Le barbe incolte e i capelli mossi fin sulle spalle, l’accento che ti ricorda l’odore di caldo e erba, e quel loro essere assolutamente indistinguibili a primo acchito…sono le prime cose che ti si stampano in testa quando li incontri e li conosci. Giovanni e Francesco Semeraro, gemelli pugliesi, sono due terzi dei Telamure (il terzo è il calabrese Francesco Rosa, dal passato reggae), il gruppo che da più di un anno ormai fa ballare Parigi (e non solo) a ritmo di tarantelle, tammurriate e pizziche.
Li puoi trovare nel locale rinomato per i concerti world, oppure a una “festa di vicinato”, piuttosto che alla festa della musica, ospiti del Centro culturale italiano davanti al quale, alle 7 di sera, fai fatica a passare per la gente che balla. Ormai sono un must, diciamolo, per chiunque ami passare una serata tra le sonorità del Sud Italia.
Coppola in testa, sorriso sempre stampato e battuta pronta, i Semeraro li abbiamo invitati a cena per parlare un po’ di quello che vuol dire oggi fare musica tradizionale e soprattutto farla all’estero. Chiacchierare di memoria e della loro terra, davanti a un buon bicchiere di vino (Bordeaux, perchè quello paesano è arrivato la settimana dopo) è sempre un piacere, se poi nella stessa stanza c’è anche un’antropologa lucana (ahi!), appassionata di memoria, sud e, soprattutto, tradizioni, (ahi, ahi ahi!), l’intervistatore si fa da parte e parte una chiacchierata a 4, che parte dalle domande poste dal profano (più o meno) e partono per la tangente.
La tradizione ha insita in sé l’innovazione. Voi fate musica tradizionale in cosa consiste la vostra innovazione?
Francesco: Anche io sono convinto che l’innovazione sia all’interno della tradizione. Un giorno un mio amico, che è uno dei più conosciuti ricercatori pugliesi, ci ha portati a casa di uno dei più anziani suonatori, quelli più registrati dai ricercatori attuali, e in pratica abbiamo fatto una serata, abbiamo cenato insieme e poi abbiamo suonato un po’. Giovanni ha suonato una sua… una pizzica così come l’aveva ascoltata da una registrazione di questo signore, l’aveva eseguita quasi perfettamente come l’aveva sentita da lui, ma lui non l’ha riconosciuta e ha detto proprio: “non la riconosco” – ma come è la tua! – “no, non la riconosco”, dopodiché abbiamo suonato uno pizzica, una musica originale, completamente originale, che ha lo stesso ritmo della pizzica, molto banale, che però era completamente originale, alla fine della musica il signore, 80-85 anni ha detto: “ah, questa è una bella pizzica” per dirti in cosa consiste per me, penso per tutto il gruppo, l’innovazione: è suonare la musica tradizionale, quella che abbiamo appreso, ovviamente, per via orale a proprio modo. Come esce, senza schemi, ma come esce… .
Per quanto riguarda il caso dei Telamure come concezione comune… beh facciamo uscire dei ritmi che rimangono in nuce un po’ nella musica tradizionale, per esempio i giochi che facciamo con la musica reggae oppure qualcosa che sa di jazzato, qualcosa che, però, esce naturalmente, senza forzare. Ci divertiamo a non fare la pizzica reggae ma a fare uscire dalla base molto semplice dei brani tradizionali, dei ritmi che possono fare l’occhiolino ad altri generi.
Quindi l’innovazione è soprattutto nella musica piuttosto che nei testi?
Giovanni: Sì, sì, i testi rimangono sempre quelli più tradizionali perché sono quelli più conosciuti, tramandati; in realtà sono le uniche cose scritte della nostra musica tradizionale. L’unica cosa che si può scrivere, perché la musica è molto improvvisata, anche lo stesso anziano che suona la musica tradizionale se lo registri dieci volte di seguito farà sempre cose diverse, per questo non si è riconosciuto nella cosa che ho fatto io, perché magari nella sua mente lui pensava già ad altre melodie, ad altri moduli melodici.
Quali sono le vostre fonti sia a livello tradizionale che non?
