Per una sera, è tornata d’attualità anche a Roma, nel quartiere Trastevere, la drammatica ed esaltante avventura di Placido Rizzotto e dei tanti altri sindacalisti siciliani, assassinati dalla mafia nel secondo dopoguerra, perché organizzavano i contadini nella lotta per terra.
Il 20 novembre scorso, infatti, l’Associazione culturale in Trastevere Aleph di Roma – luogo privilegiato di incontro per poeti, attori e scrittori nel cuore pulsante del famoso quartiere – ha accolto Giovanni Perrino per la presentazione della sua raccolta di poesie “Dorso d’asino. Possibili rallentamenti” (casa editrice Interlinea, 2012). Una raccolta particolare, dove l’autore, di origine corleonese, ha sperimentato l’inserimento tra le poesie in italiano, molte delle quali dedicate alla cultura e a poeti russi contemporanei, di alcune poesie in dialetto corleonese. Una di queste è dedicata proprio a Placido Rizzotto.
Pur abitando da anni tra Mantova, Roma e Mosca, Giovanni Perrino quando può ritorna volentieri a Corleone, dove ha i parenti e gli amici “del cuore”. «Sono orgoglioso di essere corleonese, simile a tanti corleonesi visionari, sparsi in ogni parte del mondo, che continuano a sognare e a battersi per una Corleone normale, a cui pensare teneramente come alla propria madre e non come alla capitale della mafia», dice.
Un emigrato particolare, quindi, che Corleone continua a portala nel cuore e nei suoi ‘viaggi dell’anima’, raccolti nei volumi di poesie “Malastrana” (All’antico mercato saraceno, Treviso 2003), “Ellis Island” (Interlinea, Novara 2007) e il recentissimo “Dorso d’asino”.
«Vi sono nell’esistenza di ciascuno – spiega Perrino – fasi in cui l’antico parlare dei genitori e dei nonni ritorna in modo inatteso e diviene prezioso strumento di analisi. Il suo uso non è tanto consolatorio, quanto un modo di riflettere bene aggrappati alle radici, consapevoli dell’importanza costitutiva che tanto le origini geografiche quanto i primi anni di vita hanno per ognuno di noi. Le soste forzate, i periodi di riflessione parlano a volte linguaggi diversi e la lingua del latte è uno di questi».
Dopo il ritrovamento dei suoi resti e la celebrazione dei funerali di Stato, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la figura del sindacalista Placido Rizzotto è tornata d’attualità. E Perrino gli ha dedicato una delle sue poesie in vernacolo più riuscite. S’intitola «A matri ri Placitu Rizzottu» e ripercorre la vicenda del sindacalista-partigiano dal punto di vista della madre, Rosa Mannino, che non era la vera madre di Placido, ma l’amava come e più di un figlio vero.
Ho avuto il piacere di leggerla io – nella mia lingua madre – al pubblico presente. Non credevo che nel terzo millennio, ci si potesse commuovere in questo modo. Eppure è successo, in Trastevere, a Roma. I “miracoli” della poesia e di valori eterni, quali la libertà, la giustizia sociale, la solidarietà.
Dino Paternostro
Dino Paternostro è l’autore del libro « Placido Rizzotto. Alle radici dell’antimafia sociale a Corleone e in Sicilia« .
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Poesia originale in vernacolo di Giovanni Perrino dedicata alla madre di Placido Rizzotto, seguita sotto dalla traduzione in italiano.
In ascolto QUI
A MATRI RI PLACITU RIZZOTTU
Un’u pigghiaru i fascisti, un fu ntà Carnia
Spiriu ccà sutt’all’uocchi ri tutti ch’uora
Su chiusi pi scantu o pi vigliaccheria
Cuntava ra Carnia pitrusa ma virdi ri vientu
E sciuruta, terra povera comm’a nuostra
Si muori puru ddà pa libirtà e iddu u sapia
U sapia e’comu. Un’u pigghiaru i nivuri fascisti,
I matri l’ammucciavanu, u prutiggievanu
Comu vulia far’iu e un puotti, iu sula mienz’a
All’orbi e surdi ca nuddu s’ammiscava
Pinsava o so paisi comu l’autri, terra e pasculi
O puostu ri pini alivi e pani pi tutti
Nuddu c’avissi a partiri litaniava pani pi tutti
Cuntava i so’ pinsieri e facia mpacciu
E mafiusi, signuri miu, e mafiusi e a cu i pruteggi.
Spiriu nall’aria ra nuotti e nuddu rissi nienti
Ora ripuosa sutt’e stessi pietri unni curria
Contr’i fascisti e l’aria ricia chi profumava
O puostu ri pini a sudda, ciavuru ruci che sturdisci
Iddu era sulu comm’e mia e io ricu u stiessu
L’e stanari, hann’a pagari cara, Liggiu Lucianu fu
Un vi scantati nuddu, u ricu iu a gran vuci chi m’abbrucia
Sta facci ri vilienu, cani assassinu… piccì su surdi?
