La paura del futuro è davvero tanta per molti giovani. Cambierà mai qualcosa (in meglio, ovvio!) nel sistema italiano universitario e dell’istruzione in generale? Vediamo dall’interno il problema per capire le difficoltà a cui bisogna prepararsi nella società italiana, una società per vecchi che ai giovani non promettono nulla di buono.
La situazione non è rosea, non è davvero rosea per niente.
Ho 22 anni e da quando ne ho 6 sono dentro alla scuola pubblica italiana. Pur avendone l’opportunità in famiglia abbiamo sempre dato la precedenza alla scuola pubblica, credendo profondamente nell’importanza di non dare i nostri soldi da contribuenti alle scuole private.
Dopo la laurea triennale all’Università di Perugia (Facoltà di Lettere e Filosofia, corso in Mediazione Linguistica Applicata che, per inciso, non esiste già più) ho cambiato idea e, se potessi, non farei lo stesso errore due volte e mi iscriverei all’università privata presente nella stessa città.
Non perché sia una snob con la puzza sotto il naso, anzi, proprio il contrario, ma “solo” perché la preparazione che mi ha dato l’università pubblica in tre anni di corsi non è lontanamente paragonabile alla preparazione che mi sarei aspettata e che, soprattutto, mi possa rendere competitiva sul mercato del lavoro una volta ottenuta la mia bella laurea.
Ora, se ho scelto come percorso di studi il percorso di “Mediazione Linguistica Applicata” mi aspettavo di uscire dalla sede centrale dell’università con indosso la mia bella coroncina d’alloro in testa, un sorrisone e una competenza linguistica superiore a quella con cui sono entrata.
E invece no. Il livello di INGLESE (ci tengo a sottolineare che è la mia prima lingua) è un B2+ che, a livello europeo, NON esiste e che sarebbe lo stesso con cui sono entrata, se non fosse che mi sono data da fare per vivere alcune esperienze professionali che mi hanno dato una “marcia” in più. Non parliamo poi della mia seconda e terza lingua, spagnolo e portoghese. Quando sono entrata avevo un B2 di spagnolo che equivarrebbe al mio livello d’uscita (ci sono molti dubbi a riguardo: il primo anno sono inorridita davanti ai metodi poco ortodossi di una professoressa, chiaramente non madrelingua, fortunatamente andata in pensione, che faceva di tutto meno che insegnarci la lingua spagnola!) e per quel che riguarda il portoghese devo ringraziare l’organizzazione ferrea delle lezioni dovuta ad un professore severo ma lungimirante, che mi ha davvero dato mezzi e modalità per apprendere la lingua, anche se ho frequentato “solo” per due anni.
Adesso che mi ritrovo a sistemare il mio CV in una delle pause che mi prendo dall’impaginazione della tesi mi assale un dubbio e una tremenda ansia di vivere: con che faccia presenterò la mia laurea sapendo tutto quello che c’è dietro?
Volessi fare la specialistica dovrei spendere non so quante energie per preparare degli esami che mi facciano acquisire i CFU necessari per equiparare il mio titolo a quello richiesto dall’università in questione. Non volessi fare la specialistica (l’opzione che, al momento, la fa da padrona, visto i miei sogni sul master in comunicazione musicale della Cattolica a Milano) l’idea rimane sempre quella: “con che coraggio mi presento da qualche parte sapendo che la mia preparazione fa un po’ acqua da tutte le parti?”.
Con il coraggio di chi conosce i suoi limiti, mi rispondo.
Con il coraggio di chi “non è nato imparato” e cerca sempre di apprendere cose nuove in qualsiasi contesto, continuo a pensare.
Con il coraggio di chi deve farsi da solo e sa che, per riuscirci, dovrà contare prima di tutto su se stesso e sulla sua capacità di rendersi unico.
Niccolò Bolchi, giovane musicista 23enne di Milano, durante un’intervista/chiacchierata, mi ha detto, giustamente, che la nostra generazione ha la grande fortuna di poter essere preparata in maniera davvero egregia se si esce da una buona scuola. Quello che però angoscia è che si esce fuori di lì un po’ tutti “fatti con lo stampino”… e allora cos’è che potrebbe far scegliere me piuttosto che un altro, un domani, da un datore di lavoro? Niccolò ha trovato la sua risposta imparando a suonare più strumenti, diventando un preparato tecnico del suono e iniziando a fare anche il produttore, oltre che continuando a studiare chitarra con lo stesso impegno e la stessa dedizione di quando aveva iniziato. Adesso accompagna Nesli nel suo tour, dimostrando a tutti, giorno dopo giorno quanto il talento possa venir premiato, se accompagnato dalla giusta dose di consapevolezza della realtà che ci circonda, da un pizzico di spirito di adattamento e, soprattutto da una gran voglia di fare, di apprendere e di rischiare un po’.
La paura del futuro è davvero tanta, specie nei momenti in cui sembra di poter cogliere qualsiasi occasione al volo, ma anche rimanere con un pugno di mosche in mano se sbagliamo direzione.
Certo, le basi che la scuola dovrebbe offrirci si sgretolano sempre di più, mano a mano che la situazione continua a farsi sempre più critica, ma abbiamo a disposizione mezzi che i nostri genitori si sarebbero sognati, quindi non ci resta che rimboccarci le maniche e darci da fare.
Resta però il fatto che, se potessi, Mediazione Linguistica Applicata, a Perugia, non la sceglierei davvero. Il che lascia parecchio amaro in bocca e una domanda sempre più chiara davanti agli occhi: ma cambierà mai qualcosa (in meglio, ovvio!) nel sistema italiano universitario e dell’istruzione in generale? Che fine hanno fatto quegli atenei che erano il nostro fiore all’occhiello? L’università da noi ha radici che si perdono nei secoli eppure … le facoltà si sgretolano sotto i nostri occhi, seppure siano accolte da palazzi nuovi e dotati di tecnologie all’avanguardia. Che, sfortunatamente, il più delle volte i docenti e gli studenti nemmeno sanno come utilizzare, figuriamoci sfruttare a loro favore.
La situazione non è rosea, non è davvero rosea per niente.
Soundtrack: http://www.youtube.com/watch?v=kzxoQ9rbDAA
Chiara Colasanti
Mi chiamo Chiara, ho 22 anni e sono italiana.