F: Molti degli appassionati di musica popolare non riconoscono per niente il nostro repertorio, non lo hanno mai sentito, perché sono pezzi che non sono stati commercializzati nell’ambito popolare, oppure poco commercializzati perche sono cose molto nuove. Alcuni dei pezzi li abbiamo imparati da mio zio che comunque canta serenate, porta serenate in giro nel paese, dai miei nonni, oppure Francesco (Rosa) ci ha messo la sua parte con dei pezzi, delle canzoni che gli ha insegnato la nonna: per esempio Telamure è una filastrocca per bambini che gli ha insegnato sua nonna e poi noi l’abbiamo messa in musica. È una filastrocca che insegna ai bambini a contare: “te, télamuré eramo due mo simo tre, poi arrivo lo zio e altri si arriva fino a dodici” (canta ndr).
Quindi da qui arriva il nome del gruppo Telamure.
F: Si esatto. Messaggio comunitario sociale.
Quando avete scelto di fare musica tradizionale?
G: Nella nostra famiglia c’è sempre stata in nuce questa cosa, però è rimasta abbastanza nascosta, prima di tutto perche all’epoca, diciamo, in cui noi stavamo giù a casa era l’epoca dell’adolescenza in cui si cerca un po’ di allontanarsi da tutto quello che fa parte del retaggio degli anziani, tutto quello che è popolare, che sa di vecchio. Mio zio ogni tanto, quando eravamo piccoli, ci aveva portato a delle feste in campagna da amici che suonavano, lui ballava, però per un certo periodo è come se avessi rimosso tutto questo. Poi siamo andati a Bologna, abbiamo lavorato in discoteca. Però poi lì, stando lontani dalla tua terra, il primo obiettivo è quello di riavvicinarti un po’, quindi abbiamo iniziato a conoscere tanta gente pugliese soprattutto salentini e quindi naturalmente è cominciata a ritornare fuori delle cose che già sapevamo ma a cui non avevamo mai pensato di poterci dedicare di nuovo. Noi siamo dei musicisti abbastanza anomali, nel senso che abbiamo cominciato a suonare proprio dopo il ritorno della passione della danza e della musica tradizionale. Noi non nasciamo musicisti, abbiamo preso tardi gli strumenti in mano.
Come siete arrivati a Parigi?
F: A Parigi per puro caso, sono arrivato prima io, perché a Bologna avevo finito gli studi e ti dico la verità, mi ero un po’ annoiato della situazione, già puzzava di bruciato la situazione all’epoca. Bologna stava decadendo da città universitaria a città borghese, provinciale, non era più interessante, non la trovavo più interessante per nessuno motivo, poi ho cercato qualche piccolo lavoretto – ho fatto qualche piccolo lavoretto – ma non ci sono riuscito. Quindi mi è venuta la voglia di fare una esperienza all’estero, all’inizio è nata come una piccola esperienza, infatti avevo fatto la domanda per il progetto Leonardo con l’università e non ero stato preso e allora ho deciso di partire all’avventura. Per fortuna in estate in vacanza campeggio selvaggio in Puglia, ho trovato un annuncio in un bar a Gallipoli scritto a penna su una carta: “affitto stanza a Parigi 350 euro al mese”, forse è una cazzata, sarà qualcuno che l’affitta solo per un mese d’estate, me ne ero andato, poi sono ritornato e ho detto ‘non si sa mai’, alla fine erano dei ragazzi francesi che stavano in vacanza in Puglia e uno di loro stava con una ragazza romana, stava in Italia, quindi, aveva intenzione di passare un anno giù e quindi volevo affittare la sua stanza per una anno a Parigi per non perderla. In pratica abbiamo fatto una serata insieme, siamo andati ad un concerto di musica tradizionale, e quella sera mi ha detto: “tranquillo la dò a te la stanza”, così a settembre sono partito. Sono arrivato a Voltaire (una delle stazioni della metropolitana di Parigi ndr), la casa era proprio vicino a Voltaire, e la prima sera che sono uscito, mi sono detto: “fammi vedere cosa c’è in giro”. Avevo visto su internet che c’era un bar in cui facevano ogni settimana musica italiana e lì c’era Francesco, che suonava… l’altro Francesco, Rosa, che suonava con un altro duo, ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a suonare insieme, cioè io mi sono aggregato al loro gruppo. Dopo un anno, un anno e mezzo, ci siamo sciolti col vecchio gruppo perché avevamo problemi interni e in quel momento c’era Giovanni che voleva partire per fare… per stare un po’ fuori, e anche per fare questa esperienza musicale, perché c’erano le possibilità per farlo e ci ha raggiunto. Praticamente a marzo del 2008.
