Rappresenta da sempre un affresco contro l’ingiustizia e lo sfruttamento quel mondo contadino raccontato da Francesco Jovine. Il suo romanzo “Le terre del Sacramento”, pubblicato postumo nel 1950, anno della sua scomparsa (editato di recente da Donzelli), rimarrà un emblema di volontà di riscatto, malgrado quei contadini, dirà il suo protagonista Luca Marano, “si lasciavano intossicare l’anima senza speranza”. E rimarca un sottofondo di pessimismo, specie quando sottolinea che “domani avrebbero vissuto sfruttando, derubando subdolamente i contadini dei loro villaggi che erano legati alla loro stessa sorte dalla stessa ingiustizia”.
Jovine (nato vicino a Campobasso – Molise – nel 1902) affonda la sua critica nelle promesse non mantenute, in una perpetuata sconfitta di classe, di ultimi relegati ad un ruolo sempre e comunque subalterno. C’è verismo di fondo nelle pagine di Jovine, seguendo una tradizione che parte dalla metà dell’800. Una letteratura sul Mezzogiorno che arriva alla metà del secolo scorso e che conduce a nomi elevati: da Giovanni Verga al lucano Rocco Scotellaro fino a Carlo Bernari, al marsicano Ignazio Silone e Federico De Roberto.
Con “Le terre del Sacramento”, vincitore allora del Premio Viareggio, si entra nelle vicende del primo dopoguerra, in un antico feudo ecclesiastico che va in rovina a causa dell’incapacità e degli sperperi del proprietario (l’impenitente Enrico Cannavale). La moglie Laura prende in mano l’amministrazione e si giova dello studente socialista Luca Marano per convincere i contadini che, lavorando le sue terre, potranno un giorno goderne. Luca, studente a Napoli, è descritto come un “ventenne aitante e di fresco incarnato”. Ma le promesse vengono disilluse e la rivolta dei contadini, alla testa dei quali è Luca, viene soffocata nel sangue da carabinieri e camicie nere.
Un romanzo che è una sceneggiatura, un’epica contadina mediante una rilettura in chiave realista, che contribuì a consacrare Jovine nella critica non solo di sguardo meridionalista. Una rivalutazione che riconosce qualità altre rispetto alle mode letterarie. Jovine, nel suo percorso culturale e letterario, sviluppa con una certa gradualità una coerente presa di coscienza sia etica che politica, fondamento essenziale nella vocazione e nella cultura del Sud, che scruta sociologicamente nei possibili cambiamenti. Attese, del resto, che rimarranno molto spesso inevase, come la stessa “Questione meridionale” da Jovine congruamente analizzata.
Armando Lostaglio