Il 6 aprile 1912 moriva a Bologna Giovanni Pascoli. A cento anni di distanza, Altritaliani dedica un “mensile” al poeta e ha pensato di aprirlo con una intervista a Giovanni Capecchi, che insegna Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia e che ha dedicato a Pascoli alcuni volumi, da “Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli” (Ravenna, Longo, 1997) alla raccolta delle “Prose disperse” (Lanciano, Carabba, 2004), fino a “Voci dal ‘nido’ infranto. Studi e documenti pascoliani” (Firenze, Le Lettere, 2011) e all’antologia poetica “Giovanni Pascoli” (Firenze, Le Monnier-Univerità, 2011).
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Quando hai iniziato ad interessarti all’opera di Giovanni Pascoli?
Grazie per questa domanda, che mi permette di raccontare una storia poco letteraria e molto personale. Ho incontrato la poesia di Pascoli alle scuole superiori. Ho avuto la fortuna di avere al liceo classico “Forteguerri” di Pistoia un professore straordinario, Vasco Gaiffi, amato da tutti gli studenti: è grazie a lui (o dovrei dire “per colpa sua”?) se alla fine del liceo ho studiato Lettere e non – come inizialmente pensavo di fare – Medicina. Sono così affezionato e riconoscente nei confronti del professor Gaiffi che a lui, “insegnante impareggiabile”, ho dedicato il mio volume “Voci dal ‘nido’ infranto. Studi e documenti pascoliani”. Ma anche dopo il liceo la mia strada di studente è segnata dagli incontri con Pascoli: alla maturità uscì un tema di italiano proprio sul poeta di “Myricae”; al primo esame di Letteratura italiana all’Università di Firenze, il professor Marino Biondi, oggi divenuto un caro amico, mi chiese, come prima domanda: “Mi parli di Giovanni Pascoli”. Poi a Pascoli ho dedicato la tesi di laurea, divenuta libro nel 1997 (“Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli”) e da allora, ad intervalli, torno ad occuparmi di questo poeta.
In genere ti sei occupato più del Pascoli prosatore o di aspetti “marginali” e dimenticati dalla sua vita e della sua opera che del poeta…
Sì, effettivamente l’unica occasione che ho avuto per occuparmi della poesia è stata la stesura dell’antologia che l’editore Le Monnier ha pubblicato nel 2011. Ho privilegiato il Pascoli prosatore, il Pascoli autore di racconti, il Pascoli esegeta di Dante. Forse perché mi è sembrato più giusto – e anche più facile – provare a colmare delle lacune critiche, occupandomi di aspetti poco studiati. Mi sono interessato anche al Pascoli professore: a come insegnava, a come si comportava in classe, soprattutto negli ultimi anni bolognesi. Doveva essere noiosissimo, anche se gli studenti più avveduti ravvisavano, dietro la sua parlata stanca e le sue difficoltà di comunicazione, qualche perla che brillava e affascinava.
Immagino che non sia facile dire in poche parole che cosa ti attiri di Pascoli e quale sia, secondo te, l’importanza di questo poeta…
Alcuni giorni fa, a Perugia, la città dove insegno, ho conosciuto un musicista e ci siamo messi a parlare. Ho scoperto che era un amante della poesia e quando ha saputo che mi occupavo di Pascoli mi ha chiesto: “Ma cosa c’è di tanto interessante in Pascoli?”. Un suo amico, evidentemente meno appassionato di poesia e preoccupato per come si stava sviluppando la conversazione, ha aggiunto: “Ma dillo in tre parole”. Allora ci ho pensato un attimo e l’ho detto in tre parole: “Apre la contemporaneità”. In fondo Pascoli chiude l’800 e apre il ‘900, non solo da un punto di vista cronologico, ma anche da una prospettiva letteraria: è il poeta delle ombre, delle incertezze, delle inquietudini, del mistero. Finisce, con lui, il realismo e inizia il simbolismo. In poesia, Pascoli ha l’importanza che Svevo e Pirandello hanno nell’ambito della prosa.
C’è una questione che mi ha sempre incuriosita e che non riesco a capire: come mai la scuola italiana ha per lungo tempo trascurato Pascoli e come è possibile che di fronte alla sua poesia esistano due atteggiamenti diametralmente opposti, quello di chi la ama e quello di chi non la sopporta?
Alla prima domanda penso che si possa rispondere tenendo presente un fatto: gli insegnanti italiani, fino a non molti anni fa, si erano formati, anche per quanto riguarda la letteratura, alla scuola crociana o comunque post-crociana: e Benedetto Croce aveva dimostrato una scarsa capacità di sintonizzarsi sulle onde della letteratura contemporanea, dominata da quello che per lui era “il tarlo del pensiero”, e aveva di fatto sminuito il valore della poesia pascoliana, considerata l’espressione di un pianto continuino, di un uomo lamentoso e sempre con le lacrime agli occhi. Questa immagine, delle poesie di Pascoli come “idilli rigati di pianto” – aggiunta ad un fondamentale disprezzo per le innovazioni linguistiche pascoliane e per l’uso delle onomatopee: Croce diceva: “Pascoli si è messo a fare il verso alle galline” – ha dominato la scuola italiana a lungo e, in parte, ancora oggi.
