Il PD ha forse la sua ultima occasione per costruire una opposizione credibile all’attuale governo. Con questo articolo apriamo una riflessione sul ruolo dell’opposizione e sulla riforma della politica. Ad Ottobre bisognerà uscire dagli equivoci ed almeno indicare una strada per rilanciare la credibilità della politica in Italia. Il PD, non potrà guardare solo al presente dovrà indicare un pensiero nuovo per il futuro. Costruire una via nuova della politica, una nuova ideologia che motivi e coinvolga i cittadini e i giovani in particolare, grandi esclusi della società di oggi. Mentre tutto sembra scontato, il PD ha la chance per scatenare una vera rivoluzione.
Tra un mese si svolgerà, in Italia, il congresso del PD (Partito Democratico). L’11 Ottobre il congresso discuterà le proposte dei candidati alla guida, il 25 Ottobre vi saranno le primarie a cui potranno votare iscritti e simpatizzanti.
E’ un congresso importante, perché probabilmente in quei giorni, la storia poi lo confermerà o meno, potrebbe iniziare una svolta per tutta quell’area alternativa e progressista che un tempo veniva connotata in Europa col nome di socialisti, socialdemocratici, laburisti.
Premetto che, a mio avviso, sarebbe un errore
forse fatale, se il congresso concentrasse la sua agenda sull’emergenze, sul contingente, se volesse concentrare la sua attenzione, su risposte immediate ai problemi del presente. Capisco che la tentazione di replicare all’attuale strapotere di Berlusconi & c. sia forte, ma questo rigurda la politica dell’ordinaria amministrazione.
Il vero problema da risolvere per questo congresso, dovrebbe essere la formazione, dopo anni di riflessioni e studi, di un nuovo pensiero politico, che svegli non solo l’Italia, ma, almeno, la vecchia e sonnolente Europa. Che dia un progetto nuovo, coinvolgente e credibile per la società del domani, che dia linee chiare alle domande sul futuro dell’umanità.
Un partito incapace di avere una visione del mondo e della politica che sia chiara, coerente e condivisibile, credo non abbia futuro.
Quindi bisogna dare risposte definitive, sull’idea di sviluppo, sui temi dell’ambiente e del rapporto degli uomini con esso, sulla laicità e il rapporto tra fede e politica, sull’immigrazione e i nuovi equilibri mondiali, sui temi etici.
Si tratta solo di significativi esempi.
In secondo luogo bisognerà rinnovare i suoi rappresentanti politici, dare spazio ai fautori di quel pensiero nuovo, ai soggetti più presenti sul territorio ed abituati a confrontarsi con la società reale, pur essendo portatori di una visione della società futura.
Bisogna dare risposte chiare sui metodi politici, costruire delle regole interne al partito che siano poi valide anche a formare un’etica comportamentale ad ogni livello della società. Personalmente ritengo che il metodo, il modo, di fare politica sia il 50% della politica stessa.
In politica, per me, non vale il principio macchiavellico che il fine giustifica i mezzi. Credo che sia non solo importante « fare le cose » ma anche come queste cose vengono fatte.
Infine andrebbe costruita un’organizzazione del partito, che sia capace di dialogare attraverso le nuove tecnologie, con la « rete », dove esistono molti soggetti, un popolo che chiede il rinnovamento; sia presente sul territorio, garantendo così, come nella natura della democrazia, una partecipazione la più larga possibile, utile anche a vigilare sulla politica; le sue finalità, i suoi metodi, appunto.
Una organizzazione che consenta la partecipazione politica alla società di quanti più cittadini e associazioni si sentano di aderire a quella ideologia, a quel progetto che da Roma ad Ottobre dovrà o dovrebbe uscire. Creando così una nuova ed effettiva condivisione dell’azione politica.
Si tratta di una rivoluzione, mi si lasci passare, questo piccolo impeto retorico, che potrebbe finalmente traghettare l’Italia, dalla spesso oscura seconda repubblica, alla sua terza.
Naturalmente analoga operazione dovrebbe avvenire a destra, perché la politica va rinnovata tutta. Su questo tema avremo poi modi di ritornare.
Insomma, dare risposte alla crisi della democrazia. Un tema che abbiamo già trattato e per il quale vi richiamo al mensile con cui debuttò questo nostro sito (in archivio – colonna a sinistra, pag. 20: E’ in crisi la democrazia?).
Veniamo al merito del congresso.
