I dati elettorali dimostrano la sfiducia dei cittadini verso l’insieme dei partiti che compongono la classe politica italiana. La vera novità è l’astensione dei moderati che fa riflettere. L’Italia non è come ce la racconta l’attuale informazione televisiva. Esiste un paese reale ignorato dalla politica. Occorre che a destra e sinistra (secondo vecchi e superati schemi) si avvii quella riforma del pensiero politico che noi auspichiamo quasi per statuto. Incominciamo con un’analisi sull’attuale opposizione con riflettori accesi particolarmente sul PD.
Le regionali si sono concluse, ma si è ancora in sede di bilancio. La realtà è che gli studi di accreditati osservatori sui flussi elettorali, hanno fornito dati preziosi, ma da interpretare.
Come osservatorio e laboratorio, il nostro intento è inteso a dare un contributo per aiutare la “politica” a capire il suo rapporto con la società. Aiutare tutta la politica. Iniziamo guardando al centro-sinistra ed in particolare al PD, ma ci ripromettiamo di fare altrettanto in seguito con la destra. Questo perché siamo convinti che gli attuali modelli politici sono in crisi, ci siamo chiesti e ci chiediamo se non sia anche in crisi la democrazia e il modello istituzionale democratico dell’Italia e dell’occidente.
Ma andiamo per ordine.
Chi ha vinto, aldilà dei proclami di rito, il vero vincitore di queste elezioni è stata, per unanime riconoscimento, la Lega Nord.
Dominio assoluto nel Veneto, conquista del Piemonte, penetrante sviluppo in Emilia Romagna, in Toscana, nelle Marche e finanche nell’Umbria, dove non è più nord ma è il cuore della nazione. Eppure a studi fatti finanche lo tsunami, come l’ha definito Bossi, Lega, registra, rispetto alle recenti Europee, sicuramente meno allettanti per target per il proprio elettorato, una perdita di circa 200.000 voti. E qui siamo a quello che è certamente un vincitore, l’astensionismo. Il 35% degli italiani non ha votato e se si aggiungono le schede bianche o nulle arriviamo al circa il 40% degli elettori che sfiducia l’attuale assetto partitico italiano. Sarebbe un partito dalla maggioranza relativa più che ampia.
Mai un partito ha avuto nella nostra storia repubblicana una tale rilevanza. Si è detto che in Francia ad esempio non ha votato il 52% degli aventi diritto, eppure questo dato rilevante è finanche meno impressionante di quello italiano.
Nello stivale il voto è sempre stato diffuso, un rito sacro, particolarmente rilevante nelle regionali, data anche la cultura regionale, molto più forte in Italia della stessa cultura nazionale. Il carattere regionale dell’Italia è l’originale prerogativa del nostro paese eppure finanche le regionali sembrano non raccogliere più l’interesse di una volta.
Il PDL di Berlusconi, che si proclama vincitore e che lo è solo grazie alle contenute perdite della Lega, perde più di duemilioni, pur considerando l’assenza della lista in provincia di Roma, di voti il PD (fonte studio della IPSOS) perde circa un milione e duecentomila voti, secondo altre fonti, rispetto alle precedenti regionali questi due partiti, perdono insieme, quattromilioni di voti. Nell’opposizione canta vittoria l’IdV (l’Italia dei Valori di Di Pietro), ma in realtà rispetto alle Europee non cresce di nulla, perde qual cosina (un trecentomila voti) e come per la Lega se aumenta il suo peso politico è solo per il rapporto aritmetico tra votanti e percentuali di voti assegnati, ma come cifra secca di voti non fa progressi.
Le varie formazioni della estrema sinistra, tolto il caso Vendola (che ha un suo specifico dovuto alla peculiare personalità del governatore e al suo legame con il territorio) dimostrano con i loro magri risultati che la pratica comunismo o socialismo sono state ampiamente archiviate in Italia dagli elettori dopo esserlo state dalla Storia.
Il dato veramente nuovo è che l’astensionismo in questo caso ha punito tutti e non ha premiato neanche la goliardica formazione di Grillo. Uomo e comico simpatico che dice molte cose vere e giuste, ma che non sembra evidentemente agli elettori, credibile sul piano politico. Utile, come pungolo alla politica, ma difficilmente considerabile per le forme e per alcuni dei suoi contenuti come futura guida del Paese. In effetti, pur con tutte le attenuanti: scarsa o nulla presenza in televisione, essere solo in sei regioni, pochi mezzi pubblicitari, soggetto all’ostracismo di destra e sinistra, con i suoi quattrocentomila, commoventi, voti, non si può dire che abbia fatto un autentico exploit. Il suo movimento potrà essere, tuttavia un’importante fonte di dati ed informazioni, nonché una palestra per tanti giovani che si candidano, maturando, ad essere la futura classe dirigente.