Come vi trovate a suonare musica tradizionale del sud, campana, calabra, pugliese, con un pubblico francese?
G: Beh, comunque come base c’è un interesse radicato verso tutto quello che è la cultura italiana; soprattutto a Parigi c’è molta gente appassionata di storia e cultura italiana, in più c’è tanta gente che comunque il sud Italia lo conosce perché o è proprio originaria dell’Italia o si informa. Ogni anno vanno in vacanza, scoprono luoghi… e poi comunque la gente non era totalmente impreparata, nel senso che qui in Francia dal punto di vista delle registrazioni sul campo e anche della riproposta di musica tradizionale, forse sono più avanti rispetto a noi. Le registrazioni più interessanti di quello che era negli anni 50-60 la musica nostra è qui in Francia, quindi loro l’hanno sentita prima di noi; da noi sono ancora introvabili nelle mediateche alcuni cd, magari li trovi sulle bancarelle, dopo la moda del ritorno al popolare trovi registrazioni, libri, pubblicazioni, quì, invece, alcune case editrici e di produzione discografica si erano già interessate alla riproposizione della musica popolare.
In Italia però sono state fatte riproduzioni audio nel 1911 nel museo etnografico di Lamberto Loria…
G: Vero, però un mio amico quando viene qui a Parigi riesce sempre a trovare vecchie registrazioni che in Italia non si trovano più.
In effetti Vinicio Capossela mi ha detto durante un’intervista che lui ha conosciuto Matteo Salvatore qui in Francia.
G: Qui in Francia è conosciuto, in Italia solo un po’, mentre a Parigi molta gente conosce sia lui che Giovanna Marini, sono i due guru. Ho visto il cd di Matteo Salvatore più in case parigine che in quelle italiane.
Avete problemi con i testi delle vostre canzoni qui in Francia?
F: Noi non combattiamo con il fatto che i testi delle canzoni che suoniamo possano non essere compresi da un pubblico francese, perché probabilmente non sarebbero compresi neanche da un pubblico italiano, cioè quando le suonavamo a Bologna,, per esempio non ci capiva niente nessuno, tranne la gente del sud. Penso che sia incentrato anche sul discorso del dialetto, di questa lingua incomprensibile che fa pur sempre parte di una nazione, quale l’Italia, che ne è piena. La Francia, a detta di molti con cui ho parlato, soffre negli ultimi anni del fatto di aver cancellato a tavolino i vecchi dialetti. Infatti ne parlo tantissimo con i francesi di questo aspetto – aspetto che mi interessa tantissimo – e loro ne sono molto interessati. Ricollegandosi al discorso di prima, ti faccio un esempio: la musica tzigana, esempio palese di come il testo in fin dei conti possa passare anche senza essere compreso, alla fine magari la gente s’informa a parte di quello di cui più o meno parla, anche perché obiettivamente molti, moltissimi dei testi sono talmente radicati al repertorio che magari anche con una traduzione resterebbero quasi incomprensibili o quasi senza significato. Alcune volte abbiamo provato a tradurre qualche canzone e, come dire, servirebbe un poeta per tradurre lo stesso testo in un’altra lingua mantenendo lo stesso significato, perché non puoi tradurlo meccanicamente. Poi c’è tutto un… ogni canzone porta al suo interno una storia di un posto, che poi è quello in cui è stata creata, riferimenti diretti a soprannomi di persone, a luoghi, cibi, usanze, proverbi. Proverbi che perdono il senso se escono dalle zone di provenienza.
