La certificazione di esistenza in vita per i pensionati italiani residenti all’estero non deve diventare un percorso di guerra Intervista a Morena Piccinini Presidente « pro-tempore » del Centro Patronati (CEPA), che raccoglie i patronati INCA- CGIL, INAS-CISL, ITAL- UIL e ACLI. La CEPA ha lanciato una petizione dopo le esperienze complesse della certificazione di esistenza in vita tra i pensionati italiani residenti all’estero, vissute nel 2011 e nel 2012.
N.G. : Qual è il giudizio su quanto è accaduto?
M.P.: La certificazione di esistenza in vita non può e non deve diventare un percorso di guerra per i pensionati italiani residenti all’estero. L’adempimento di legge, richiesto dall’Inps, giunto alla sua seconda edizione, cui sono soggetti i pensionati italiani residenti all’estero per la certificazione di esistenza in vita, si è svolto con farraginosità e provocando notevoli disagi agli oltre 411 mila connazionali. Per raccogliere in un « cahier de doleance » quanto è successo, da lunedì 28 maggio, – continua la Piccinini – i Patronati del Ce.pa si rivolgeranno ai diretti interessati, chiedendo loro di sottoscrivere una petizione da rivolgere all’Inps e al Ministero del lavoro, affinché non si ripetano i gravissimi disagi anche il prossimo anno.
N.G.: Ma, in particolare quali sono le richieste che intendete fare all’INPS e al Ministero del Lavoro?
M.P.: In particolare Inas, Inca, Ital e Acli) chiedono che non sia sospeso alcun pagamento delle pensioni, senza aver prima verificato che la certificazione dell’esistenza in vita non sia stata già inviata lo scorso anno all’istituto di credito ICBPI, che aveva il compito di raccogliere tale documentazione e di pagare le pensioni prima della attribuzione dell’incarico alla CITI Bank.
N.G.: La certificazione viene richiesta anche ai pensionati residenti in Italia. Dalla vostra presa di posizione si capisce che le procedure non sono le stesse.
M.P.: Infatti. Per questo i patronati chiedono inoltre di evitare, in futuro, metodi complicati per tale adempimento che possono tradursi in atti discriminatori per i pensionati residenti all’estero rispetto a quelli in uso per coloro che vivono in Italia. E’ necessario inoltre utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile ai più, per ogni comunicazione, evitando il consueto burocratese. Vanno poi studiate le soluzioni più semplici e ragionevoli partendo dalle modalità individuate nei vari Stati per la certificazione dell’esistenza in vita. Ciò permette di utilizzare le attestazioni delle autorità locali semplificando la vita a gran parte dei nostri connazionali.
N.G.: Non ci sembrano richieste complicate ma di buon senso. Perché non si riesce a renderle immediatamente utilizzabili se si pensa alla situazione presente all’estero anche per la continua chiusura delle sedi consolari?
M.P.: E’ vero, sono richieste di buon senso che eviterebbero di trasformare una banale operazione di verifica, in un complicatissimo gioco dell’oca. Dopo aver trasferito l’incombenza della raccolta dei certificati dall’ICBPI alla CITI banca, l’Inps ha imposto due mesi di tempo per completare le operazioni di raccolta: dal 2 febbraio al 2 aprile 2012 che, soltanto dopo pressanti sollecitazioni dei patronati sono state prolungate fino al 2 giugno. La modalità originaria prevedeva l’invio da parte di CITI di un modulo a tutti i pensionati all’estero,che, dopo averlo compilato e fatto autenticare o dal consolato o da autorità locali specificamente preposte, avrebbero dovuto restituirlo all’istituto di credito CITI, incaricato di pagare concretamente le prestazioni pensionistiche dovute. In realtà, con la sovrapposizione di documentazione e modulistica, errate comunicazioni di dati, traduzioni sbagliate agli interessanti e scarse indicazioni corrette da parte degli operatori di banca, si è creata un’immensa confusione tra i pensionati, che hanno quindi affollato gli uffici dei Patronati.
N.G.: Insomma, non tutto è filato liscio?
M.P.: Proprio così. Ancora più difficoltoso è stato il rapporto con gli istituti di credito “locali” a cui CITI ha subappaltato a sua volta la raccolta della documentazione: gli operatori bancari spesso non sapevano proprio cosa stesse succedendo. Nonostante la richiesta dei patronati, – presi d’assalto dai nostri connazionali, per poter facilitare il rapporto diretto tra loro e gli stessi assistiti – non si è riusciti a trovare un modo di procedere spedito. Clamorosi sono stati gli errori nella spedizione della documentazione: indirizzi e cognomi sbagliati, sui quali era impossibile poter procedere all’autenticazione. Unica consolazione per i Patronati è che questa campagna ha portato decine di migliaia di persone nei loro uffici, avvicinando anche coloro che prima non ne conoscevano l’esistenza. Senza di loro probabilmente, le complicazioni per i nostri pensionati all’estero si sarebbero triplicate.
Nicola Guarino