Infelicemente in Europa, i democratici italiani hanno sempre subito l’accusa, a volte espressa finanche con sarcasmo, di essere una forza soffocata dalle proprie radici storiche (l’incontro tra la sinistra democristiana e l’area “berlingueriana” del vecchio PCI) e quindi incapace di scegliere la sua collocazione anche fisica nel Parlamento europeo. Insomma di essere privi di un’autonoma identità. Va considerato che il PD è un partito, desiderato e sognato da molto e da molti, ma che bruciando le tappe si è formalizzato solo da pochissimi anni. Come sempre avviene, anche per i bambini, occorre, perché si formi la sua identità e il suo carattere, del tempo. Occorre fargli fare dell’esperienze, a volte anche negative. “L’identità” del resto non è una cosa che si compra al mercato, e a differenza della destra, il PD conta, sia pure con difficoltà e contraddizioni di mettere radici tra i cittadini, mantenendo, sia pure in modi nuovi e diversi il carattere “militante” tipico dei tradizionali partiti di massa. Tenendo così fede al suo nome. Il dilemma se in Europa occorre essere seduti tra i socialisti, oppure con le forze cattoliche (es. i cristianodemocratici); a me sembra rilevante ma falso, errato nel presupposto. A chi mi poneva questo “amletico” dubbio, facevo puntualmente notare che in realtà il PD avrebbe dovuto evitare tale contraddizione, riconoscendo definitivamente il fallimento della via socialista, fallimento principalmente dovuto all’inattualità del progetto socialista, derivante dalle trasformazioni economiche e sociali culminate
con il “fatidico” 1989. E che con l’avvento della globalizzazione, il mondo non era più regolato dalla politica dei blocchi, ma semmai da gruppi multinazionali che hanno dato vita a modelli di società sempre più consumistici fino a spingere a considerare il “consumo in se”, come un “valore”, un elemento (falsamente n.d.r.) distintivo.
Così come le vicende interne all’Italia (tangentopoli, rivoluzione dei magistrati, fine della prima repubblica, ecc.) avevano contribuito alla fine della DC (Democrazia Cristiana e all’avvento di nuovi soggetti politici), tutto ciò comportava la conclusione del cosiddetto “Multipartitismo esasperato”, su cui molto avevano scritto giuristi insigni come Leopoldo Elia, e l’affermarsi di una vocazione maggioritaria in Italia di cui fu alfiere, tra gli altri Mario Segni.
Significativamente tra i nuovi soggetti politici, il più rilevante fu Forza Italia, non ha caso venne generato da uno tra i più potenti imprenditori d’Italia e del mondo.
Ecco, perché a mio avviso il “dubbio amletico” sull’identità del PD, che è pervenuto in questa veste attraverso delicati ed a volte esaltanti passaggi (I progressisti, l’Ulivo, L’Unione, le primarie, ecc.), andava sciolto non scegliendo tra le vecchie identità, ma riconoscendosene una nuova, che se, per un verso è figlia delle radici storiche degli uomini che la compongono, per un altro e più sostanziale verso, deve essere figlia del suo tempo.
Ecco perché ritengo ingiustificato il disagio provato da alcuni esponenti del PD specie all’europee alla domanda: “Dove vi collocherete nel parlamento europeo?” Non certo con socialisti come quelli francesi, ormai ridotti al 17% , che hanno perso la chance di un rinnovamento, offerto dalla visione, comunque non priva di anacronismi, più moderna, della politica di Segolene Royale, che non ha caso aveva seguito con molta attenzione l’esperienza di Walter Veltroni alla guida del PD (quasi prendendo appunti). O con i socialdemocratici tedeschi? anch’essi in evidente fatica e crisi d’identità, oppure i laburisti inglesi di Gordon Brown, che sta portando al disastro il Labour Party. Tanto meno era possibile fare una marmellata politica (per accontentare l’ex Margherita ovvero gli ex democristiani) confondendosi con i cristiano democratici europei, dove , peraltro, siede, sia pure idealmente (avendo rinunciato al seggio) e sono convinto che l’intero gruppo abbia ringraziato il buon dio che questa presenza sia solo ideale, Silvio Berlusconi. Credo che il PD, può sembrare paradossale, ma con tutti i suoi limiti identitari (assolutamente da risolvere in sede congressuale), sia in effetti, più avanti degli attuali partiti della sinistra moderata europea. Va definitivamente ammesso, senza imbarazzi, che il PD non è una forza socialista e che quindi non può sedere con i socialisti.
Infatti, pur riconoscendo uno specifico europeo, il vero problema e che saltati i modelli politici ottocenteschi e novecenteschi, che erano di mediazione ed interpretazione della società, si pone un problema a sinistra come a destra di riformare la politica (solo allora si potrebbe parlare, a mio avviso, di terza repubblica) e d’interpretare l’attuale complessa realtà, uscendo dai canoni di rappresentazione elaborati fino a qualche decennio fa. Ho detto a destra come a sinistra, perché anche la destra non deve illudersi in ragione dell’attuale presente che gli sorride. Il mirabolante Berlusconi cela, dietro la sua minuta figura, la sua indubbia grandissima forza organizzativa e comunicativa. Pertanto, una destra che non ha e non mette nessuna radice, se all’improvviso mancasse il grande capo (facciamo noi gli scongiuri per lui n.d.r.), non avrebbe più nessuna capacità di raccogliere consensi pur avendo una rete comunicativa gigantesca, ma ispirata dal solista Berlusconi il quale però, da “piccolo dittatore”, non ha costruito una leadership credibile intorno a se, fatta eccezione per lo “zittito” Fini che, certamente, anche in assenza del capo azienda non avrebbe vita facile. Il PD, viceversa, anche per tradizione politica, ha meno tentazione verso il leader unico ed una spinta partecipativa, che seppure ancora da organizzare è in parte costruire, basti vedere il network del PD, che mantiene tutte le sue potenzialità, senza riuscire ad essere veramente “rete” dell’opposizione.