La scaletta, invece, come la costruite?
G: Ci siamo riconosciuti all’inizio su un repertorio di standard, se vogliamo chiamarlo così, di alcuni pezzi che bene o male si conoscono nell’ambito della musica tradizionale, perché comunque chi è appassionato di pizzica ascolta anche tarantelle calabresi etc… Poi ci sono alcuni ritmi, melodie che ritornano. La scaletta è abbastanza ampia, peschiamo da un repertorio molto vasto e dipende molto anche dal tipo di evento. Adesso ci siamo concentrati su musica da ballo, pezzi molto ritmati che spingono molto a danzare e poi inframmezzando con serenate, con pezzi un po’ più lenti, però variamo molto la scaletta. Poi ci sono periodi in cui riusciamo a variare di più, periodi in cui dimentichiamo di inserire alcuni brani, però diciamo che il repertorio è formato più o meno di una trentina di pezzi e la scaletta e più o meno una quindicina, ventina di pezzi e poi mixiamo.
Voi fate molti concerti live, state pensando, invece, a qualche pezzo originale, qualche cd?
G: Questo non è un problema, ma ci stiamo riflettendo molto e infatti avevamo iniziato a registrare in studio. I pezzi che stanno sul MySpace avevamo iniziato a registrarli nella prospettiva di un disco e in realtà quei pezzi sono quelli che poi in concerto non facciamo più; li facevamo all’inizio della formazione del gruppo, perché anche gli strumenti pongono un limite, siamo un po’ tutti polistrumentisti, quindi ogni volta che andiamo a suonare da qualche parte dobbiamo portarci una quantità di strumenti enorme. Avevo iniziato con due organetti più grandi, 12 e 18 bassi, li suonavamo insieme, in coppia anche, cioè due organetti più clarinetto, percussioni etc etc, poi si è iniziato a porre il problema, perché per fare altri pezzi serviva… dovevamo portare altri strumenti, altri organetti, poi siamo arrivati al punto di doverci portare appresso 4 organetti, 10 flauti, chitarra e tutto il resto, allora abbiamo deciso di concentrarci su questo tipo di repertorio con questi strumenti. Per quanto riguarda il disco e la registrazione si poneva lo stesso problema, perché noi non potevamo suonare in pubblico quello che… avevamo l’obbligo morale di suonare in pubblico quello che suonavamo sul cd. Sul cd, quindi, avevamo iniziato a registrare questi pezzi che facevano parte di un’altra idea di gruppo, poi alla fine abbiamo interrotto, abbiamo deciso di prendere un po’ di tempo, in modo che il gruppo prendesse forma, perché alla fine è un annetto che suoniamo insieme, quindi ci stiamo ancora conoscendo, musicalmente intendo. Aspettiamo che il progetto prenda forma; abbiamo intenzione di non mettere solo pezzi davvero tradizionali, ma di metterci anche qualche composizione che abbiamo e stiamo aspettando il momento giusto per provare.
F: È anche difficile, per quanto mi riguarda, la registrazione di pezzi tradizionali, perché credo quasi non abbia senso; per esempio, io tutta la grande mole di cd, di musica che viene riproposta tradizionale che avevo comprato-scaricato – non si deve dire – quasi non l’ascolto. Per me non ha quasi senso ascoltare a casa mia la musica tradizionale perché io ho il modo di assorbirla in altre occasioni; capisco dell’interesse che possano avere persone che non hanno la possibilità di ascoltare direttamente, però io l’ho vissuto direttamente quindi aspetto il momento di viverla. Perché per me la musica tradizionale è più vissuta, ha più senso nei concerti nostri o in tutti gli altri concerti, piuttosto che ascoltata semplicemente ed è anche per quello che non ci siamo concentrati e l’idea del disco in modo inconscio la stiamo spostando.
Non vi ponete il problema di tramandare questa memoria?