Non credo, francamente che il movimento di Grillo abbia tolto molti voti alla sinistra e forse non ha inciso nella sconfitta della tenacie Bresso in Piemonte che ha ceduto dopo un estenuante testa a testa a favore del leghista Cota. Come per l’IdV anche per i “grillini” c’è un equivoco di fondo. Si considerano questi movimenti come di sinistra, ma così non è. Si cerca di inserirli per ozio e mancanza di creatività in uno schema destra o sinistra che ormai è fuori dalla realtà italiana.
I grillini sono un movimento moralizzatore, che si batte su quattro o cinque temi forti (la privatizzazione dell’acqua, la TAV, la legalità in parlamento, ecc.). Il partito di Di Pietro è un partito d’opinione, che non marca nessuna significativa presenza sul territorio, che usa un populismo (anche qui pigramente definito di sinistra) per raccogliere consensi e che ha una vicinanza con i “grillini” proprio sul tema della moralizzazione della politica e dell’economia. Non mi stupirei se il “Movimento a cinque stelle” di Grillo avesse sottratto voti non alla sinistra ma allo stesso Di Pietro.
Rimane quindi la domanda chi è che non ha votato? E perché?
Il fatto che i numeri dimostrino che tutti ma principalmente i due maggiori partiti (PDL e PD) siano stati colpiti dall’astensionismo dimostra qualcosa. IL PDL e il PD prima di queste elezioni facevano il 60% dei votanti, oggi solo il 50%, questi due partiti insieme hanno avuto la gran parte degli astenuti (fonte Istituto Cattaneo), la Lega ha avuto poco più di un 1% di astenuti rispetto alle ultime Europee. Un dato che la dice lunga sulla tenuta leghista. Penso che hanno ragione quei commentatori politici che segnalano una inquietante novità.
Più che un astensione di arrabbiati, di contestatori, siamo di fronte ad un’astensione dei moderati, sia del PDL che del PD. In effetti, gli estremisti avrebbero potuto votare le liste estreme, le più radicali nel confronto e scontro.
Allora si poteva votare a destra “La destra” di Storace che ha sì avuto lusinghieri dati nel Lazio ma certo non si può parlare di caso nazionale, si poteva votare per Sinistra e Libertà, che tranne in Puglia non ha mostrato grandi cose, per Rifondazione Comunista o altri gruppi dell’estrema sinistra, si poteva votare Grillo, appunto; oppure Italia dei Valori il partito puro e crudo, giustizialista fin nel midollo spinale, invece queste formazioni non hanno lasciato il segno, ne hanno contribuiscono in modo significativo alle proprie alleanze. Curiosamente la più moderata Lega Nord che si ricordi, fa il pieno, almeno dei suoi elettori, pronti a seguire il “carroccio” passando dai toni più esasperati a quelli più pacati e riflessivi. Una Lega Nord che come è stato riconosciuto da tutti ha condotto una campagna elettorale non mediatica, quasi assente dalle televisioni incluse quelle dell’alleato Mediaset, non ha partecipato alla bagarre tra PDL, PD e IdV in merito alla questioni Liste escluse, o censura dei Talk Show televisivi, nulla ha detto di significativo durante le polemiche sulle intercettazioni telefoniche, con conseguenti aggressioni del governo ai magistrati e dure repliche (registrate anche da noi) del CSM.
Gli assenti sembrerebbero i moderati. La cosa è grave anche perché storicamente l’Italia è un paese individualista e moderato. Così moderato che per 50anni la DC ha potuto governare indisturbata.
Moderati di solito con un discreto senso civico, che li portava ad esprimersi, almeno nelle urne elettorali.
Tuttavia va detto che moderati non vuol dire essere molli, senza idee, ne carne e ne pesce, privi di volontà e di richieste concrete ed aspettative. Gian Antonio Stella, noto giornalista e scrittore ha fatto notare di recente che i moderati non sono persone silenziose ed incapaci di arrabbiarsi, ma persone che desiderano scelte chiare e nette (senza fughe in avanti). Obama è moderato ma la sua riforma sanitaria è chiara e netta. E’ moderato ma le sue scelte sulle politiche energetiche sono inequivocabili. Lo stesso Vendola, osteggiato in un primo momento dallo stesso PD vince in Puglia ma non lo si può considerare un estremista, lui così capace di parlare ai rossi ma anche alla Chiesa, capace di esprimere la sua diversità come un valore senza sventolarla con provocatoria aggressività.