La perdita dei vecchi partiti
che hanno caratterizzato la politica italiana fino alla fine della prima repubblica, mette a nudo pezzi di società che hanno dovuto rimodulare la propria presenza alla luce delle intervenute novità storiche. A d esempio è certo che l’assenza della DC abbia spinto la Chiesa ad un intervento sempre più diretto nella vita politica e nelle scelte sociali del paese. Lo dimostrano l’estenuante presenza di interventi di alti prelati in materia di bioetica, immigrazione e finanche lavoro. La stessa fine della DC ha determinato un problema di rappresentanza dei poteri forti e della grande imprenditoria colmato in parte dalla diretta discesa in campo di un imprenditore (Berlusconi con la sua Forza Italia).
A sinistra la fine dell’industrializzazione, l’avvento di una economia di servizio più che di produzione ha determinato una crisi di rappresentanza degli storici partiti di sinistra e la necessità di costruire, potremmo dire con una desueta espressione politichese, “nuovi soggetti politici”.
Sono arciconvinto che il PD in dieci anni diventerà il modello di riferimento dei progressisti di tutta Europa. Peraltro, sostengo, ma la mia voce mi sembra allo stato solitaria, che in prospettiva europea il PD dovrebbe darsi una forma transnazionale (peraltro molto potrebbero i suoi potenziali simpatizzanti in Germania, Francia, Inghilterra, ecc.). Questo perché la crisi del socialismo mi sembra, aldilà di episodici e simbolici segni di ripresa, irreversibile. Le giovani generazioni sembrano pronte in Italia come in Francia, a scendere in piazza se bisogna difendere l’Università, gli studi, il proprio futuro, se bisogno lottare contro la precarietà nel lavoro, ma sono molto meno interessati alle vecchie ideologie ottocentesche, ormai superate dalla storia. Sono molto più concreti, attenti alla sfera del privato, molto più vicini a forme e modalità di una democrazia moderna. La lotta di classe è un argomento fuori dalla mente e dai cuori dei giovani. In una realtà così complessa come quella d’oggi, dove esiste una precarietà culturale che non corrisponde sempre ad una precarietà economica, dove antichi clichè che ancora resistono in parte in Europa, sono crollati, già da tempo, in Italia, la pretesa di battersi per il potere agli operai, appare francamente, proco credibile. Da noi, non è raro trovare, specie nel sud, avvocati trentacinquenni che il sabato lavorano come camerieri al ristorante, o parcheggiatori abusivi che guadagnano mensilmente più di un giudice della Corte di Cassazione (del resto nell’attualità, una certa letteratura e cinematografia italiana, assolvendo al suo tradizionale ruolo di essere specchio della società e dei tempi, ben raccontano esempi di questa realtà).
Il tema del rinnovamento della classe politica diviene quindi essenziale.
In primo luogo va ricordato che molto del ritardo accumulato dal PD è figlio della incapacità politica, dei suoi “storici” esponenti, di fare una severa autocritica e di riuscire (compito principe del politico, sia professionista che dilettante) a cogliere ed interpretare la realtà ed il bisogno di rinnovamento che attraversa tutti gli italiani, che orfani delle vecchie ideologie, sono alla ricerca di nuove ideologie che gli permettano di dare un senso, un progetto, alla propria partecipazione politica alla società e alla vita del Paese.
E’ proprio l’ideologia che deve dare identità e carattere ad un pensiero politico. E’ l’ideologia che rende riconoscibile un partito e i suoi aderenti.
Tuttavia, un’ideologia(come la personalità di una persona) ha bisogno di “SI” e di “NO” i “NI” non sono contemplati.
Questo congresso quindi deve avere la forza e il coraggio di scegliere, senza più dubbi, andando alla conta, se necessario. Prevedendo e accettando la possibilità che gli scontenti vadano via.
Non c’è altro modo.
I si e i no sono i segni distintivi di un carattere. Si e No significa escludere una possibilità per accettarne un’altra. E, aggiungo subito che ha fatto bene il PD, nella sua ancora breve vita, a darsi forma di partito e non di movimento, ma la forma di partito, pur nel rispetto delle individualità e della “sacralità” del dibattito, deve poi tradursi, se si vuole continuare l’esperienza comune, in scelte condivise, verso le quali chi non è d’accordo, coerentemente può uscire dal partito, oppure, pur con le dovute riserve, deve rispettarle. Ha ragione Veltroni, che aborrendo il vecchio centralismo democratico di comunista memoria, ricorda che in un partito serio, non è possibile che ognuno parli per se e dio per tutti (peraltro il PD non ha unti del Signore, come altri partiti n.d.r.). Personalmente credo che il PD abbia tutte le potenzialità per essere un partito moderno, progressista, capace di battersi per il merito e per un’effettiva eguaglianza tra i cittadini, di essere portatore di valori come la generosità, la libertà, l’onestà e anche perché no di ridare felicità e movimento ad una società italiana sempre più impaurita, bloccata, triste se non indifferente. Anche perché il PD è un partito che, con termine termine tecnico televisivo, potremmo definire “generalista”, non tematico come la Lega Nord in Italia o i Verdi per l’Europa di Cohn-Bendit in
Francia. A questo proposito, occorre dire che il limite degli ecologisti (tutti) è nel loro stesso tema. Fare un partito dell’ecologia è come fare un partito dell’economia. Due cose essenziali ma che non possono prescindere da una visione più ampia, complessa e generale della società. Per altri versi questo problema è comune alla La Lega Nord che si connota come partito territoriale, chiuso nel nord, finendo, quasi fisiologicamente per essere un partito protezionista e quindi della paura, dove la gente è spinta, anche dall’attuale cultura di governo, ad una visione minimalista della società, dove si è sempre più chiusi nei propri egoistici ed asfittici interessi di bottega, o meglio di paese. Se questo è vero si comprende come “il pensiero leghista” sia del tutto fuori da una concezione della cultura come conoscenza, scambio, confronto, finanche contaminazione. Tutti elementi esiziali in tempi di mondializzazione e per i quali l’attuale governo, invece di costruire una cultura del confronto e della cooperazione, ad esempio con gli stessi immigrati che sono, indiscutibilmente, un problema ma anche una indubbia risorsa, specie per le imprese, suscita, verso loro, paure e timori del tutto infondati e miranti a costruire un “mostro” che catalizzerà l’attenzione e la tensione dei cittadini. Un comodo totem, un utile diversivo, un alibi per un governo dalla maggioranza schiacciante che non sembra capace di produrre alcuna utile riforma, ma solo leggi che come spesso avviene sono funzionali al padrone dell’azienda Italia e a pochi altri privilegiati.