Sono d’accordo con te, però su questo argomento ci sono delle discussioni aperte anche molto dure, anche scontri, perché molte persone per tramandare hanno congelato in un certo senso la tradizione, nel senso che gente che adesso si vuole avvicinare alla tradizione prende come punto di riferimento delle registrazioni che sono state fatte in un dato tempo e in un dato luogo, bloccando invece il corso che dagli uomini primitivi fino ai primi registratori ha avuto la musica tradizionale: in realtà il rischio è di fermare la musica tradizionale come la conosciamo adesso, senza immaginarci un futuro senza registratori o un passato senza registratori. Questo è una cosa su cui rifletto molto… noi ci concentriamo più su quello che abbiamo imparato, diciamo, in modo orale, però il problema sta sulla grande quantità di gruppi che hanno registrato e continuano a registrarsi e riferirsi ad altri gruppi che avevano già riproposto. Alla fine, quindi, si sono creati degli standard che in fin dei conti non esistevano nella musica tradizionale, perché ogni paese, ogni famiglia aveva dei modi completamente diversi di cantare e di suonare anche se alcuni ritornelli, alcune frasi melodiche ritornavano. Però è sempre molto problematico il fatto di congelare, anche se sono d’accordo con te in linea di massima.
Non credo sia un problema di congelamento, perché le influenze che si apportano a quello che si sente credo sia automatico e anche voluto, se no i musicisti non sarebbero tali, le registrazioni sono fondamentali per chi vuole studiare la musica, un etnomusicologo per esempio con le registrazioni può fare vari confronti comparando magari i periodi storici estrapolando costanti e variabili, e fare anche un’analisi più ampia a livello storico e sociale.
F: Hai detto bene, i musicisti fanno questo, però nell’ambito della musica tradizionale si è avvicinata tanta gente che è partita con lo spirito di conservare queste tradizioni in qualche modo, non essendo musicista o comunque non aprendosi dal punto di vista artistico, e non le hanno viste come forme di espressioni artistiche. Molte persone l’hanno vista semplicemente come forme di comunicazione che utilizzavano all’epoca, quindi hanno pensato che fosse giusto congelare questa forma di comunicazione senza pensare poi a quella gente che cantava, e lo faceva anche se erano zappatori ma comunque artisti.
G: Ci sono persone che riproducono, e sono quelli che vengono tenuti più in conto. In Italia succede questo, in alcuni ambiti dei festival tradizionali quelli che vogliono dire di più, diciamo quelli che vogliono personalizzare, non vengono considerati perché secondo loro, detentori della tradizione, sono dei falsatori della musica tradizionale. Quello che suona identico a quello che la gente ha sentito sulle registrazioni di Diego Carpitella … quelli vengono considerati i musicisti tradizionali e questo è assurdo.
La stessa cosa riguarda gli strumenti per esempio, c’è un limite incredibile per quanto riguarda gli strumenti, un limite che in Francia è stato già superato. È un’ignoranza anche assurda: per esempio si utilizza il termine “strumento tradizionale” per l’organetto che ha novanta anni di utilizzo, perché è stato inventato cento anni fa, centocinquanta anni fa però fino a quando poi si è diffuso… L’organetto viene considerato tradizionale mentre il clarinetto che magari è più vecchio dell’organetto no. Per esempio io ho una passione per il clarinetto, l’ho visto suonare in pezzi francesi molto spesso quindi…però da noi il clarinetto… (viene interrotto dall’altro F) però bisogna dire una cosa che dice tutto: per esempio il clarinetto viene considerato tradizionale in una specifica tarantella che adesso si suona con il clarinetto, che è la tarantella di Montemarano che si suona clarinetto e fisarmonica, due strumenti recentissimi, prima, invece, questa stessa tarantella – nessuno lo dice – era suonata con la ciaramella, con la zampogna, con gli strumenti più antichi, con gli strumenti appropriati all’epoca. (viene interrotto da G) Ovviamente si parla di tradizione ma non si parla di quale tradizione, di quale periodo… (viene interrotto da F) Lo stesso strumento, il clarinetto, se lo suoni in una pizzica non è considerato tradizionale semplicemente perché non è stato diffuso negli anni passati (viene interrotto da G) a Montemarano si è diffuso perché… per esempio lì c’è una tarantella molto jazzata (viene interrotto da F) jazzata è una parola grande, però ricorda molto le sonorità parapara papa (canta ndr). (viene interrotto da G) invece le tarantelle più vecchie, le registrazioni che ho sentito, somigliano molto di più a tarantelle calabresi piuttosto che a pizziche, per esempio in quei casi si dice che gli immigrati tornati dall’estero dove avevano fatto esperienze musicali nuove, dagli Stati Uniti soprattutto, avevano portato sonorità nuove. Negli altri posti non viene accettata, a Monte marano sì. Inconsapevolmente nessuno ci pensa però è così è stato, ha avuto una naturale evoluzione, invece se lo fai con la pizzica o con la tarantella calabrese… tu non vedrai mai suonare un clarinetto in una tarantella calabrese di questo sono sicuro, perché secondo me lo menano, se tu vai con il clarinetto in Calabria e suoni una tarantella calabrese prendi le mazzate.