Il moderatismo non ha nulla a che vedere con la paralisi politica, di cui sembra oggetto la scena italiana chiusa da sedici anni nell’insoluta anomalia berlusconiana e ridottasi ad un eterno referendum: Berlusconi si, Berlusconi no, che evidentemente ha stremato proprio quei moderati che chiedono alla politica, più che spettacolari battibecchi televisivi, leggi non “ad personam” ma leggi che producano lavoro, meno tasse e più equità fiscale, possibilità di avere asili nido per le mamme che lavorano, ospedali efficienti e liberati dalla malasanità, una vita meno cara, scuole che funzionino, una giustizia più rapida ma efficiente, un sud meno lontano dal nord, ecc, ecc..
L’Italia è un paese stanco e vecchio.
Che ha bisogno di modernizzazione e di giovani.
Certamente anche di ritrovare i suoi valori morali, smarriti da anni di malgoverno e malcostume, di riscoprire la sua memoria per poter guardare avanti a testa alta. La società è cambiata ma i partiti non sembra se ne siano accorti. Così se il PD ancora ha difficoltà di linguaggio con i giovani, parlando una lingua che ancora oggi zoppica di un tardo politichese, la destra parla un linguaggio televisivo che poteva sorprendere quindici anni fa ma che ormai mostra i suoi limiti. Un inganno non può ripetersi all’infinito, alla fine le persone imparano.
Flaiano nel 1970 diceva che tra trent’anni questo paese non sarebbe stato come lo volevano i governi ma come l’avrebbe voluto la televisione. Mi permetto di dissentire. Questo paese non è come lo descrive la televisione, che ne da un’immagine drogata e falsa questo paese soffre di solitudine e la televisione nel suo non rappresentarlo, o rappresentandolo pochissimo, ne accentua la solitudine e lo sconforto. Un analogo errore lo commettono all’opposizione.
Il popolo viola, i grillini, l’exploit, quello si di “RAI per una notte” a cui abbiamo partecipato e a cui parteciperemmo sempre, non rappresentano che solo una parte, veramente minima, della società italiana. Il milione di persone nelle piazze per il “No Berlusconi Day” non sono la fotografia del Paese. Sono solo l’espressione di una combattiva minoranza che esprime significativi contenuti etici e finanche politici, ma non sono il Paese. L’Italia di oggi è diversa da come la raccontano le televisioni, le quali non mettono in scena la realtà, come avveniva finanche negli anni sessanta e settanta, ma mettono in scena una realtà come la si vorrebbe, oppure ad uso politico per smuovere o cercare di smuovere un consenso politico per questo o quel partito. A tal punto che alla fine gli stessi partiti si convincono che l’Italia è così e così facendo finiscono per non riuscire ad ascoltarla, interpretarla e trovare le strategie utili agli italiani e all’ottenimento del consenso.
Come ha notato Ivo Diamanti, se la Lega ha vinto è proprio perché la Lega, il più vecchio partito dello scenario politico italiano, è anche l’unico partito politico rimasto in Italia.
Questo inciso se vero dimostra come sia falso da un lato che l’Italia sia quella vista dalla televisione italiana e dall’altro lato quanto sia ancora importantissimo il legame di un partito con il territorio e che questo partito proponga uomini attaccati alla realtà, con idee, progetti ed ideologie capaci di unire i cittadini.
La lega vanta una sua presenza fisica nei paesi, nelle città medie, piccole e grandi ha una sua organizzazione che ascolta la gente, che ha compreso che lo strumento televisivo non somiglia agli italiani, ma semmai alla politica italiana che in essa si specchia narcisisticamente. Una TV spettacolare, urlata, litigiosa che sia se si parla di fidanzati separati, di gossip o di sport o di politica lo fa negli stessi modi e con gli stessi linguaggi. A forza di sopravvalutare la TV, il premier è diventato un ossessionato, un campione di arroganza che vuole censurare chiunque dia informazione sulle sue traversie giudiziarie e politiche, la sinistra, per contro, s’illude nel credere che la riuscita o lo share di programmi come Anno zero siano rappresentativi dell’opinione della maggioranza degli italiani. Gli spettatori di questi programmi sono già fan di quell’area politica e se non lo sono, assistono magari anche con piacere, indignandosi per i casi proposti da queste o altre trasmissioni simili, ma alla fine pensano, agiscono diversamente dalle aspettative della sinistra.
E’ così anche illusorio credere che il popolo viola sia la maggioranza degli italiani, quel milioni di manifestanti sono appunto un milione e gli italiani ne sono sessanta. Il che non toglie valore alla manifestazione ma non si può aspettare che quel milione sia la punta dell’iceberg, semmai l’iceberg lo deve costruire la politica (in questo caso a mio avviso il PD) e quel milione di persone potrebbero ben essere i protagonisti, con le loro storie, il loro vissuto e la loro passione, di questa costruzione.
Storicamente gli italiani sono moderati, individualisti e desiderosi di una società che sia concepita per esserle amica e non ostile.
