Caratteristico di questo pellegrinaggio che si svolge ogni anno il lunedì in Albis – giorno della Pasquetta – fino al santuario di Maria Santissima dell’Arco, a Sant’Anastasia (dodici chilometri ad est di Napoli), è la partecipazione di numerosissimi gruppi di « battenti » o « fujenti » di ambo i sessi. Vestiti di bianco con fasce rosse alla vita e azzurre a tracolla, preceduti da bandiere e stendardi con l’immagine della Madonna dell’Arco, arrivano a piedi scalzi dopo molte ore di cammino. Sono scalzi per voto e, sempre per voto, devono compiere di corsa almeno l’ultimo tratto del pellegrinaggio.
La tradizione risale al 1450, quando in paese si svolgeva una festa. Due giovani giocavano a chi faceva andare più lontana la palla di legno colpendola con un maglio. Nel gioco, la boccia di uno dei due andò a colpire un albero di tiglio che sorgeva presso un’edicola votiva, facendogli perdere la partita. Il giocatore, accecato dall’ira, bestemmiando, scagliò la boccia contro la Madonna, colpendola alla guancia sinistra. Questa, cominciò a sanguinare. La gente – come riportato nei documenti del Santuario – si gettò sul sacrilego per linciarlo, quando si trovò a passare di lì il Conte di Sarno, Raimondo Orsini, Gran Giustiziere del Regno di Napoli, che fece liberare il malcapitato. Costatato quindi il miracolo, dopo un processo sommario, diede ordine di impiccare il giovane allo stesso albero di tiglio che aveva fermato la boccia. Dopo ventiquattr’ore l’albero seccò.
Il pellegrinaggio dai vicoli di Napoli e dall’entroterra vesuviano al Santuario ripete un rituale di gesti e di comportamenti che gli antropologi assicurano essere del tutto simile a quello di cinque secoli fa. E’ un evento unico per ampiezza, fede, drammaticità e folklore, la cui tradizione è trasmessa di padre in figlio.
La preparazione dei « fujenti » incomincia qualche settimana prima del lunedì in Albis. Gli allenamenti sono intensi. Ci sono tante cose da provare e riprovare. Innanzi tutto la « caduta » e poi l’abito, la questua ogni domenica mattina, con i canti e la Madonna sul baldacchino portato in giro per la città. La « caduta » in chiesa ai piedi della Madonna che richiama cineoperatori e fotografi da tutto il mondo, avviene in un clima di eccitazione parossistica e, in moltissimi casi, esplode con manifestazioni sconcertanti di epilessia e di morte apparente.
Questa « caduta » è il momento cruciale della giornata del « fujente », quando il capo paranza impartisce l’ordine con il fischietto, il fedele si lancia faccia a terra e vi rimane, rigido ed immobile, fino a quando non riceve l’ordine di rialzarsi. Non è raro vedere qualche battente che dopo la caduta striscia la lingua per terra in segno di ringraziamento.
I frati domenicani del santuario più frequentato della Campania, dopo Pompei, sono preparati a fronteggiare quest’emergenza e nel giorno di lunedì dopo Pasqua allestiscono in sagrestia un vero e proprio ospedale da campo che a malapena riesce a fronteggiare la drammatica situazione.
Il Santuario della Madonna dell’Arco, nel comune di Sant’Anastasia, alle falde del Vesuvio, costruito intorno al 1500, è rimasto fondamentalmente come nelle vecchie stampe dell’epoca.
Solo nel 1948 per facilitare il deflusso delle folle, furono ricavate due navate laterali. Colpisce all’esterno, il gioco del grigio della pietra vesuviana e del bianco delle pareti, sulle quali nell’interno del Santuario spiccano dei pannelli coperti dagli oltre quattromila ex voto. Tavolette di legno dipinte che descrivono i miracoli, con infermi e i loro parenti nell’implorare la grazia.
Mario Carillo
(Articolo pubblicato nel 2017)
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