Oltre a fare dei concerti fate anche degli stage, giusto?
F: Facciamo corsi di musica e organetto, diciamo di organetto base, perché comunque la Francia è un paese con una grossa reputazione per l’accordéon diatonique, soprattutto per la teoria di questo strumento che è sviluppatissima rispetto all’Italia. Poi facciamo corsi di percussioni, di tamburello e Giovanni fa corsi di danza. Organizziamo degli stage. Dal punto di vista della danza c’è tanto interesse qua in Francia, perché sono partiti molto anni prima di noi con la riproposta delle danze e della musica tradizionale.
Fino adesso abbiamo parlato dell’innovazione o meno che c’è all’interno della musica tradizionale, ma a quanto pare la tradizione tocca solo la parte musicale e non le parole. Perché le parole rimangono invariate?
G: Mi vengono in mente degli episodi, delle discussioni che sono nate su un sito che in Italia era ben frequentato almeno qualche tempo fa, e ad un certo punto è stata lanciata quasi una sfida, quella di scrivere anche pezzi originali, cioè su stilemi tradizionali inventare nuovi testi; secondo me questo è l’unico tentativo abbastanza azzaccato. C’erano testi a sfondo politico perché ovviamente nei testi di cosa si parla, nei testi delle canzoni popolari, la maggior parte delle volte o sono canzoni d’amore o sono canzoni che denunciano, che ne so, situazioni lavorative disagiate o altri tipi di problemi, comunque sociali legati alla società, ai malesseri sociali.
Si cantava anche la quotidianità, quella quotidianità che manca nei libri di storia e la possiamo ritrovare nelle canzoni popolari. Possiamo ritrovare le loro sofferenze, le loro storie d’amore, il lavoro etc, insomma sono testimonianza di vita vissuta che possiamo ritrovare solo lì, forse per questo le parole sono intoccabili, lì possiamo recuperare una visione quotidiana sociale collettiva di un determinato periodo, cambiare le parole significa reinventarsi la storia…
F: Da questo punto di vista penso che, innanzitutto le regioni del sud …– beh non è che sia un esperto di letteratura – comunque quello che posso vedere è, appunto, dal mio livello, che è quello di tantissime altre persone del sud Italia, che il sud non ha una storia scritta della gente comune. Quello che a nord Italia è avvenuto tramite autori che hanno narrato le storia dei contadini, qui da noi è scarseggiato a livello di memoria storica. Sicuramente erano impegnati a fare altro, cioè c’erano i problemi che tutti noi conosciamo e quindi la letteratura non era proprio quello che… il discorso da affrontare ogni giorno. Penso che stranamente questa tendenza si sia protratta fino ai nostri giorni, la gente o ha altre problematiche oppure assume come cose più importanti da fare altro che non sia la creazione, non se ne sente il bisogno. Prima, invece, qualcuno ne sentiva il bisogno; a parte che non erano neanche canzoni scritte, quindi è davvero memoria orale, era importantissimo il ricordo, la gente la ricordava perché l’aveva imparata a memoria, non era una cosa scritta e letta. (viene interrotto da G) è fondamentale il fatto che comunque è cambiato anche l’aspetto sociale della musica, adesso uno scrive un testo per fare una canzone, prima invece c’era un testo che nasceva naturalmente soltanto perché nel momento sociale in cui si incontravano le persone non c’era molto da fare e comunque uno dei modi di comunicare era quello cantare, inventando in modo estemporaneo, adesso noi siamo qua non ci sogneremo mai si metterci a fare iol’ iol’ iol’ quant’è bell’ Francesco Raiol’ (canta ndr), invece prima si mettevano così tra un bicchiere di vino e l’altro. La canzone è la prima forma di espressione artistica, forse insieme ad altre, dell’uomo, la musica era per divertirsi, per comunicare anche dal punto di vista amoroso: la serenata adesso si fa perché è romantico, però prima era un modo, era l’unico modo, per comunicare l’amore ad una persona che tu non potevi avvicinare durante… la musica, le parole avevano una funzione sociale non erano inventate per fare la