La battaglia congressuale è importante, perché se ci sarà coraggio, sarà il momento della verità, quando le due anime del PD dovranno incontrarsi (scontrarsi) forse per qualcuno sarà l’ora dell’addio al progetto.
A pelle, le tre candidature alla guida del partito, Bersani, Franceschini e Marino, appaiono coerente espressione dei diversi orientamenti del partito. La prima sembra più in linea con la tradizione politica. Non ha caso appare gradita a persone come D’Alema, già leader nel PCI, Follini, già DC e UDC. Franceschini, molto vicino a Veltroni appare una figura di mediazione (è stato il traghettatore del partito, dopo le dimissioni dell’ex sindaco di Roma), non a caso l’ala giovane la Serrachiani lo sostiene, ma sembra (salvo giri di valzer ulteriori) che anche, il discusso, altro ex sindaco di Roma, Rutelli gli sia favorevole (ma i balletti nella politica italiana sono di norma n.d.r.). Infine Ignazio Marino, l’outsider, il politico che spinge di più sul terreno della laicità del PD e che sembra il meno disponibile a cercare vie di mediazione tra le diverse anime del partito.
Chiunque sarà il vincitore è importante che emerga una linea programmatica ed ideale, chiara, precisa e coerente specie sul terreno dei valori, che devono essere condivisi.
Se si guarda al recente panorama politico, si possono fare delle considerazioni (augurandomi che il dibattito si allarghi anche ad altri soggetti) che spero saranno utili, se non al PD, almeno ai nostri lettori.
Mi soffermerò, solo su alcuni punti, che tuttavia per la loro qualità mi sembrano importanti e rappresentativi dello stato delle cose e dei metodi da utilizzare. Sono sempre stato convinto che la vera discriminante in politica, prima ancora delle cose da fare sia il come farle, con quali valori di riferimento.
E’ innegabile che la crisi della sinistra italiana e la sua successiva frammentazione (oggi simile alla frantumazione della sinistra francese che, finalmente, sembra oggi rendersene conto) ha portato ad una crisi di rappresentanza politica di alcuni milioni di cittadini che falliti i diversi tentativi di riportare un qualche partito d’ispirazione comunista o
socialista in Parlamento, si trovano di fatto a non essere rappresentati. Lo stesso mondo ecologista dopo il “flop” dei verdi in Italia, finanche alle europee, dove viceversa in molti paesi hanno ottenuto risultati lusinghieri, crea un problema di rappresentanza, rilevante. Non si può nascondere l’esistenza di diversi movimenti ecologisti in Italia e la stessa ricchezza paesaggistica, artistica e storica impone un’attenzione nazionale ma anche internazionale importante sui temi dell’ambiente. L’ambiente (non è una frase fatta) è cruciale nella stessa gestione della mondializzazione, su cui molto si decide del futuro della stessa umanità. Sui temi civili, il Partito Radicale, obbiettivamente non riesce più ad avere il peso politico e mediatico che seppe conquistarsi più di trenta anni fa. Le sue battaglie hanno dato diritti importanti, specie alle donne (divorzio, aborto), ma anche sul terreno dei diritti alla salute, sui diritti dei “diversi” e un contributo importante sul piano culturale in quello che fu la formazione del diritto di famiglia cosi come ancora oggi è regolamentato. Infine, tra i tanti temi, ne segnalo un ultimo, ma non per importanza, che fu caro ad Enrico Berlinguer, il tema della “questione morale”; tema che va interpretato, che cova come un fuoco sotto la cenere dell’attuale indifferenza italiana, suscitata dalla crisi della politica e dalla terribile cultura di governo che è espresso dal “berlusconismo” e dalla xenofobia della Lega Nord. A vedere tanti sintomi, quali la crisi di partecipazione all’attività politica, finanche solo al voto (basti pensare all’esito referendario e finanche alla scarsezza di partecipazione, per gli standard a cui eravamo abituati, delle ultime elezioni europee) si dovrebbe pensare che l’indifferenza regna incontrastata. Tuttavia, i recenti episodi di malcostume del governo e del suo leader in testa, hanno avuto dei contraccolpi interessanti, finanche l’editoria. In un paese a scarsa densità di lettori, negli ultimi anni hanno trionfato libri come: “Gomorra”, “La casta” oppure “Mediocri” che sono (specie gli ultimi due) veri e propri viaggi nel malcostume politico e non solo, documenti che nella loro popolarità hanno evidenziato la consistenza drammatica di una questione morale italiana che nemmeno la caduta della prima repubblica ha saputo risolvere. Questo terreno è stato fertile per i “giustizialisti” dell’Italia dei Valori, che hanno dimostrato, in tempi non facili, una loro coerenza, facendo della moralizzazione uno dei principali “cavalli di battaglia”. Il PD poco ha potuto, non avendo sempre le carte in regola su questo tema, specie nelle amministrazioni locali, specie nel sud, dove alcuni amministratori in Abruzzo come in Campania, per citare solo alcuni esempi, sono oggi additati come infelici casi di malcostume politico se non anche di corruzione. Anche qui è evidente, il PD deve fare chiarezza, oserei aggiungere pulizia.