Più difficile è rispondere alla seconda domanda, perché si entra nella sfera del gusto personale: penso che per amare Pascoli occorra comprenderne la complessità, umana e poetica, capire che il suo percorso poetico non è semplicemente quello di un uomo con la lacrima all’occhio, comunque non ignorare i drammi personali che hanno lacerato la sua esistenza e apprezzare il modo in cui queste intime lacerazioni assumano un valore che va al di là dell’esperienza di una singola vita, parlando dell’uomo in generale, calato in una realtà che non riesce più a comprendere, disorientato, smarrito. Chi ama Pascoli apprezza il suo mondo fatto di “piccole cose”, di oggetti semplici, di elementi naturali, che poi assumono un valore simbolico; e apprezza il ritmo franto della sua poesia, il flusso del discorso singhiozzante, interrotto dalle onomatopee, da punti di sospensione, da cesure. Apprezza cioè tutto quello che altri sminuiscono o addirittura disprezzano, parlando di un poeta troppo piegato su se stesso, di un poeta contadino che ha dato spazio a oggetti “impoetici”, di un autore che ha infantilizzato il ritmo della poesia.
Quali sono stati i luoghi legati alla vita di Pascoli?
Innanzitutto la Romagna, dove è nato nel 1855: San Mauro è rimasto sempre, per lui, il paese delle origini, delle radici familiari, ma anche la terra che ha ucciso il padre e che non ha saputo condannare i colpevoli. Poi Bologna: la città degli studi universitari, durati nove anni (nove anni importantissimi per Pascoli e anche molto difficili: difficili perché Pascoli viveva in misere condizioni; importanti perché sono gli anni della “vita attiva”, dell’adesione all’internazionale socialista, del carcere – poche settimane, ma destinate a lasciare una traccia profonda); e la città del tramonto (Pascoli prende il posto di Carducci sulla cattedra di Letteratura italiana nel 1906).
Ma ci sono anche altri ‘luoghi pascoliani’: Matera, dove va a insegnare subito dopo la laurea; Massa, dove nel 1885 chiama a vivere con sé le sorelle Ida e Maria, ricomponendo ciò che resta del “nido” familiare distrutto dopo la morte del padre; Livorno, dove insegna per alcuni anni e dove, nel 1895, si sposa la sorella Ida, in una giornata tragica per il poeta, che vede nuovamente infranto il “nido” familiare faticosamente ricostruito e che definisce quel mese di settembre “il mese terribile dell’anno terribile”; Messina, dove inizia la carriera universitaria, sentendosi in esilio come Dante, che proprio in quegli anni studia intensamente. E poi Castelvecchio, vicino a Barga, in provincia di Lucca…
La casa di Castelvecchio è ancora oggi visitabile. Pascoli arriva a Castelvecchio con la sorella Maria nell’autunno del 1895, dopo il matrimonio della sorella Ida. E a Castelvecchio cercava di trascorrere tutti i periodi liberi dall’insegnamento…
La casa di Castelvecchio è un luogo straordinario. Per gli studiosi: perché a Castelvecchio è conservata la biblioteca di Pascoli e il suo archivio, con moltissimi manoscritti. Ma anche per i lettori di Pascoli o per coloro che incidentalmente si occupano di lui: la casa, che si può visitare, fa capire meglio il carattere di quest’uomo, così attaccato alla natura, alla ricerca di un luogo solitario dove scrivere e pensare, bisognoso di uno spazio protetto nel quale sentirsi sicuro. Pascoli parla spesso del “nido”, ne parla con l’insistenza di chi sa cosa significhi vedere il proprio nucleo familiare andare in frantumi, per l’uccisione del padre, la morte immediatamente successiva della madre, la perdita di alcuni fratelli: ebbene Castelvecchio, anche per come si presenta (la casa, per esempio, ha un giardino, la “chiusa”, delimitato in ogni suo lato), è l’immagine ideale del mondo pascoliano, che sente come ostile e minaccioso tutto ciò che sta lontano (e che è “esterno” al “nido”) e che invece privilegia le cose vicine. Nella cappella accanto alla casa, poi, è sepolto il poeta e anche la sorella Mariù.