canzone. Allora quello che cambia adesso è che se noi ora ci inventiamo una tarantella cantata …non potremmo… Guarda è difficile, al 99% diremmo delle stronzate, diremmo banalità a meno che non musichiamo delle poesie. È difficile che nasca una tarantella così, ecco perché mi piace fare la tarantella vissuta e non quella ascoltata, perché quando tu ti trovi nella situazione, trovi qualcuno che ti inventa che ti prende in giro e tu sei costretto a rispondergli e se non gli rispondi la società ti riconosce come un fesso che non è stato in grado di rispondere, quindi è proprio a livello sociale che cambia completamente.
La mia paura è proprio di perdere questo.
G: Purtroppo si è perso, si è perso, nel senso che… C’è un ritorno, in certe situazioni i giovani invece di andare allo stadio si incontrano davanti un falò e si mettono a cantare e a scherzare vivono molto semplicemente quello che è la musica tradizionale, invece di andare tutti nel pub a bersi la birra si incontrano a casa di uno, al garage, nella masseria etc, etc, e, o si mettono a riproporre quello che hanno sentito, o si cantano addosso cose inventate estemporaneamente, però sono sempre cose che hanno un senso lì, che se tu registri gli altri non capiscono, perché magari non conoscono i visi, etc. Sono cose anche abbastanza banali, se vogliamo, che in quel momento fanno ridere tutti e fanno pensare, però dette fuori dal contesto sono cose che non hanno molto senso. È molto sociale, ecco perché noi valorizziamo molto la musica, perché la musica, e anche il modo di cantare, sono cose universali e che non perdono mai il loro senso. La cosa che mi viene in mente, per esempio, sono le registrazioni sul campo fatte dagli etnomusicologi e dai ricercatori. Quello che si sente durante una registrazione è sempre una partecipazione anche degli altri, la signora che interviene, il signore che grida, uno che batte le mani. Io non ho ascoltato ancora un cd dei gruppi di riproposta dove, non dico che devi fingere di farlo, però dove riproponi in un certo senso una situazione, che può essere anche un live; se lo fanno in un live può andare bene, però è diventata troppo pulita. Sono fatte con il multi tracce, con il metronomo nelle orecchie, è diventata una canzone pulita, commercializzata.
Una volta che tu registri una musica in multi traccia… anche perché sono molto semplici, cioè una tarantella che può essere alla zampogna, un minuto, due minuti, tre minuti va bene, quattro minuti, però se tu fai un cd di zampogna che suona tarantelle, soprattutto per quello che non è esperto sai che palle, perché comunque sono fatte per chi non le riconosce una funzione sociale. Per esempio, in Calabria, se vai in una serata, in una festa patronale dove si suona la tarantella, c’è gente che suona dalle otto si sera fino alle otto di mattina sempre la stessa tarantella e comunque nessuno si rompe le scatole perché succede qualcosa, ci sono quelli che si scambiano a ballare, ci sono quelli che si parlano addosso, che si cantano le storie…
Quello che apprezzo molto del vostro gruppo è che voi quando suonate portate con voi la danza, così come un tempo erano imprescindibile anche adesso nei vostri concerti lo è…
F: Forse perché semplicemente abbiamo avuto un approccio non prettamente musicale, non siamo partiti con l’idea di farlo come lavoro, in più noi non siamo di formazione classica il cui il primo obiettivo è la ricerca musicale in senso stretto. Noi notiamo, durante i concerti, che la gente non viene solo ed esclusivamente per la musica, c’è gente che non è mancata ad un solo concerto da quando abbiamo iniziato perché mentre suoniamo, me ne accorgo durante il concerto, succede qualcosa… non c’è soltanto quello che balla e che sa ballare, c’è anche quello che balla e che non sa ballare, però vede l’altro e impara, ci sono persone che si conoscono, quante persone si sono conosciute e noi stessi abbiamo conosciuto durante le serate, rapporti che continuano anche all’esterno. Questo è un aspetto che mi piace davvero, tutto è completamente spontaneo.