Io credo che molti vorrebbero essere ascoltati, che si rompesse questo muro che separa la società dalla politica, ma occorrerebbe un bagno di umiltà dei politici, bisognerebbe tornare a concepire la politica non come un periodico rito stanco fatto di votazioni (peraltro oggi senza nemmeno la possibilità di scegliere il proprio candidato), ma come un’attività che passa dalla quotidianità del proprio quartiere, alla propria città, alla regione fino alla stessa nazione.
Oltre ad essere ascoltati gli italiani vorrebbero dire la loro, sono certo che in qualche modo vorrebbero essere più protagonisti. La politica è, e dovrebbe essere a servizio dei cittadini, mentre oggi quasi si pretende che i cittadini siano a servizio dei partiti, benedicendoli con il voto dopo essere stati inascoltati per tutta la legislatura, partecipando a cortei pro o contro Berlusconi.
A parte l’antiberlusconismo, sacrosanto e fondato su giuste ragioni giuridiche ed etiche, cosa propone il PD? quali alleanze? quali progetti? quali priorità? Quali uomini? Come si organizza? Che sono i riferimenti territoriali? Quali sono i valori di riferimento? Ha una ideologia valida per la quale vale la pena battersi?
Siamo sicuri che le priorità degli italiani siano interessati alla legittima ma forse inopportuna esclusione della lista del PDL dalle votazioni regionali in provincia di Roma? Oppure che non vengono trasmessi per un mese quattro talk show, seppure interessantissimi? Oppure a cosa dice Berlusconi nelle intercettazioni telefoniche, insanamente diffuse dagli uffici giudiziari e della polizia?
Credo più probabile che gli italiani vorrebbero un lavoro più sicuro e meno precarietà. Politiche familiari come in gran parte d’Europa che permettano di mettere su famiglia. O che magari funzionassero le ferrovie per i pendolari. Che si impedisse una speculazione edilizia che non libera nuove case per le coppie giovani. Che fosse il sud liberato dalla mala pianta della criminalità organizzata, così da poter avviare liberamente attività imprenditoriali senza subire le pressioni delle varie mafie e camorre. Di avere meno tasse e di veder punire i furbi, gli evasori, gli speculatori che tanto male fanno alla nostra patria. Di avere più scuole, moderne efficienti dove si possa istruire ed educare i nostri ragazzi, avere magari meno università ma più autorevoli, che garantiscano nei giusti modi più professionalità e la possibilità di migliorare la ricerca. Di veder valorizzare il proprio patrimonio artistico, culturale e paesaggistico. Di respirare in Lombardia come a Napoli meno inquinamento e più aria pulita. Di avere meno malasanità ed ospedali più efficienti a nord come a sud. Potremmo continuare per pagine e pagine, ma questo assaggio mi sembra abbastanza esaustivo.
L’Italia è un paese, l’abbiamo detto più volte dal nostro sito che dopo anni di paralisi ora è finanche in recessione.
L’Italia è un paese vecchio e stanco.
Svuotato da un perenne conflitto inscenato dall’anomalia Berlusconi, che appassiona pochi fan del cavaliere e pochi cittadini che lo detestano. Tutto ciò a me sembra provato dai numeri di quest’ultima elezione.
Credo che l’Italia abbia bisogno di tre cose, che richiedono scelte radicali, nel vero senso della parola, modernizzazione, ringiovanimento e moralizzazione.
Il PD era nato su un presupposto che aveva raccolto numeroso interesse e partecipazione. Il passaggio dall’Ulivo all’Unione al PD era stato segnato da eventi del tutto nuovi sul piano del metodo. Le primarie in primis, l’emergere di giovani talenti (potremo ricordare Debora Serracchiani, performante enfant prodige) guidati dall’innovativo Walter Veltroni, ma le defatiganti manovre interne al partito, le lotte intestine che proiettano al vertice altre lotte intestine di quelli che una volta erano detti “quadri medi” nella periferia del Paese, hanno portato alla fine di quella esperienza. Nuove primarie e con votazione popolare Bersani s’impone. La vittoria degli elefanti.
Le primarie sono uno strumento irrinunciabile, anche se io le ho viste l’ultima volta e vi assicuro che a votare c’erano tanti che con il PD non avevano nulla a che vedere, ma che avevano moltissimo interesse alla vittoria della D’Alema & c.. Tuttavia, malgrado i rischi, le primarie sono uno strumento necessarie di democrazia che ben dovrebbe essere perseguito dalla stessa destra.
Si sperava che l’arrivo di Bersani (ma forse è ancora presto per dirlo) desse un segnale almeno sotto l’aspetto organizzativo.
Il punto è che il PD dovrebbe trovare il coraggio di appropriarsi dell’argomento moralizzazione.
