Per le bambole ormai esiste di tutto, passeggini, case, corredi, auto – e potremmo continuare a lungo l’elenco -, ma qualcuno ha mai pensato che ad una bambola possa servire un ospedale? Girovagando lungo il decumano inferiore dell’antica Partenope, s’intravede una targa sbiadita, bianco e rosso in ferro battuto con la scritta “Ospedale delle Bambole”.
Il “pronto soccorso” opera principalmente sulle bambole, ma sono “ricoverati” anche cavallucci a dondolo, pastori, giocattoli rigorosamente artigianali. Le bambole, spesso in porcellana decorate a mano con abiti e ombrellini di pizzo, abbandonate e trascurate per molto tempo, ritrovano nel laboratorio di Luigi Grasso il sorriso e la bellezza del tempo andato.
Nella struttura, un piccolo locale di Via San Biagio dei Librai, 81, inaugurato nel 1899, accorrono da ogni parte d’Italia nostalgici, possessori e collezionisti di antichi e moderni balocchi.
L’idea fu del nonno di don Luigino, scenografo al San Carlo di Napoli che iniziò come passatempo a riparare bambole di cera o di pezza e, raramente di porcellana. Poi suo figlio Michele, scultore di statue e statuine da presepe ne fece un vero lavoro aprendo bottega nei pressi della Via dei Pastori. Continuatore dell’affascinante arte, l’attuale titolare con la collaborazione della figlia Tiziana e l’interesse degli ultimi tre nipotini.
Sparse un po’ ovunque sugli scaffali, nell’attesa di essere riparate, bambole d’epoca dall’espressione triste e qualche pezzo mancante. Pastori del Settecento e Ottocento, l’epoca d’oro del presepio napoletano, sono in mostra alla rinfusa, insieme a Madonne antiche di rara bellezza. Pupi siciliani alti settanta/ottanta centimetri. Alle pareti attestati di stima, copie di giornali ingialliti e guide straniere che parlano dell’attività dell’unico restauratore di pupattole.
Prima dell’avvento di Barbie, la bambola era privilegio di pochi, a volte trastullo di principesse e regine, costruite con gran maestria in Italia, Germania, Francia con il legno, poi con la cera, più tardi con la cartapesta e la porcellana. In Val Gardena coinvolgeva intere famiglie: chi si occupava dei corpi, chi degli arti, chi intagliava le teste e chi le decorava. All’inizio dell’Ottocento il legno fu soppiantato da altro materiale. Le teste avevano lineamenti e acconciature che obbedivano alla moda del momento. In altre erano inseriti occhi di vetro e piccoli denti di bambù. Con il biscuit si seguì il metodo messo a punto per la cartapesta. Anche in questo caso la pasta morbida della porcellana era pressata nelle due metà dello stampo, fatta essiccare, dipinta e cotta in appositi forni a temperature elevate.
Verso la fine dell’Ottocento, Parigi con le sue ditte più note – Gautier, Barrois, Jumeu, Bru, Steiner – decretò l’affermazione del “bebè” francese. Quei balocchi furono muniti di meccanismi per parlare, camminare, mangiare e bere.
Dai maestri artigiani si è passati agli industriali di oggi, ai “designers” attenti a produrre secondo concetti consumistici e concorrenziali, a scapito inevitabilmente della qualità. L’Italia è uno dei maggiori produttori di bambole. Basti ricordare la Lenci, la Furga e la Alma di Torino.
“Spesso riparo bambole per uomini e donne non più giovani. Non ha importanza il loro valore economico, ma soltanto quello affettivo”, dice Tiziana figlia di don Luigino conosciuto nel popolare quartiere San Lorenzo come il “medico delle bambole”. Non era solo vanità, quella dell’anziano maestro in camice bianco di annotare sulla ricevuta diagnosi e intervento da eseguire in dieci giorni s.c. ma rispetto verso il cliente.
Il sogno di Tiziana, erede di quarta generazione, è stato istituire a Napoli il Museo dell’Ospedale della bambola. Esporre la ricca collezione di famiglia creando laboratori didattici e stages. L’Ospedale delle Bambole oggi non è più quindi soltanto un’antica bottega di artigiani, un posto dove rivivere la gioia di un momento unico, come la consegna di un dono speciale, ma è un luogo magico di curiosità e apprendimento, il Museo di tanti piccoli visitatori e delle loro famiglie
In Italia, rari esemplari di bambole settecentesche sono raccolte nelle sale della Rocca Borromeo ad Angera in provincia di Varese. Altrettanto a Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova. Da quelle di biscuit, cartapesta e legno, vinile, all’ultima arrivata Barbie (ormai cinquantenne); il tutto arricchito da un fantastico corredo di cavalli a dondolo, oggetti in miniatura, piccoli servizi di ceramica, automobiline, puzzle, foto d’epoca ma a Napoli, nel colorito quartiere dei Tribunali, l’Ospedale delle Bambole ha tutt’altro fascino.
Mario Carillo
Il sito dell’Ospedale delle bambole
Tiziana Grassi: Da quattro generazioni ci prendiamo cura dei tuoi ricordi. Questa è la storia di un pezzo di Napoli, della mia famiglia, la mia storia. QUI
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