La musica tradizionale del sud non può prescindere dalla danza…
G: A questo proposito mi piace ricordare alcuni eventi a cui abbiamo partecipato. Qui in Francia, ad esempio, sono molto attenti a questo aspetto, semplicemente perché lo hanno perso un po’ prima di noi, qui la scena si è sempre più allontanata dal pubblico. Molti musicisti, la stragrande maggioranza di quelli che io conosco, di qualsiasi genere, hanno come obiettivo, adesso, quello di riavvicinarsi al pubblico, cioè di scendere dal palco per tornare a suonare tra la gente come doveva essere sicuramente una volta, perché sicuramente la musica prima era un momento di partecipazione collettiva – parlo di prima dell’Ottocento. In Italia vedo molto differenza, nel senso che anche un gruppo di musica tradizionale più in alto va sul palco e meglio è: perche? non lo so, motivi storici, comunque è un tirarsi la posa, a noi italiani piace metterci in mostra. Il fatto che la musica tradizionale salga sempre più sui palchi è un controsenso che sta dando cattivi risultati, nel senso che la gente sta tornando ad allontanarsene, dopo un avvicinamento di massa negli anni Novanta. Nell’ambito della musica tradizionale diventa difficile ragionare in ambito di prodotto musicale ecco perché noi ci teniamo tanto al live, alla partecipazione, perché comunque immaginarci come un prodotto musicale ci fa sempre fare mille riflessioni.
(viene interrotto da F) Poi crea delle situazioni veramente paradossali come per esempio sul gran palco della Notte della taranta vedere la prima donna cantante, con una voce bellissima e con abito da sera e parure di gioielli… (viene interrotto da G) che canta na na na la puttana di mammetta ti pighia e te men’ en terr’, te scoppele na cos’ en cap’, fa un po’ ridere diciamo.
Noi ci siamo trovati molto bene in alcuni balli organizzati con musicisti francesi, dove il primo obiettivo era quello di suonare tra la gente, noi eravamo talmente tanto abituati che per noi non c’è stato nessun problema.
È questo aspetto sociale che ci interessa. Anche quando andiamo a fare dei concerti dove ci predispongono automaticamente una scena enorme, gli ultimi pezzi li andiamo a fare tra la gente.
Forse deriva anche da questo la difficoltà di incidere in studio.
F: Sicuramente conta. Te lo dico sinceramente, io per esempio, ci rifletto spesso, ogni giorni mi dico: “cavolo devo fissare una parte per questa pizzica, devo fissare una parte precisa perché se vado in studio poi che devo fare. Perché te lo dico sinceramente sul 99% dei pezzi che facciamo improvviso completamente, ci sono cose che mi tornano in mente, melodie che ho già fatto, altre cose le riprendo da cose che ho sentito, altre cose che invento estemporaneamente quindi in studio ti può uscire una cosa bellissima come una cosa che fa schifo, poi là dico: “Cavolo proprio quando stavo in studio ho fatto la cagata”. Ed è così anche per i concerti, escono dei concerti belli e dei concerti… . Penso che la soluzione migliore sia un bel cd live.
Magari un cd dvd per non perdere la dimensione della danza.
F e G: Magari.
Se volete ascoltarli live tenete d’occhio il loro Myspace: http://www.myspace.com/telamure
Il loro sito è: http://telamure.musicblog.fr/