I quadri medi del PD sono, specie nel Sud, il retaggio di tutto il peggio dell’ex DC e dell’ex PCI, una casta connivente spesso con la malavita organizzata, una casta che ha come unico scopo il proprio esclusivo arricchimento e la conquista di sempre nuove posizioni dominanti.
Ciò specialmente nelle province, ma il malcostume sussiste e si nasconde anche nelle metropoli. Ma nelle provincie questo dato è molto allarmante. Anche questo può spiegare il successo del PD in città metropolitane e il tracollo nelle provincie. A Roma, Bari, L’Aquila, Milano, Torino il PD vince o comunque perde molto di meno che in provincia. Si pensi a Formigoni, attuale governatore PDL che stacca di 23 punti il candidato PD, Peinati, ma a Milano i punti di differenza sono solo 8. Oppure a Venezia dove il leghista Zaia perde contro Bortolussi, candidato PD salvo poi, stravincere nelle provincie al punto di staccare lo stesso del 30%. A Torino la Bresso, mortifica Cota, ma Cota vince, sia pure di strettissima misura grazie alle province piemontesi, alle Langhe a quei territori fuori dalla cintura urbana torinese. A Roma la Bonino batte largamente la Polverini, ma non basta. Le altre province daranno il successo alla simpatica e coraggiosa ex sindacalista dell’UGL.
Le metropoli o i capoluoghi regionali danno carta bianca (è il caso di dire) ad un’opposizione priva di idee e programmi, stretta nell’equivoco “catto-comunista”, incapace di scrivere la propria agenda politica e d’imporla al governo e di proporla all’opinione pubblica. In provincia dove la crisi si avverte ancora di più, e l’opposizione ha ancora meno spazio, non rimane come referente il detentore del potere, spesso un ras, colluso al malaffare quando non alla malavita, al quale non si può parlare se non dopo essersi sottomessi con procedure a dir poco feudali. Tutto questo non per avere un proprio diritto ma per avere solo una speranza. Così, ad esempio, si spiega come funziona un improduttivo sud, dove l’impiego pubblico diventa un surrogato dell’assistenzialismo al punto che comuni come Reggio Calabria hanno cinque volte più impiegati pubblici di metropoli come Milano.
E’ del tutto evidente che in questi anni ci sia stato uno snaturamento della composizione sociale delle regioni e delle province. La crescita di agglomerati urbani senza ordine e piani regolatori, con speculazioni edilizie graziate dai continui condoni dei governi di destra, ha polverizzato il tessuto connettivo dei piccoli centri, creato uno spaesamento in cui la politica si è inserita con una logica non alta di coinvolgimento dei cittadini per costruire insieme programmi atti a realizzare una società capace di fronteggiare tale sviluppo, ma con logiche sempre più private, clientelari, dove la domanda politica diventava domanda privata, bisogno da risolvere attraverso l’aiuto dell’amministratore locale. In questo quadro le tensioni con i nuovi e non riconosciuti cittadini (immigrati) hanno creato ulteriori paure che la politica non solo non ha risolto ma spesso le ha incoraggiate, creando così una guerra fra marginalità, fra vecchie e nuove povertà, che è stata fomentata con evidenti buoni risultati nel nord dalla Lega, instillando un clima di paura e di odio, ma analogamente è accaduto anche nel sud se si pensa ai recenti avvenimenti calabresi, avvenimenti che ove vi fosse stata una presente politica territoriale sarebbero stati scongiurati.
Cresce quindi la distanza culturale, economica e sociale tra il nord e sud, ma anche tra le metropoli e le provincie all’interno del nord e del sud, creando ulteriori spaccature nella società italiana.
Una situazione così sconvolgente non può essere risolta con quattro frizzi e lazzi alla televisione, richiede il ripristino di forme di democrazia partecipata, di controllo dei cittadini, non con le ronde ma con la cara vecchia vigilanza democratica che non può mai essere demodé, almeno di non considerare la stessa democrazia fuori moda.
Cosa dovrebbe fare il PD? Dico la mia.
Scelte chiare. Il paese domanda normalità ed esprime il bisogna di uscire dallo straniamento in cui questi sedici anni di Berlusconismo ci ha trascinato. Metto alcune proposte nel piatto, a titolo di esempi.
Partendo da una premessa.
Riconquistare i moderati non significa necessariamente guardare al centro. Questa idea valeva venti o trenta anni fa.
In questo nuovo secolo la politica è cambiata. Come non esistono più i socialisti, i comunisti, i fascisti, le vecchie divisioni destra/sinistra, così non si può guardare al centro (leggi UDC di Casini) come sinonimo di moderatismo o come la risposta giusta che il paese attende per il bene suo e dei cittadini. Io credo molto di più all’ipotesi che per la modernizzazione del paese e il ringiovanimento della sua classe politica occorra più che un asse PD – UDC, un asse PD – IdV – Radicali (fu l’intuizione di Veltroni, tradita in buona misura da Di Pietro & c. che forse all’epoca non erano ancora abbastanza maturi e responsabili per sostenerla o forse erano troppo smaniosi di conquistarsi visibilità). In questo asse il PD potrebbe meglio sintetizzare ed assemblare le istanze di moralizzazione, modernizzazione e ringiovanimento di cui le altre due forze politiche sono portatrici.