È chistu u priezzu pi campari ccà? Siti fuoddi
Si pinsati sul’e fatti vostri, gienti senza cuscienza!
A matri ri Placitu Rizzottu v’a po’ dir ina cuosa?
Hat’à canciari tiesta e basta!
Giovanni Perrino
LA MADRE DI PLACIDO RIZZOTTO
Non furono i fascisti, non fu in Carnia
E’ scomparso qui sotto gli occhi di quanti
Ora li chiudono per paura o vigliaccheria
Raccontava della Carnia pietrosa e verde di vento
E fiorita, terra povera come la nostra
Anche lì si muore per la libertà e lo sapeva
Lo sapeva bene! Non furono i neri fascisti,
Le madri lo nascondevano, lo proteggevano
Come avrei voluto far io senza riuscirvi, sola, in mezzo
Ad orbi e sordi ché nessuno voleva esporsi.
Pensava al suo paese come tanti, terra e pascoli
Al posto dei pini, olivi e pane per tutti
Nessuno più costretto a partire, ripeteva, pane per tutti
Diceva ciò che pensava e dava fastidio
Ai mafiosi, signor giudice, ai mafiosi e a chi li protegge.
Scomparve nell’aria della notte e nessuno fiatò
Ora riposa sotto le stesse pietre dove correva
Contro i fascisti e l’aria che profumava nei ricordi
Sulla al posto dei pini, odore dolce che stordisce
Anche gli era solo come me e anch’io dico
Che li stanerò, che la pagheranno cara, fu Liggio Luciano
Nessuno abbia paura, il nome lo faccio io con la voce che brucia
Faccia di veleno… cane assassino, perché sono sordi?
E’ questo il prezzo per vivere qui? Pazzi siete
Se pensate solo ai fatti vostri, gente senza coscienza!
La madre di Placido Rizzotto vi dice con forza
Dovete cambiare cervello e basta!
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Chi era Placido Rizzotto?
Placido Rizzotto nacque a Corleone il 2 gennaio 1914, da Carmelo e da Giovanna Moschitta. Era un contadino semianalfabeta, che nel 1940 partì per la seconda guerra mondiale sui monti della Carnia, nel nord-est d’Italia. Dopo l’8 settembre del ’43 e la caduta del fascismo, buttò la divisa militare e salì sulle montagne con i partigiani delle brigate « Garibaldi » per combattere contro il nazi-fascismo. Per mesi aveva vissuto tra le montagne innevate della Carnia, dividendo il pane e la paura con altri giovani come lui, convinto di battersi per la causa giusta.
In Carnia aveva imparato tanto. Aveva imparato che gli uomini non nascono ricchi o poveri, padroni o schiavi, ma tutti uguali e tutti liberi. Aveva imparato, però, che per affermare il diritto all’uguaglianza e alla libertà bisognava organizzarsi e lottare, anche a rischio della vita.
A Corleone Rizzotto era tornato nel 1945. Insieme a questi ricordi, aveva portato nuove idee, quelle imparate nei mesi trascorsi sui monti, al fianco di quei giovani con i capelli biondi e i fazzoletti rossi. Lo chiamavano “il vento del nord”. Il suo soffio faceva paura ai padroni ed ai gabelloti mafiosi, ma riempiva di libertà i polmoni dei contadini, perché insegnava a non abbassare la testa davanti ai “signori”. Nel suo paese Rizzotto organizzò i contadini che lottavano per l’assegnazione delle terre incolte dei padroni, ma si scontrò subito con i gabelloti mafiosi che non volevano che gli equilibri sociali cambiassero. Fu uno scontro durissimo, che ebbe come teatro tutta la Sicilia. I grandi proprietari terrieri e i gabelloti mafiosi, per non perdere i loro privilegi, scatenarono una vera caccia all’uomo contro i dirigenti sindacali della Cgil, che organizzavano le lotte contadine. Furono circa 50 i sindacalisti assassinati nella « lunga » strage che insanguinò le campagne siciliane dal 1944 al 1964. Rizzotto fu il 35° sindacalista ad essere assassinato dalla mafia. Fu sequestrato ed ucciso la sera del 10 marzo 1948 da Luciano Liggio e dai suoi complici, che però al processo furono assolti per insufficienza di prove, nonostante le prove schiaccianti contro di essi raccolte dal capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa.
La sua famiglia, la Cgil e i cittadini democratici di Corleone non hanno mai dimenticato Placido Rizzotto e, per anni, hanno chiesto allo Stato di ritrovare il suo corpo per dargli una giusta sepoltura. Finalmente, nel 2009 la polizia recuperò i resti di Placido Rizzotto in una foiba di Rocca Busambra, una montagna vicino Corleone. E, fatta la comparazione del Dna col padre, si è avuta la conferma che effettivamente fossero i resti del giovane sindacalista assassinato nel 1948. Da più parti si sono chiesti al governo nazionale i funerali di Stato per Placido Rizzotto, che furono immediatamente concessi. Si sono svolti il 24 maggio dello scorso anno, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.