La grande popolarità di cui gode Andrea Camilleri è legata alle indagini di Montalbano. In realtà, lo scrittore di Porto Empedocle non è solo un giallista, e Maruzza Musumeci non è un poliziesco anche se la storia, come quelle del celebre commissario, è ambientata a Vigàta. Non si tratta però della Vigàta dei nostri giorni, ma di quella di fine Ottocento, dove Gnazio Manisco fa ritorno “doppo venticinco anni passati nella Merica” (p.9).
Gnazio è un contadino, attaccato alla terra, al suo sapore di “natura fimminina”, ed è terrorizzato dal mare, la cui sola vista gli provoca un senso di panico. Eppure, tornato in Sicilia, decide d’installarsi in contrada Ninfa, un lembo di terra circondato dalle acque il cui ultimo proprietario è impazzito a causa di una misteriosa visione. Venuto il momento di accasarsi, Gnazio si sposa con Maruzza Musumeci, una ragazza bellissima che viene da una famiglia di pescatori, che ha bisogno di guardare il mare quando si sveglia e ha anche una strana fissazione: ogni tanto, si sente diventare sirena. I due sposi non potrebbero essere più diversi, ma è proprio per questo che vivranno “d’amori e d’accordo”, anche se le sirene non sono creature facili e amabili: sono crudeli, vendicative, e con la loro voce suadente portano alla rovina chi ha fatto loro un torto. Per fortuna, nei momenti di difficoltà, Gnazio può andare a rifugiarsi sotto il suo albero preferito che, guarda caso, è un ulivo saraceno.
Passano gli anni, e come in ogni fiaba che si rispetti Gnazio e Maruzza, un umano e una creatura magica, hanno una discendenza fuori dal comune: il loro primogenito, Cola, passa le notti a guardare le stelle, mentre la secondogenita, Resina, è una figlia del mare, come sua madre. Ma anche i due fratelli, proprio perché appartenenti a due universi così lontani, sono uniti da un legame speciale. Il libro prosegue raccontando di altre nascite, morti, incontri con strani personaggi, come il pittore americano che fa le caricature e che si scoprirà essere amico di Walter Gropius. Ad un certo punto, la storia irrompe nella fiaba, e ne spezza l’incanto: per fortuna le sirene sono capaci non solo di vendetta, ma anche di amore, e la loro voce calda, oltre ad uccidere, può dare sollievo nei momenti più dolorosi.
La prima volta che si legge Maruzza Musumeci queste sottigliezze non si colgono: la storia sembra solo una bella favoletta, non certo per bambini, in cui è disseminata qualche citazione. Una seconda lettura aiuta a vedere quello che all’inizio è passato inosservato, ad apprezzare il gioco delle opposizioni: terra e mare, mare e cielo, amore e vendetta, concetti contrapposti e complementari, che possono ribaltare qualche nostra convinzione. Leggendo l’Odissea, non “parteggiavamo” forse per Ulisse? Non eravamo intrigati dalla sua furbizia? Ora, guardandolo con gli occhi delle sirene, non siamo più così sicuri di volerci schierare dalla sua parte.
Ma la cosa che colpisce di più di questo libro è la lingua. I lettori di Camilleri sono abituati a decifrare il siciliano dei gialli di Montalbano, ma lì si tratta di qualche parola o espressione che si ripete con frequenza e che, dopo un po’, diventa familiare. La lingua di Maruzza Musumeci è un’altra cosa, è più difficile, più dura. Il siciliano (autentico o no, la questione è dibattuta) non intacca solo il lessico, ma anche la fonetica, e anche a lettura inoltrata la sensazione di asprezza non scompare. Ma questa scelta linguistica non è certo un difetto, anzi, permette di evocare sensazioni, immagini, profumi, come quello di contrada Ninfa, che “la matina alle sett’arbe pariva aviri lo stisso odori di quanno uno metti la testa dintra a un pozzo e senti profumo d’acqua e di lippo, a mezzojorno, […] accomenzava a pigliari lo stisso sciauro del pani appena nisciuto dal forno, quanno principiava a fari scuro […] si profumava di gersomino e di zagara” (p. 26).
Forse è proprio la lingua, più che la trama, la principale innovazione di questa fiaba; per il resto, il libro si legge d’un fiato ma, se si vuole trovare qualcosa di più che una storiella, è meglio non correre troppo.
Francesca Chiericato
p.s. (G.A. Samonà) Suggerimento supplementare. Prima o dopo il racconto di Camilleri – che questa bella recensione invoglia senz’altro a leggere – anche leggere, o rileggere, lo splendido Lighea, in cui Lampedusa narra dello struggente amore fra un uomo e una sirena…