“La Napoli del futuro? Non la vedo, o meglio sprofonderà”. Con queste parole Domenico De Masi, sociologo e docente presso la facoltà di Sociologia dell’Università La Sapienza di Roma e presidente della Fondazione Ravello, parla del capoluogo campano.
“I turisti oramai giungono a Ravello senza passare per Napoli, – continua il sociologo- hanno paura della città. Abbiamo una saturazione dei posti letto del 26% all’anno, in contrapposizione al 70% della Francia, ci sono le strutture, ma sono vuote a cause dell’immagine offerta dalla città, di cui sono responsabili anche i media e la stampa. Anche a Roma si sente il timore di un’eventuale diffusione della camorra specialmente nel controllo di alcuni locali”.
Un avisione per nulla ottimistica quella di De Masi, il quale comunque lotta per “portare avanti la mia piccola battaglia per Ravello, qui la fondazione, manca di accordi sulla gestione, e la conclusione è che essa rimane chiusa. Il paese salernitano ha 1500 abitanti, basta moltiplicare tutto per 100 è si avrà un’idea della situazione napoletana. A Napoli c’è un infantilismo diffuso, dove i migliori se ne vanno e rimangono solo situazione e realtà disperate che non possono reggere il peso che grava sulla città”.
Problemi dovuti alla camorra, certo, e alle istituzioni, ma che sono senza dubbio lo specchio di un popolo che sembra rassegnato: “I napoletani non sanno cogliere e sfruttare a loro vantaggio le situazioni favorevoli che la vita offre. Non c’è una grande intelligenza collettiva”.
Di diverso parere rispetto a Masi è Rachele Furfaro, ex assessore della Cultura del Comune di Napoli e attuale Presidente della Fondazione Campania dei Festival, che parla del capoluogo campano come della città dai mille volti che la rendono unica. Anche a lei abbiamo fatto qualche domanda.
Giorgio Bocca e Domenico De Masi hanno un’immagine della città napoletana catastrofica, Lei cosa oppone?
«Mi farebbe piacere conoscere l’immagine catastrofica che Bocca e De Masi hanno di questa città. Entrambi non abitano e quindi non vivono quotidianamente Napoli che sicuramente ha molte contraddizioni, ma anche delle punte di eccellenza e una “normalità” che le permette, nonostante le difficoltà, di essere una grande capitale. Certo non mi rispecchio nella città che Bocca ha raccontato in “Napoli siamo noi “ e in “Inferno”. Sono convinta che dalle contraddizioni emergano i grandi cambiamenti e gli adattamenti che una città è portata a fare nel suo evolversi. Penso inoltre che esistano una città oggettiva, una città percepita e una città immaginata. Queste tre città spesso non combaciano. Nella Napoli catastrofica di Bocca in realtà si ritrovano tante città di oggi: la sua, per me, è un’analisi dei rischi e dei problemi che si trovano ad affrontare oggi le grandi metropoli. E su questi elementi catastrofici anche Napoli sta proponendo le sue piccole grandi soluzioni che potranno valere anche per le altre metropoli che vivono i suoi stessi problemi. Dice Adonis poeta franco-libanese, ospite della prima edizione del Napoli Teatro Festival: Napoli non ha problemi diversi da altre città, ma li esprime con intensità inusitata».
Quali sono i fatti che spingono a pensare ad un futuro radioso per Napoli?
«É superficiale pensare che ci siano soluzioni o ricette a cui affidarsi. In questi ultimi dieci anni abbiamo assistito all’emergere di due città opposte e contrarie: la Napoli del rinascimento napoletano nella quale si è identificata e alla cui costruzione ha partecipato la parte sana della città, e la Napoli avvilita dalle vicende dei giochi di potere e dai soprusi. Ci sono state fasi in cui Napoli e i napoletani sembrava avessero recuperato una propria identità e forza e che, la città dei “lazzaroni” aveva lasciato il posto alla nuova immagine di città Europea unanimamente riconosciuta. Negli anni 90 si è pensato che il traguardo raggiunto fosse definitivo. La storia recente ci racconta, invece, che la cosa più difficile è il mantenimento di questa condizione. Io credo che un cambiamento possa definirsi riuscito quando si radica profondamente dentro ciascuno di noi».
Rifiuti, malaffare, litigiosità politica, cosa si può contrapporre a tutto questo?
«Io credo che alla città del malaffare si contrappone la società civile, fatta di bambini, giovani, professionisti, commercianti, artigiani, artisti che vivono ed operano nella legalità, che coltivano i propri sogni e le proprie ambizioni, camminando su un binario parallelo. E spesso pagano lo scotto di non fare notizia. Questi hanno valori solidi su cui poggiare».
Napoli è la città dei luoghi comuni, in positivo e in negativo, quali sono state le origini di tali topos?
«Sono il frutto di una stratificazione di cambiamenti economici, sociali che in questa città hanno avuto anche esiti molto drammatici, penso per esempio alla crisi post-industriale e al terremoto».
Il Napoli Teatro Festival è una grande vetrina per la città. Come ci vedono gli stranieri (turisti, operatori culturali, attori, teatranti, ecc)?
«Oggi devo dire come partner affidabili con cui progettare a lungo termine iniziative comuni. Il Napoli Teatro Festival com’è noto, è una realtà giovane, che si è subito proposta alla realtà internazionale con professionalità alte, standard di qualità e una dose elevata di elementi innovativi».
Come può Napoli riconquistare una forte immagine internazionale?
«Proseguendo nel dialogo con Istituzioni e professionisti Internazionali creando cooperazioni a lungo termine con le quali trainare le forze più giovani e qualificate del territorio campano e nazionale».
Attualmente cosa sta facendo la Regione per sponsorizzare e valorizzare la città e la sua immagine nel mondo?
«La Regione Campania ha creato in questi anni condizioni di stabilità affinchè si potesse lavorare con una prospettiva di lungo periodo. Questo ha permesso di radicare alcune esperienze e far nascere professionalità oggi indispensabili per proseguire nel consolidamento di cooperazioni con altre Regioni e Nazioni».
La Fondazione Campania dei Festival, che Lei presiede, offre opportunità di promozione per la più giovane creatività. Come mai si registrano ancora “fughe di cervelli”? Come si può trattenere dall’esodo la nuova generazione?
«La mobilità anche professionale non va vista sempre come una fuga. Oggi è importante coniugare l’identità locale con quella internazionale. I nostri giovani devono saper investire in entrambe le direzioni. Chi possiede questa capacità ha una marcia in più in tutti i settori, ma soprattutto in quello della cultura. Come dice Italo Calvino: le cose vicine si vedono meglio da lontano».
Interviste di Violetta Luongo