Mariù doveva essere una donna eccezionale…
Mariù ha costruito la sua vita intorno al fratello, ha fatto di tutto perché il fratello non si sposasse, lo ha accudito e, dopo la sua morte, ne ha, si potrebbe dire, “gestito” la memoria. Mariù era una donna sensibile (anche lei scriveva poesie) e dalla forte personalità. Cesare Garboli diceva che anche lei era una notevole scrittrice e in effetti le memorie riguardanti la vita di Giovanni sono importanti anche da un punto di vista letterario. Eppure queste memorie, che vengono pubblicate dopo la morte di Mariù, avvenuta nel 1953 (le pubblica l’editore Mondadori, con il titolo “Lungo la vita di Giovanni Pascoli”, nel 1961, completate – ma anche tagliate nei capitoli iniziali – da Augusto Vicinelli), sono da un lato un testo importantissimo e ricco di notizie, ma dall’altro rappresentano un volume “parziale”, che tace alcuni aspetti della vita di Pascoli (per esempio gli anni degli studi universitari, che Maria conosceva poco, ma che comunque preferiva tralasciare in un ritratto in piedi dell’amato fratello), che ne privilegia altri.
Pascoli è morto il 6 aprile 1912. Quest’anno è il centenario della sua scomparsa. Come viene ricordata questa scadenza in Italia?
Non sono in grado di dare una risposta esauriente, perché conosco solo gli appuntamenti e le iniziative che mi vedono in qualche modo coinvolto. Direi però che il centenario è stato preparato dall’uscita di alcuni studi. A parte i miei due volumi, usciti nel 2011, dei quali non sta a me parlare, nel 2011 sono usciti alcuni libri importanti: per esempio il profilo pascoliano scritto da Massimo Castoldi (“Pascoli”, Bologna, Il Mulino) e un’edizione dei “Pensieri e cose varie” (frasi, appunti sparsi, recuperati dalle carte pascoliane) curata da Renato Aymone e Aida Apostolico (Salerno, Edisud).
Per il 2012 sono previste iniziative editoriali e appuntamenti come convegni, conferenze, presentazioni. Per esempio uscirà a fine anno un numero speciale della rivista “Sinestesie” interamente dedicata al poeta e curata da Aymone, mentre Marco Veglia, avvalendosi della collaborazione di altri pascolisti, sta preparando una biografia per immagini. A Verona, tra il 20 e il 23 marzo, si sono svolte iniziative dedicate a Pascoli e, in particolare, un importante convegno, e un convegno si è svolto a Bologna, tra il 2 e il 4 aprile. Ma anche San Mauro di Romagna sta lavorando al suo anno pascoliano (in estate, per esempio, saranno realizzate varie iniziative sotto le stelle, tra teatro, letture, incontri) e così Lucca e Castelvecchio, dove, tra l’altro, è in corso la digitalizzazione di tutti i manoscritti conservati nell’archivio Pascoli.
Neppure Altritatliani poteva rimanere indifferente a questa scadenza. Che cosa dovranno aspettarsi i nostri lettori per le prossime settimane? Cosa accoglierà il “mensile” che pubblicheremo e che con questa intervista vogliamo aprire?
Saranno pubblicati tre articoli dedicati ad altrettanti aspetti della vita e dell’opera di Pascoli. Il primo riguarderà l’episodio centrale della biografia pascoliana, l’uccisione del padre Ruggero avvenuta il 10 agosto 1867. L’autrice, Alice Cencetti, ha pubblicato nel 2009 una importante “biografia critica” di Pascoli, occupandosi anche del delitto. Seguirà un intervento di una studiosa francese, Véronique Youinou, dedicato al linguaggio pascoliano: il nostro poeta, non va dimenticato, è stato un grande innovatore anche sul piano formale e linguistico. Il terzo articolo riguarderà il “classicismo” pascoliano ed è stato affidato a Francesca Sensini, che si è occupata di questo tema pubblicando tra l’altro, nel 2010, il volume “Dall’antichità classica alla poesia simbolista: i Poemi conviviali”. A chiusura del “mensile” verrà infine pubblicato un dialogo tra me e Nicola Guarino, abbastanza informale, per niente accademico.
Saranno infine la stessa poesia, le poesie di Pascoli, il filo conduttore di questo mensile.
Evolena per Altritaliani
PS. Vi proponiamo la lettura del testo accompagnativo seguente
“Pascoli – La voce alla poesia”.
Pascoli e le ombre del contemporaneo. Intervista a Giovanni Capecchi.
J’ai apprécié votre interview de G. Capecchi, ainsi que son article Pascoli:la voce alla poesia, pour plusieurs raisons.
Vous annoncez un mensile sur un auteur dont je connais à peine le nom, de surcroît un poète, en général plus difficile à aborder en langue étrangère, je me sens un peu réticente.
Et puis je découvre deux textes qui ont le mérite d’être clairs. Vos questions, sans fioritures inutiles, vont tout de suite à l’essentiel, et les réponses fournies sont également formulées avec concision et précision. Donc je commence à être motivée par le singulier destin de M. Pascoli.
Ensuite viennent les deux poèmes de l’auteur, fournis avec commentaires et notes s.v.p.!
Alors là je suis très surprise, les poèmes ne sont pas opaques, rien de comparable avec Mallarmé ou Valéry, et les commentaires très éclairants sont formulés avec une limpidité appréciable.
Je serai attentive à vos prochaines ‘livraisons’ pour découvrir Pascoli plus avant. Merci à vous.