Non escludo che una scelta del genere possa anche non piacere ad alcuni dirigenti del PD (specie di area cattolica) ma va ben ribadito che le scelte portano anche a delle separazioni a volte necessarie nel nome della chiarezza e della correttezza. Del resto la laicità fu uno dei contenuti forti della stessa DC e chi proviene da quella storia dovrebbe ricordarlo ed infine, Se si vuole guardare avanti bisogna anche tagliare il cordone ombelicale che ci tiene legati alle proprie origini siano democristiane o comuniste.
Come preannunciato faccio alcune proposte.
In primo luogo penso che il PD debba rimettere al centro della sua azione politica: in primo luogo il lavoro imprescindibile fattore per la realizzazione di ogni essere umano; in secondo luogo la laicità dello Stato, considerando gli interventi della chiesa nelle scelte politiche del Paese come una ingerenza alla stregua di quello che sarebbero a parità di affermazione quelle provenienti da un qualunque stato straniero In terzo luogo vorrei rilanciare un concetto: quello della responsabilizzazione dei cittadini.
Qualsiasi riforma della costituzione dovrebbe a mio modestissimo parere tenere saldi questi tre concetti fondamentali che pervadono gli esempi che vado ad esternare.
Imporre che gli appalti per i lavori pubblici non possano essere subappaltati. Togliendo i lavori alle imprese che subappaltano, inserendole altresì in un registro d’imprese che le escluda definitivamente da possibili future gare di appalto. Vietare il lavoro nero ritenendo le imprese che abusano dei lavoratori pagandoli in nero responsabili di sfruttamento e in conseguenza di ciò chiudere per sempre l’attività commerciale o d’impresa in questione. Il lavoro a termine deve essere concepito in modo da garantire al lavoratore assistenza sanitaria previdenziale e contributi pensionistici.
Riconoscere agli immigrati regolari, che lavorano e pagano le tasse i diritti di cui già godono gli italiani, il diritto al voto all’assistenza sanitaria, la possibilità di concorrere alla pari con gli altri alle scelte politiche e amministrative del proprio paese e della propria città. Riconoscere, in un tempo ragionevole (non dieci anni), la cittadinanza agli stranieri che vivono e lavorano in Italia ed in ogni caso subito ai loro figli che nascono nel nostro territorio.
Sia chiaro che il rispetto deve essere reciproco, e la storia del femminismo italiano e le battaglie per la parità non ci consentono di accettare usanze e costumi incompatibili con una cultura della liberazione che dovrebbe ispirare una moderna formazione politica occidentale, quindi niente burka o forme di mortificazione della dignità femminile. Rispetto per i luoghi di culto e garanzie per tutti di poter praticare qualunque religione nel rispetto della nostra Costituzione e delle nostre leggi.
Va avviata una lotta concreta e di principio contro i monopoli dell’informazione e del mercato; detassare il lavoro e le piccole imprese, significa porre il lavoro al centro della dignità dell’uomo. Tassare di più il gioco in borsa e di meno il lavoro. Non è possibile che in Italia giocare sia ritenuto più serio che lavorare. Basta condoni fiscali, edilizi o di altro genere chi evade le tasse deve andare in galera, perché chi evade le tasse procura un danno a tutta la comunità. E’ come colui che brucia i boschi per costruirsi una casa. Pensando al suo privato ed egoistico interesse colpisce tutta la comunità.
Imporre una forte moralizzazione del Paese. Chi ha pendenze giudiziarie non deve essere candidato. Chi si occupa della Repubblica non può essere un cittadino qualunque; è un uomo pubblico, deve sentirne l’onore e l’onere, essere un esempio per la comunità. La politica non è un obbligo ma chi decide di farla deve mettere nel conto di essere un riferimento per la comunità. In tal senso deve essere un riferimento anche morale. Se uno ama giocare con i soldi, sniffare cocaina e andare a puttane, magari potrà fare il gangster e non il primo ministro.
Un paese moderno deve spingere sulla ricerca e in tal senso va privilegiato il liberalismo e la laicità.
Quindi si alla ricerca genetica, si alla ricerca scientifica in genere che è stata uno dei motori della nostra evoluzione tecnologica e a tal proposito si alla ricerca per fonti energetiche diversificate in attesa del nucleare di quarta generazione, si alla TAV e alla modernizzazione dei trasporti e delle infrastrutture. Tornando sul piano laico, va considerato che il concetto stesso di famiglia è nel corso degli anni cambiato e con questi cambiamenti bisogna fare i conti per tutti gli effetti giuridici e sociali che comportano.