Tuttavia, proprio richiamando Berlinguer, credo che l’opera meritoria dell’Italia dei Valori, presenta un limite che è poi quello che ha fatto gridare ad una sorta di populismo di sinistra come contro altare a quello di destra espresso da Berlusconi. L’impegno moralizzatore, del partito di Di Pietro, sembra rivolto, particolarmente alla politica, la mia sensazione, viceversa, è che Berlusconi non sia il male, piuttosto un “vistoso” sintomo, di una società malata ormai da tempo, il malcostume della politica è essenzialmente figlie di una cultura affaristica, di una idea dell’arrivismo (per citare solo due degli attuali prevalenti disvalori di riferimento). Il vero problema è suscitare una cultura della responsabilità, della competenza e dell’impegno per l’interesse comune e sociale, tutti valori oggi assenti nella disgregata società italiana. Una cultura che ancora oggi e ancor più, premia gli interessi particolari ed egoistici, i privilegi e l’astuzia finalizzata a scopi di parte se non solo individuali. In questo clima e con questo humus anche scandali clamorosi, che investono personaggi pubblici come il nostro premier, hanno qui, più che altrove, scarsa incidenza. In un paese sano e democratico, un premier che viene considerato come uno che va con le minorenni o che si accompagna con prostitute inviategli da compiacenti imprenditori, si sarebbe dimesso, a prescindere dalla veridicità dei fatti, per non coinvolgere lo Stato in questi fatti o insinuazioni. Ci sarebbe stato un sommovimento popolare con il tentativo di cacciare dal “palazzo” il leader.
In Italia no! Questo non avviene. E questo è sintomatico dell’attuale livello etico del nostro Paese.
Va aggiunto che in un paese sano si lavora e si studia con senso di responsabilità, consapevoli che sia un giovamento per la collettività ed ovviamente per ogni individuo che la compone, se l’amministrazione pubblica, i servizi, le università, le professioni, le aziende lavorano e funzionano seriamente. Sono tanti e tali gli esempi di mala sanità, mala amministrazione, di sprechi, di assenteismo, d’impreparazione, ed altro, che non basterebbero voluminosi libri per elencarli tutti.
Così l’Italia sta diventando, malgrado le sue potenzialità, un paese chiuso, depresso, immobile, incapace di proporre rinnovamento sia in economia che in qualsivoglia altro campo.
Chiuso, come detto, nei suoi interessi particolari, avvinghiato meschinamente anche ai più piccoli privilegi, dove ai giovani non sono concessi, non solo ideali, ma neanche speranze, dove le possibilità si restringono sempre più. Decisamente, parafrasando il film dei fratelli Cohen, potremmo dire che “questo è un paese per vecchi”.
Italiani chiusi, tristi e rancorosi.
Dove i valori della Chiesa, divengono l’estremo riferimento, l’ultima difesa di una società in crisi di valori.
Anche per questo ritengo che un reale rinnovamento, “lo scatto di reni” dei democratici e della politica, non possa prescindere dal dare soluzioni all’eterno tema della laicità; con il fiero rilancio della laicità dello Stato e delle sue Istituzioni.
La fine della democrazia cristiana
assolutamente non sostituita se non in parte e solo nei metodi, ma certamente non nei valori, dal PDL, ha posto con forza il problema dell’intervento diretto della Chiesa su diversi argomenti interni alla politica italiana. La Chiesa è obbiettivamente, oggi debolissima, tanto da non poter proporre nessun rinnovamento, si limita con il Papa tedesco ad una difesa ad oltranza del cattolicesimo, specie in rapporto all’avanzare di confessioni religiose che fino a qualche decina d’anni fa erano assolutamente assenti dal territorio nazionale. Peraltro Benedetto XVI a differenza dei suoi ultimi due predecessori non propone alcuna spinta positiva alla società, anche i suoi interventi in difesa dei deboli (vedasi gli immigrati n.d.r.) sono, aldilà del clamore mediatico, assolutamente flebili ed in linea con l’attuale cultura di governo che continua a tenere paralizzata, direi ipnotizzata, la società italiana.
Sinceramente ritengo perdente inseguire il Vaticano su questo terreno, quando menti illuminate, come Monsignor Martini o il Vescovo di Milano Tettamanzi, anche se non ufficialmente, hanno assunto posizioni e direi sentimenti tanto diversi da quelli vaticani. Ratzinger sta dividendo la Chiesa rendendola ancora più debole e, del resto, lo stesso Papa, in tempi non lontani si è rammaricato della solitudine di cui è di fatto circondato (ben altri coinvolgimenti e sentimenti suscitava il papa polacco).
