al voto per l’elezioni del nuovo parlamento europeo. Occorre una seria riflessione sulla disaffezione, finanche in Italia, verso l’Europa. Eppure, più delle 60% delle leggi nazionali provengono da direttive europee. La crisi della politica impone risposte rapide, oppure il rischio è una pericolosa fine dell’esperienza europea.

Ad urne chiuse la sensazione è raggelante.
Quasi il sessanta per cento degli europei non è andato a votare. Ci sono casi come la Slovacchia o l’Ucraina dove l’80% non si è recato ai seggi. Tengono alta la bandiera della partecipazione con oltre il 90% di votanti, solo Belgio e Lussemburgo (ma lì il voto è obbligatorio). Finanche in Italia dove i cittadini andrebbero alle urne anche per votare per la cantante più brava, si fatica a raggiungere il 60% di partecipanti. I francesi hanno preferito una gita fuori porta.
Per l’Europa un pessimo segnale.
Eppure l’Europa ha sempre più voce anche nelle legislazioni di ciascun paese. Circa il 60% delle leggi che i nostri parlamenti approvano sono frutto di direttive europee, non è cosa da poco.
Come spiegarsi questa disaffezione, questa sfiducia che fa seguito, alle bocciature della Costituzione europea, avvenuta in vari paesi, come la Francia, l’Olanda, l’Irlanda. Come spiegarsi il perché dell’entusiasmo di tanti paesi, per l’entrate in Europa, basti pensare all’est europeo, seguito poi da tanto disinteresse al momento clou della partecipazione popolare. Ricordiamo tutti le immagini delle feste in strada di polacchi, bulgari, rumeni, slovacchi, finalmente in Europa…e ora?
La realtà è che occorrerebbe ricordarsi dell’Europa non solo a due settimane dall’elezioni, occorrerebbe che i partiti, specie quelli che si dichiarano europeisti, facessero dell’Europa un riferimento costante della loro politica, un obbiettivo centrale per il futuro.
Occorrerebbe delle ideologie europee che coinvolgesse tutta la società del continente.

Ancora una volta, la politica sembra più indietro dei cittadini.

I quali, a mio giudizio, più che una disaffezione verso l’Europa come idea, hanno manifestato una sfiducia nei confronti dei partiti che stanno costruendo questa una Europa senza amore, senza passione.
L’Europa è molto più avanti dei governi che l’amministrano. Le statistiche dicono che aumentano i matrimoni tra europei, molti giovani tramite l’Erasmus vanno a studiare nei paesi della comunità, molti emigrano (ad esempio dal Sud Italia, cercando lavoro) verso la Spagna, La Francia, la Germania, l’Inghilterra, altri dalla Romania, Bulgaria, Ucraina verso l’Italia, la Germania, ecc.. Ci sono flussi interni al continente a riprova che molti vedono nell’Europa una seconda opportunità, se non una seconda patria o casa.
Rispetto a tutto questo, la risposta della politica è francamente deludente. L’informazione politica è scadentissima, gli sforzi per potenziare l’idea di una Europa nazione, sempre più flebili. E’ indicativo che le forze politiche “euroscettiche” siano state le più attive nella campagna elettorale, per contro le poche forze che si sono realmente impegnate, per parlare di Europa, e non solo delle questioni interne al proprio paese sono state premiate. E’ il caso di Europa Ecologie di Daniel Cohn-Bendit che ha realizzato una incredibile performance, arrivando ad insidiare il secondo posto del PS largamente staccato dalla UMP di Sarkozy. La realtà è che il vero vincitore è stato l’uomo del Maggio francese, su questo punto non possono esserci dubbi. Il buon successo dell’UMP poteva essere previsto, specie dopo l’impegno governativo nel semestre di conduzione europea, ma pochi avrebbero creduto, sei mesi fa, nell’exploit degli ecologisti.

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Proprio questa vittoria dimostra la scarsa disaffezione verso l’Europa. Chi ha votato ha colto negli ecologisti l’unica forza interessata a parlare d’Europa, dei suoi progetti e del suo futuro, mentre gli altri continuavano a litigare su polemiche tutte interne alla politica francese, dimenticando il vero ed unico oggetto della consultazione popolare.
Molto deve riflettere la sinistra europea, che tranne qualche eccezione (ad esempio Grecia, Danimarca) è la vera sconfitta di queste europee. Finanche Zapatero in Spagna ha conosciuto l’amarezza della sua prima defaillance elettorale. Per non parlare dei balbettanti laburisti inglesi, ridotti a terza forza nel loro paese o dei socialdemocratici tedeschi che conoscono il peggior risultato elettorale della loro storia al parlamento europeo. In Olanda e nell’est, spira un gelido vento da destra. Si tratta di forze che con l’eccezione della Merkel (significativamente sconfitta anche lei) non sono mai state “appassionate” per l’unione europea.