Quindi si alle coppie di fatto, si ai matrimoni omosessuali, sì al testamento biologico. Sì a politiche di sostegno per le famiglie, bene anche che i valori cristiani ispirino nel privato l’educazione familiare, ma nei tempi della globalizzazione, la religione deve essere ancora meno invasiva e favorire il dialogo interculturale, quindi niente burka, ma niente croci e simboli religiosi nei luoghi pubblici, nelle scuole, nelle aule di giustizia. Le comunità religiose hanno tutti i diritti di praticare i propri culti nei modi e nelle forme concesse dalla nostra Costituzione e dalle nostre leggi, ma se si vuole pregare o raccogliersi, si vada in chiesa, in sinagoga, in moschea, ma non si pretenda di volerlo fare in strada o a scuola o al cinema.
Libera informazione. Liberare la RAI dai partiti (libera RAI in libero Stato). Verificare la possibilità che l’ente sia gestita da organismi apartitici come l’associazione consumatori, magari insieme a fondazioni di arte e cultura, anche se temo che anche queste siano occupate dai partiti. Si al canone, ma informazione non asservita ai partiti. Sia data autonomia e libertà ai giornalisti, all’editore, avendo l’impegno di servizio pubblico e non di qualche potentato. Come detto combattere il monopolio dell’informazione e della pubblicità creando un’informazione sempre più plurale e democratica.
Fine dei conflitti d’interesse. Chi ha monopoli, un esorbitante potere sull’economia e l’informazione, non può guidare il paese. Quindi ineleggibilità di personalità di questo genere, insomma basta a perdere tempo in querelle come “l’affaire Berlusconi”.
Del resto molti ricorderanno che la discesa in campo del cavaliere fu successiva alla fine della prima Repubblica, ormai il quadro politico è cambiato e sarebbe l’ora che anche la destra, per il suo bene, decidesse a darsi dei contenuti politici ed ideali e non solo mediatici.
Del resto anche queste ultime elezioni confermano il declino del berlusconismo e quindi Fini, Tremonti, Formigoni ed altri dovrebbero iniziare a preoccuparsi della ormai prossima successione.
Riformare la giustizia, mantenendo sacro il testo costituzionale, che ben separa i poteri dello Stato, impedendo così ingerenze dell’esecutivo sulla libertà della magistratura di svolgere la propria attività giurisprudenziale. Fornire quindi di strumenti nuovi ed efficaci il processo, a cominciare dal processo telematico (specie per le cause civili) avviato ma come una chimera mai giunto alla meta e per il quale chissà ancora quando bisognerà aspettare.
Certezza della pena. Basta amnistie, indulti, ecc. responsabilizzare i cittadini significa anche che chi sbaglia paga. Ma questo significa anche basta con pasticci come le ronde, oppure l’esercito con funzioni di polizia, tutte queste cose oltre che grottesche non fanno bene al moderatismo, che chiede sicurezza ma anche efficienza e competenza.
Forse potranno sembrare proposte eccessive, ma in realtà sono tutte cose che in buona misura già esistono in molti paesi occidentali, personalmente mi sembrano poche idee di partenza, giusto per ripristinare un po’ di normalità.
Mentre in Italia le regole sono scomparse e deteniamo il record di evasione fiscale, va compreso che proprio il rispetto delle regole è il pagare le tasse sono due elementi fondamentali per il benessere di una moderna democrazia.
Chiudere le aziende che sfruttano gli uomini come schiavi è doveroso ed avviene in molti paesi quali la Germania, l’Inghilterra, l’Australia. In Francia è impensabile parlare di subappalti e finanche di condoni, ricordo che in una lezione all’Università di Parigi ebbi molte difficoltà a far comprendere che cos’è un condono, fiscale o edilizio, la Francia nella sua storia non ne aveva mai avuti.
La cattolicissima Spagna ha già i matrimoni omosessuali e i preservativi sono venduti nelle scuole e non mi sembra di sentire ardere roghi per gli infedeli nelle pubbliche piazze.
Tutti i paesi europei hanno molti più immigrati dell’Italia, e quelli che lavorano sono perfettamente inseriti nella società, avendo diritti e doveri e venendo considerati una importante risorsa per l’economia. Nessuno si sogna di farli lavorare a nero come nelle fabbrichette del Veneto per poi negargli anche un luogo di preghiera.
La Francia storicamente era il bracciato armato della Chiesa eppure in Francia la Chiesa deve chiedere l’autorizzazione alla Prefettura per dare messa e i Vescovi non si sognano neanche di dare consigli a Sarkozy. Sempre in Francia le croci nelle scuole non ci sono, ma neanche il burka o i veli, o altri simboli religiosi, ma molti quartieri hanno chiese, moschee, sinagoghe ed altri luoghi di culto e tutti convivono senza grandi problemi.