Uno Stato laico forte non deve temere il confronto con la Chiesa e i suoi valori, ma aggiungo non deve temere il confronto con “le Chiese” (non solo quella cattolica).
Noi siamo espressione di una cultura occidentale, mi viene facile vivere in Francia come vivere in Germanio o in Spagna, per le molte affinità culturali. Affinità importanti e per me inderogabili. L’Europa è figlia di Dante Alighieri, di Caravaggio, ma anche di Cervantes e Molière, come di Shakespeare, di Goethe e Van Gogh, di Aristotele come di Cartesio. Io credo che un europeo non si trova a disagio con questi presupposti culturali, ma che anzi li senta quasi come parte del proprio patrimoni genetico. Gli esempi indicati ed altri ancora, sono i testimoni e gli interpreti di un excursus politico e culturale attraverso cui si è giunti, con secoli di lotta e sacrifici, ad un sentire sempre più comune tra gli europei, nella ragione come nei sentimenti. Così ho salutato con gioia, ad esempio, il provvedimento, avallato in Francia da Sarkozy, che ha vietato nelle scuole i simboli religiosi, tutti.
Per i francesi la laicità è un punto d’onore, una soglia invalicabile. Finanche l’esercizio nelle chiese delle messe è regolamentato dalle prefetture. Non esistono croci nelle aule, nessuno può, pena l’esclusione dalla scuola, presentarsi con distintivi o simboli religiosi è vietato velarsi in aula.
Il rispetto sacrosanto di esercizio del culto non deve contrastare con i “sacri” (per un laico) principi della Costituzione e delle sue norme. Ritengo che l’Italia debba garantire a tutti il libero esercizio del culto, ma nessuno può esercitare la religione con manifestazioni che siano contrarie alle leggi e alle consuetudini del nostro Paese. Ad esempio, anni di lotta femminista e per i diritti delle donne impongono che l’Italia non tolleri il burka, che a parte la pericolosità per l’ordine pubblico è, obbiettivamente, un costume che annulla l’identità e la personalità della donna nella società, consentendole solo una vita all’interno della propria famiglia. Chi viene in Italia, ma direi in Europa, deve abituarsi alle usanze italiane ed europee e non può imporre le sue. Per me, ma credo anche per altri, la visione di donne in nero che camminano come fantasmi, crea del turbamento. Sono fuori discussione, egualmente, i limiti al diritto compatibile con le leggi del disporre del proprio corpo e dei propri gusti sessuali. Non comprendo quanti anni ancora dovremo attendere, perché la nostra civiltà sia illuminata al punto da garantire, come in molti altri paesi occidentali, i diritti degli omosessuali e la fine di questa discriminazione cultura e spesso sociale. Davvero non comprendo perché bisogna cercare soluzioni di compromesso quando basterebbe sancire il diritto al matrimonio tra i gay con tutti gli effetti civili già presenti nei matrimoni “etero”. Riconosco che è più complessa la questione del diritto di adozione per le coppie omo, su cui forse bisogna ancor più riflettere, ma certamente dire con chiarezza si al matrimonio gay sarebbe già un notevole passo avanti.
Così come il testamento biologico, ma fuori dai denti perché non chiamarla eutanasia (questo pur nel rispetto dei distinguo, riportati nel nostro sito dal Prof. Bruno Troisi, con il suo approfondito ed interessante articolo). Una dolce morte, peraltro agognata, da chi non ha più un futuro se non di sofferenza, mi sembra un atto di amore laico, ma sarei quasi indotto emotivamente ed erroneamente a dire anche religioso nei confronti del prossimo. L’argomento cattolico che pretende che gli uomini siano creature di dio è rispettabile, ma pretendere che siano anche proprietà esclusiva di dio mi sembra poco convincente, anche perché mi si dovrebbe spiegare perché poi ad ogni guerra gli uomini tornano ad essere liberi di esercitare il libero arbitrio. Uno Stato laico che ha conquistato l’aborto come diritto, non può poi non accettare l’intervento sugli embrioni per la procreazione assistita come un ulteriore equo diritto. E’ inaccettabile che il feto si possa abortire e non si possa poi intervenire sull’embrione che lo precede. Il PD deve esprimere la sua netta opposizione su questi temi civili, a forme di “neo-oscurantismo” utili solo a garantire i privilegi di pochi.
La tutela di questi diritti non colpisce la famiglia, anzi tali leggi vanno accompagnate con interventi a sostegno delle famiglie, perché la famiglia sia sempre più una scelta consapevole e solida. Queste scelte non sono un attacco alla morale, sono il segno di una modernizzazione vera di una società, che malgrado le sue contraddizioni cammina e guarda più avanti dell’attuale politica.