La sinistra francese sembra incapace di comprendere la propria inattualità, continua imperterrita ad immaginare un mondo che non esiste, priva di proposte e d’idee, si limita ad una sterile e personalistica polemica con il capo d’Eliseo. Un errore paragonabile ad un certo antiberlusconismo che nasconde in Italia la difficoltà di proporre un progetto serio e forte di alternanza, con chiari obbiettivi, non suscettibili di confusi e fuorvianti compromessi.
Il successo significativo di forze della destra xenofoba, nazionalista, dimostra, ancora una volta, come la mobilitazione abbia coinvolto più gli antieuropeisti, ed è un ulteriore segnale di arretramento di un progetto che invece, per molti versi costituisce, in piena globalizzazione, un percorso obbligato, inevitabile, se non utile e necessario.
Certo l’attuale classe politica europea è francamente poco illuminata, molto mediocre e spesso corrotta (su Gordon Brown, ad esempio, avrà certamente pesato la serie di scandali che ha costretto alle dimissioni ben cinque ministri del suo governo), non si vedono Obama all’orizzonte, e le continue lotte per favorire egoisticamente i propri paesi, non consentono la maturazione di una cultura e di una coscienza europea.

La patria Europea sembra ancora lontana da venire.

Può sembrare paradossale, ma credo che, ad esempio, il disagio del PD in Italia di trovare collocazione in un raggruppamento europeo sia giusto e fondato. Come si fa a schierarsi con gli attuali socialisti (di cui va rispettata la storia e l’importanza che hanno avuto in tanti episodi di progresso sociale e culturale nei propri paesi) che sembrano una forza politica vecchia, non in linea con una visione del cambiamento che non sia la perenne riproposizione di modelli superati e non più attuali. Ancor più come si fa a sedersi con i cattolici democratici, che sembrano una forza anch’essa vecchia, obsoleta, conservatrice nella sostanza e incapace di qualunque politica sinceramente sociale o finanche liberale. La realtà e che le forze politiche (tutte) devono ritrovare la capacità di rinnovarsi negli uomini e soprattutto nelle idee.

Un Europea in cui gli Irlandesi si prendono gli aiuti economici e poi non votano la Costituzione; un’Europa in cui la Polonia pone i suoi veti ad ogni iniziativa sia vissuta come non utile ai propri interessi nazionali; una Europea dove si rifiuta la moneta unica perché si è fedeli egoisticamente ai vantaggi della sterlina, come in Inghilterra; o dove al primo acquisto di una banca da parte di concorrenti europei si scatenano sentimenti falsamente patriottici; una Europa che non riesce ad imporre il rispetto delle proprie contestazioni ai suoi associati o dove si assiste alla tragicomica vicenda dell’Alitalia, non è un’Europa che può andare molto avanti.

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Intanto, non si capisce perché i partiti non si sforzino di uscire del proprio ambito nazionale divenendo forze transnazionali, dialogando e federandosi con forze politiche affini o simili, costruendo un dibattito che esca dalle proprie questioni interne al fine di realizzare un’idea comune di Europa impegnandosi per la crescita di una coscienza politica condivisa su un progetto ideologico di società europea del futuro (magari prossimo).
Perché non si chiude con l’anacronistica NATO e non si costituisce un unico esercito europeo capace di difendere i confini del continente e di agire per azioni umanitarie?
Perché non si sviluppa un impegno comune per la ricerca scientifica e universitaria, costruendo fondi comuni ad essa destinati e mettendo uno accanto all’altro le migliori menti e i più laboriosi ricercatori? Perché non si lavora per creare un sistema sanitario comune con precise regole, applicabili su tutto il territorio? Magari con un unico prontuario farmaceutico? Perché non aumentano le coproduzioni e gli scambi culturali per meglio far circolare la cultura europea e farla conoscere? Perché non si rende l’esperienza di Erasmus obbligatoria per tutti gli studenti, facendo cosi che anche l’apprendimento, almeno dell’inglese, sia più diffuso? Sono solo alcuni esempi ma credo efficaci, su quanto ancora si deve fare per costruire un’Europa che sia degli europei.

Può piacere o no, ma senza Europa ciascun paese sarebbe molto più povero e debole. La drammatica crisi economica di questi mesi avrebbe avuto effetti ben più devastanti e senza altro paragonabili a quelli del 1929.
E’ indubbio, che l’Europa negli ultimi anni sia cresciuta troppo e con regole non sempre certe. Dall’Europa degli otto che avevano una loro omogeneità economica e culturale, si è passati ad una Europa dei 27 comprendendo le realtà economiche, sociali e culturali più disparate, in una operazione certamente appassionante, di adesione e coinvolgimento ma non immune da difetti di analisi politica e che rende ancor più paralizzata l’istituzione europea che su ogni importante decisione si trova costretta ad una defaticante e spesso inutile attività di mediazione.

Così mentre, gran parte dei cittadini si sentono europei, le forze politiche e dei vari governi, non riescono a produrre un pensiero europeo che sia frutto di una visione comune più ampia e libera dagli egoistici specifici di ciascuna nazione.
Ma mentre in Europa e in ciascun paese si amministra (perlopiù male) il presente, manca progettualità per il futuro e il nostro continente a breve arrancherà disperata dietro la Cina, l’India e la sempiterna America, rischiando, a quel punto sì, di essere colonizzata, ma non dai poveri immigrati che si cerca di emarginare fino al punto da farli diventare un problema in più, ma dalle nuove multinazionali (non dimentichiamo la Corea del Sud, la Thailandia, lo stesso Giappone, nonché i sempre forti paesi del golfo) che già hanno iniziato la loro campagna acquisti, svuotando il mercato occidentale specie quello europeo dei suoi pezzi più pregiati, assicurandosi imprese che un tempo erano la colonna portante dell’economia del continente.

Il punto è che non rimane più molto tempo ed il rischio è che alla fine di queste occasioni perdute ci troveremo un’Europa sempre più debole e priva di europei (convinti).

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.