“Perchè gli italiani amano gli Alpini?” E’ la domanda che il giornalista e scrittore Giorgio Torelli si pone a partire dal titolo di quest’opera (pubblicata da Ancora Editrice, 141 pagg.) e nella quale si da la risposta: “perchè sono gente seria”.
“Il cappello che noi portiamo” è una raccolta di articoli che Torelli ha pubblicato in questi anni, fin da quando era a stretto contatto con Indro Montanelli al suo Giornale, e prima ancora al « Candido », respirando arie di prestigio intellettuale come con Guareschi. Viaggi e reportage, articoli e riflessioni, con ben ventotto libri alle spalle.
Un libro sugli Alpini, dunque, con la « urgenza e la consapevolezza – scrive – di conoscere quel che riguarda la nostra personale ventura di essere nati italiani e di abitare per diritto e dovere un’Italia parzialmente improbabile, folta di tanta bella gente, ma appesantita, anzi imbruttita da cronache e personaggi letali ».
Il libro esordisce con l’articolo pubblicato dalla “Gazzetta di Parma” nel 2005, (il più antico quotidiano europeo, fondato nel 1735) giornale sul quale Torelli pubblica ben 5 paginoni sulla imminente 78° Adunata Nazionale degli Alpini. E via via il testo si dipana fra storie e canzoni cantate in coro, la poesia di un tempo che, nonostante le disavventure e le sofferenze, emana una mistica del sacrificio, una coinvolgente armonia che affraterna in nome di una pace sempre auspicabile.
Le tantissime vicende che coinvolgono gli Alpini fanno parte a buon diritto dell’immaginario collettivo e si identifica in un mitico cappello e una penna nera che hanno ispirato storie fra il romanzato e il reale. Sostiene l’autore che gli Alpini vantano una reputazione guadagnata sul campo per il loro obbligato o volontario intraprendere.
La loro tenacia è stata oggetto di infiniti racconti sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Ci sono anche loro fra i protagonisti di film memorabili, come “ La grande guerra” che Mario Monicelli gira nel 1959, e che conferisce ai soldati una dignità fra l’ironico e l’eroico che non si potrà mai eguagliare. Muli e tradotte, neve e sudore, mentre la morte incombe ad ogni sequenza.
Anche il regista Giuseppe De Santis nel 1965 girerà il bellissimo “Italiani brava gente”, nel quale l’eroismo fa tutt’uno con l’umanità, fra delusioni e immani sacrifici. La neve e il gelo sono la costante di gesti umani oltre ogni immaginazione.
Ma torniamo al libro di Giorgio Torelli: è un omaggio a questi uomini che ormai, in più parti del mondo, mettono in luce uno spirito di fratellanza, e che nelle missioni di pace non tralasciano di onorare il cappello e la patria.
Anche in questo 150° Anniversario dell’Unità d’Italia è importante che libri di questa portata vengano pubblicati, con l’intento di onorare un Corpo che ha unificato uomini e donne sotto un’unica bandiera ed emblema, pur provenendo da regioni con costumi e dialetti i più diversi. Scrive ancora l’autore: “Non c’è più l’arruolamento regionale. I dialetti dei monti sono diventati altre voci. Ma gli Alpini continuano. E chi porta adesso la penna nera ne rivela il compiacimento. Ne riconosce il senso ed il credito. Non si può essere Alpini per caso”.
Pagine toccanti arricchiscono l’opera di Torelli, come il tenente degli Alpini Giulio Bevilacqua, divenuto l’Arcivescovo degli Alpini. Ed ancora le pagine dal titolo “E’ passata la bontà per le strade di Milano” nelle quali si rievoca don Carlo Gnocchi, “povero prete nostro Alpino, è passato sulle spalle dei suoi compagni di Russia, levato sulla folla, così come si portano a trionfo le reliquie dei santi, nel cielo freddo e sereno di febbraio…”
Sono uomini e luoghi, attimi e storie che fanno la Storia di un Corpo, quello degli Alpini, e di una nazione che non potrà mai essere messa in discussione in futili dibattiti di disgregazione territoriale. Torelli, a suo modo, ne riconcilia ogni afflato, fra il mistico e l’unitarietà volti al conseguimento del bene comune.
Armando Lostaglio