La moralizzazione della società
è, un tema, come detto, sì importante, ma sotto profili ben più ampi, gravi e trascurati. Una democrazia moderna, ma direi un Paese normale, non può più tollerare anomalie come il “berlusconismo”. Una forma degenerata culturalmente, un malcostume che contagia e aggrava il già scarso senso civico dei cittadini, che acuisce gli aspetti peggiori degli italiani, che sembrano catturati dai “disvalori” di cui quell’anticultura, quell’antipolitica si fa portatrice. Alla parte “maleducata” degli italiani non sembra vero di poter essere giustificato nell’evadere le tasse, che si facciano leggi che li liberino da ogni responsabilità civile, penale o semplicemente morale, che si possa abusare del benché minimo potere per approfittare sui più deboli a proprio vantaggio, che si possa sfuggire ad ogni regola per poi raccontare con soddisfazione a cena agli amici, quanto si è stati furbi e “vincenti”. E’ compito della politica, ricostruire un senso dello Stato, una solidarietà che non si manifesti solo negli episodi estremi, come il terremoto in Abruzzo, ma che faccia parte di una cultura quotidiana dell’aiuto, del venirsi incontro. E’ compito della politica ricostruire la dignità del lavoro e dei lavoratori, che si ricostruisca un comune senso del dovere e dei diritti, che si garantisca il rispetto della dignità della persona, come l’impone la Costituzione, senza distinzioni di sesso, di razza o di religione. E’ un problema che riguarda tutta la politica anche chi oggi a destra si sente vincitore.
Il “belusconismo” finirà come finì il “craxismo” dopo ci saranno solo macerie e la necessità di sangue, sudore e lacrime per ricostruire la politica italiana, il suo rapporto con i cittadini e la sua credibilità internazionale.
Oggi spetta al PD, domani spetterà anche al PDL o come si chiamerà quando Berlusconi sarà uscito dalla cronaca per entrare finalmente nella Storia.
Intanto, c’è Berlusconi.
Una tale concentrazione di poteri e risorse in un’unica persona è “ipso facto” un attacco alla credibilità democratica del Paese. Chi vuole entrare in politica non può, non deve avere più conflitti d’interessi, né può risolvere questi conflitti con l’astuzia e la furbizia che ha reso gli italiani tristemente celebri in tutto il mondo. Va tuttavia affermato che Il vulnus del conflitto d’interessi riguarda Berlusconi, ma non solo. Troppo spesso, anche nei più piccoli comuni come in intere regioni, gli amministratori (spesso iscritti al PD) hanno avuto di questi conflitti dai quali hanno tratto indebiti vantaggi in termini personali prima che politici e di sostegno elettorale. Dia l’esempio il PD, trovando le forme e i modi per escludere tutta quella nomenclatura che ha fatto della politica un proprio interesse privato. Siano esclusi dal PD tutti coloro che hanno avuto condanne penali, siano sospesi tutti coloro che sono in attesa di giudizio, ma dirò di più siano messi da parte tutti coloro che amministrano il bene pubblico come una cosa propria (questo male è di casa nel sud, ma spesso anche il nord fa eccezione.
L’ambientalismo.
Personalmente, non credo in una visione protezionista dell’ambiente. Storicamente l’ambiente è stato sempre modificato dalle “ragioni” dell’uomo. Bisogna essere laici, a mio avviso, anche rispetto all’ecologia.
Peraltro, l’uomo, oggi, ha ben poco a che vedere con le foreste, le caverne, i desolati deserti, le praterie o i ghiacciai dei Poli. L’uomo con il suo progresso scientifico e tecnico, poi culturale e sociale è divenuto un “animale” da città. Ecco perché, a fianco alla giusta difesa dell’ambiente come preservazione ed equo utilizzo delle risorse necessarie all’umanità, al necessario contenimento delle emissioni dannose alla stessa salute dell’umanità e alla difesa dell’acqua come diritto inalienabile della nostra specie, ciò che più mi appassiona è su cui vorrei un’attenta riflessione è l’organizzazione dell’habitat dell’uomo ovvero la città, i suoi spazi e i tempi, i ritmi della vita.
Fin qui si è considerato il lavoro, la produttività e i conseguenti consumi come argomenti tabù. Limitandosi al più a regolamentare il lavoro, ma pretendendo tempi di produzione sempre crescenti e consumi sempre dilaganti. Sulla materia del lavoro, regolamentata perlopiù con un statuto che fu uno degli atti più importanti realizzati negli ultimi 50anni dal legislatore italiano, va detto che attualmente il lavoro risulta essere sempre più precarizzato e le stesso condizioni di lavoro sempre più insicure (la mortalità nel lavoro ha raggiunto vette non degne di un paese civile e moderno), ma va anche riconsiderato tutto il ritmo di vita. Pretendiamo quale indiscutibile il fatto che la macchina produttiva e di consumo debba essere lanciata senza limiti e a velocità folle. Credo sia giunta l’ora di frenare e non tanto e solo per motivi ambientali o di risorse, ma per un bisogno di equilibrio umano e sociale. L’attuale frenetico sviluppo urbanistico italiano non risponde più nemmeno ad esigenze meramente produttive (il lavoro rurale e poi il sorgere delle periferie industriali tra l’800 e il ‘900) spesso è frutto di esigenze puramente speculative. L’Italia è l’unico paese in Europa che invece di valorizzare i centri storici riportandoli ad essere luogo di socialità, continua a svuotarli, riducendoli a sedi di funzione produttiva e amministrativa, così spingendo la popolazione in infinite periferie, spesso disumane, frutto di speculazione edilizia, prive di qualsivoglia organizzazione del sociale (questo tema sarà sviluppato anche nel mensile di Settembre del nostro sito n.d.r.).
