Si scrive democrazia ma si legge partitocrazia e caste. E’ vero che la peggiore delle democrazie a migliore delle migliore delle dittature, ma siamo certi che in Italia non ci sia una dittatura? Un ginepraio di scandali e corruzioni senza fine che soffoca il futuro del paese.
L’aforisma di Winston Churchill sulla democrazia quale peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate fino a quel momento, trova un qualche fondamento nell’attuale momento politico che sta attraversando il Belpaese, anche se l’aforisma di Bukowski sulla differenza tra democrazia e dittatura mi pare più adeguato, sostanziandosi la democrazia, a parere dello scrittore statunitense, nella ricerca del voto prima e nel dare ordini poi, mentre la dittatura non spreca tempo nell’andare a votare, affidandosi direttamente all’impartire ordini.
Abbiamo evitato il baratro, ha dichiarato di recente ed in più sedi Mario Monti, nominato senza la perdita di tempo del voto, data la delicatezza e l’urgenza del momento. Ma è proprio vero che è stato evitato il baratro? E a quale prezzo?
Non nascondo il disagio provato sere fa dopo la ricognizione di Milena Gabanelli a Report sul ginepraio degli incarichi che il sottobosco politico ha distribuito nel tempo e che ancora distribuisce a piene mani a tantissimi « Pico della Mirandola », buoni per ogni stagione ed esperti in ogni settore dello scibile umano, dai trasporti all’ambiente, all’economia aziendale, alla cultura e così all’infinito, incassando prebende milionarie (in euro chiaramente) per una professionalità certificata, non si sa da chi, e vitalizi altrettanto milionari nel momento del disimpegno quando in cambio lasciano voragini debitorie più profonde di quando si sono insediati.
Se i risultati del loro operato sono quelli che sono certificati, questi signori danno più l’impressione di ciarlatani collocati in posti chiave per intascare prebende che tecnici capaci realmente di porre rimedio ai guasti perpetrati dal malgoverno dei partiti che si sono susseguiti alla guida del Paese. Ma chi li ha collocati in quei posti? Gli stessi che hanno procurato il danno, quei rappresentanti dei vari partiti, la cui crisi è datata all’inizio degli anni Ottanta e che all’epoca si tentò di camuffare con la crisi delle ideologie.
Dall’alto del suo magistero Norberto Bobbio specificò che le ideologie si suddividono in rigide ed elastiche, attribuendo alle prime quelle legate ai regimi totalitari, la prerogativa di andare in crisi perché non supportate dai sani principi dell’autentica democrazia. La verità è che ad andare in crisi all’epoca era il partito politico perché privo oramai del collante che lo legava alla società civile, ridotto oramai a semplice e puro strumento di potere.
Da allora ad oggi sono trascorsi trent’anni e più, ma poco o nulla è cambiato. La vicenda ultima di Finmeccanica è il segno dei tempi, ed è significativa in riferimento alla voragine del debito pubblico ed alla reale volontà di risanarlo. Ma a dire del presidente Monti il 2013 sarà l’anno che ci consentirà di uscire dalla crisi. Lo scenario dello sperpero delineato dalla Gabanelli è impressionante. Dal centro alla periferia il sistema cambia poco. Lazio, Lombardia, Campania, lo scenario non lascia sperare in niente di buono.
La politica è ridotta a mestiere, dove è possibile assicurarsi oltre all’appannaggio mensile, altri proventi per rimpinguare il patrimonio personale. Sarebbe interessante sapere con quale danaro Fiorito pagherà la parcella all’avvocato Taormina, con quelli suoi o con quelli sottratti agli italiani? Non riusciremo mai a saperlo, come abbiamo bene inteso quali sono le nuove regole che informano la politica, quelle del mutuo soccorso e dell’assistenza reciproca. La ricognizione del sottobosco politico campano che Furio Lo Forte fa sulle pagine de La Voce, lascia poche speranze per Napoli e la Campania di recuperare le scelleratezze dei danni procurati da decenni di malgoverno. Ma come uscire dalla crisi quando il debito pubblico, dopo la politica dei tagli a danno delle classi meno abbienti e delle imprese le sole che pur tra mille difficoltà producono ricchezza, rimane invariato?
Forse sarà possibile perché il grande giorno sta per avvicinarsi, quando tutti (quelli che il danno l’hanno procurato) nessuno escluso, siederanno intorno al tavolo per decidere le modalità della vendita dei beni di famiglia, argenteria compresa, per ripianare la voragine del debito da loro stessi procurata, attraverso i “commessi di Stato”, promanazione indegna del loro potere illimitato. Ecco i procuratori della voragine, lo scandalo al quale il presidente Monti non ha saputo porre rimedio con una adeguata strategia integrata di contrasto.
E’ questa una democrazia? E’ la democrazia di Churchill o di Bukowski?
E’ una democrazia impropria, di facciata, o meglio un’oligarchia, dove gli eletti non vogliono, perché non sono in grado, di rappresentare le esigenze e le priorità del popolo sovrano.
Sì! Una democrazia impropria, come quelle che vedono ammazzare i propri presidenti o i propri giornalisti e non sono in grado di trovare i colpevoli.
La tristezza e l’assuefazione degli italiani, entrati oramai nell’ottica che la peggiore democrazia è preferibile alla migliore delle dittature, come afferma Ruy Borbosa ne « Le lettere dall’Inghilterra », riaffermando cosi l’assunto andreottiano che di fatto il potere logora chi non ce l’ha, ma è anche utile per dare una risposta alla domanda che Nello Ajello si pone sulle pagine de “La Repubblica” in Italia Decadence, sul perché, e quando, la democrazia si è trasformata, nel nostro paese, in una partitocrazia decadente inefficiente e corrotta.
Raffaele Bussi