La crisi economica ce l’hanno tutti i paesi occidentali ma noi siamo gli ultimi per la ricerca scientifica.
Infine la classe politica.
La modernizzazione dovrebbe procedere di pari passo ad uno svecchiamento della politica. Occorrono più giovani. In primo luogo perché i giovani sono tra le prime vittime dell’immobilismo e dell’invecchiamento dell’Italia e della sua politica. In secondo luogo sono cambiati i registri linguistici, l’attuale classe politica credo abbia finanche difficoltà a farsi capire, parlando un politichese che risale a 40 anni fa. Troppi. Peraltro bisogna dare spazio ai giovani nei vari ambiti dell’economia, del lavoro, dell’arte e della cultura.
Questo è un paese che non produce più niente e malgrado esistano talentuosissimi scrittori, pittori, intellettuali che ancora non hanno 30anni nessuno li conosce, perché la “casta” impedisce a loro l’accesso. Ecco perché personalmente sarei per la difesa dei sindacati anche di categoria, ma per abolire gli ordini professionali. Vere e proprie cosche mafiose a cui bisogna prostrarsi per avere i propri diritti e riconoscimenti.
Io credo nel merito, non credo nelle carriere automatiche, ma nel valore, nella competizione e non nei monopoli, nella genialità e professionalità e non nei comitati d’affari o di cartello, credo vadano combattute in ogni ambito le lobby, specie nell’ambito della cultura, arte e spettacolo.
Forse è questa la rivoluzione più urgente in Italia.
C’è nella periferia del PD, specie nel sud, tutta una classe politica che ha infradiciato con le sue pratiche clientelari e di potere questo paese, rendendo vano ogni ricordo ed appello a Berlinguer in merito alla sua valorosa “Questione morale”. Queste lobby della politica hanno allontanato i cittadini dalla partecipazione politica, creando sfiducia. Queste lobby politiche che praticano mal governo, sottogoverno e clientele, vanno espulse senza neanche perderci un minuto.
Per essere chiaro penso ai vari Bassolino, Loriero e chissà quanti altri e a tutte le loro schiere di galoppini e portaborse.
Questi sono signori che, per il solo fatto di essere riusciti ad arrivare al potere, hanno sistemato solo mogli, amanti, fratelli, cugini, in un modo indegno. Dimenticando la loro terra, dimenticando la loro gente. Queste persone vanno estromesse senza più alcuno indugio. Nessuno invoca il “centralismo democratico” ma democrazia interna non deve essere l’alibi per permettere a corpi estranei alla cultura di premessa del PD, di utilizzare il partito al proprio esclusivo vantaggio personale. Se il PD vuole avere un senso deve passare ad una pulizia profonda e definitiva nel Paese. Dalle città, alle periferie fino ai più piccoli paesini.
Il Pd prendendo ad esempio la Lega deve tornare tra le strade, ascoltare i cittadini, porsi al servizio di questi costruendo con loro un’ideologia della solidarietà e della partecipazione. In Italia, come i fatti dimostrano, non servivano e non servono fantomatiche forme di partecipazione, come le inesistenti e demagogiche ronde, ma una partecipazione democratica che rendesse le città di nuovo dei cittadini e non territori da devastare con ogni pratica di sottogoverno, di speculazione e di corruzione.
Occorre ridare voce e responsabilizzare i cittadini creando, magari con nuovi nomi, nuove forme di democrazia, quelle che una volta erano le sezioni politiche, luoghi non solo utili per raccogliere le richieste, le istanze della gente, ma per informarle e finanche formarle ed educarle alla partecipazione sociale e alla costruzione di un progetto. Anche la rete deve fare il suo offendo alla politica di destra e di sinistra le sue piazze virtuali. Noi siamo disponibili ed aperti al confronto ma a patto di essere ascoltati a nostra volta. Abbiamo una volta interloquito utilmente con “Fare Futuro” la fondazione di Fini, ma ad esempio pur essendoci proposti al confronto non siamo mai riusciti malgrado credo i nostri lodevoli sforzi a parlare con il PD.
Pure essendo un sito non schierato partiticamente, ma un laboratorio d’idee, un osservatorio della realtà italiana in Italia e all’estero, avremmo gradito sinergie di questo tipo con la politica, per creare una rete vasta, un sistema virtuoso che favorisse quello che noi continuiamo a chiamare la riforma delle riforme, ovvero la riforma della politica.
Nicola Guarino
(nelle illustrazioni disegni di Altan e Staino, foto di Bersani, Veltroni, Debora Serracchiani, Emma Bonino, Vendola, Ennio Flaiano).
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