Tutto questo rende la società sempre più una società per esseri umani soli e disperati, con effetti tragici specie per gli anziani o i disabili. Un’anomalia tra le tante che si salda con un concetto esasperato del consumismo su cui anche il PD dovrebbe proporsi in alternativa.
Non si comprende ad esempio, a cosa serva avere nelle città più automobili che cittadini, più televisori che familiari nelle case, uno spreco di consumi, figlia di una educazione al consumo utile solo ai produttori, con effetti compulsivi nella società. Credo che il PD debba proporsi come un partito portatore di una “normalizzazione” della vita, proponendo un modello partecipativo della società, ricostruendo quel senso di appartenenza ai quartieri e alle città che è stato, in buona misura, devastato da amministratori che a destra come a sinistra erano espressioni della cultura “berlusconista” di cui si è già detto (Va da vedere se poi sia nato prima Berlusconi o il berlusconismo).
Egualmente, proporre un modello di cultura che veda, ad esempio, nella televisione pubblica non più solo “sfogo” d’infima categoria, ma uno strumento di riflessione e conoscenza, di informazione e formazione plurale ed indipendente. Puntando anche qui sulla professionalità degli operatori avendo la coscienza di guardare all’interesse generale e non gli orientamenti politici di ogni giornalista, di ogni film, di ogni spettacolo.
Richiedere anche responsabilità ai cittadini. Basta con scuole che sono aree di parcheggio dove tutti sono promossi a prescindere dai meriti, basta università concepite come fabbriche di laureati, personalmente ritengo che le scuole debbano tornare ad essere luoghi di formazione culturale e personale, non severi ma seri, dove solo chi merita deve andare avanti, gli altri devono cercarsi un mestiere, il che poi non è una vergogna.
Ecco la serietà deve tornare ad essere un valore importante dopo anni e anni di “repubblica delle banane”. Mi accorgo di dire delle cose ovvie, finanche banali, ma se le debbo dire è perché forse finanche il banale, nell’Italia di questi anni, è diventato sorprendente.
La responsabilità.
Per cui non è possibile che per qualunque accadimento negativo, non ci siano mai responsabili. In Italia da Piazza Fontana, all’assenteismo nei luoghi di lavoro, dai “filoni nelle scuole” alla corruzione, non c’è mai un responsabile. Tutto questo non è possibile. Oggi chi lavora, specie a tempo indeterminato, è un privilegiato e deve tenersi caro il suo lavoro oppure dimettersi o essere licenziato. I famosi “fannulloni” del ministro Brunetta, esistono davvero, solo che, aldilà degli annunci propagandistici, andrebbero licenziati, cosa che l’attuale governo non fa. Anche in questo si può dimostrare la differenza politica tra il PD e il PDL. Dico queste cose non perché voglio una competitività esasperata, una produttività all’estremo, ma semplicemente perché questa è “Dignità”, un altro valore da recuperare in alternativa ai “disvalori” dell’attuale cultura di governo.
Compito del PD
dovrebbe essere di cercare di ridare ai cittadini l’orgoglio di essere tali, cercare quella “normalità” che sempre più va perdendosi nel senso comune delle persone. Uscire da questa cultura della paura, della rassegnazione e poi dell’indifferenza, perché, sia chiaro, una comunità indifferente subisce qualsiasi cosa come questi mesi stanno dimostrando.
La dittatura classica, con le sue violenze, le sue esplicite sopraffazioni, crea repressione ma genera odio e l’odio suscita rivolta, questa nuova forma di dittatura, figlia della seconda repubblica, prevalentemente mediatica, fatta dell’uso sistematico del capovolgimento di ogni più elementare valore, di ogni più semplice verità, crea indifferenza e l’indifferenza non suscita nulla.
Pasolini era solito accusare la DC di aver creato con i suoi processi omologativi una dittatura peggiore di quella fascista, perché in quel modo si annientava la cultura di un popolo di una civiltà rendendo gli uomini una sorta di polli d’allevamento. La perversa e continua insinuazione di “disvalori” operata negli ultimi anni ha portato, con il silenzio complice di una destra incapace di contraddire l’operato del “capo” dimostrando la sua perdita d’identità, sia liberale che conservatrice, con l’inattività del PD, oggettivamente complice, alla distruzione di buona parte del tessuto culturale del nostro paese. Con essa la conseguente distruzione del tessuto sociale e del senso di appartenenza dei cittadini. Riformare il Paese, annientare le lobby, colpire il malcostume e i favoritismi, impedire i conflitti d’interesse tra pubblico e privato sono essenziali alla ricostruzione dell’Italia.
Il congresso di Ottobre del PD ha l’occasione (da non perdere) per proporre un modello di società e di politica diverso da quello attuale.
Comunque la pensiate, siate di destra o di sinistra passando per il centro, l’opposizione è il sale della democrazia, anzi è la democrazia. Un paese senza opposizione che vive su una guida unica, non è un paese democratico.
Ecco, perché a questo congresso debbono guardare tutti, proprio tutti.
(nelle foto dall’alto in basso: Lenin, Bersani, Berlinguer, Franceschini, copertina libro « La Casta », Marino, De Gasperi, manifestazione dei democratici, manifestazione di ecologisti, fumetto dei Simpson)
Nicola Guarino