Qui su Altritaliani cerchiamo di far scoprire sempre qualcosa di nuovo, o comunque affrontare argomenti da un punto di vista « altrimenti italiano ». I Foja sono uno di quei gruppi italiani che nonostante la forte connotazione regionale riescono a travalicare i confini nazionali. Il loro recente album « Na storia nova » sta riscuotendo un bel successo.
Capitò, l’anno scorso, che a gennaio avevo già capito di aver ascoltato uno dei migliori album dell’anno. Era “Teen Dream” dei Beach House, una convinzione rimasta intatta nel corso di tutto il 2010, nonostante l’affiancarsi di altri begli album. Un colpo di fulmine, insomma.
Gennaio 2011. Questa volta è una coppia di album a lasciarmi piacevolmente colpito. Senza mezze misure, infatti, sono passato dall’esterofilia sognatrice al campanilismo rock. Sì perché se il primo è di un gruppo che ha una storia lunga e ricca di soddisfazioni, ovvero i 24 Grana di “La stessa barca”, il secondo gruppo è, al contrario, al proprio esordio. Si chiamano Foja e hanno sfornato un album che sta riscuotendo, a ragione, parecchie critiche positive: ‘Na storia nova (Materia Principale e Full Heads – Graf -, con distribuzione nazionale Audioglobe).
Qui su Altritaliani cerchiamo di far scoprire sempre qualcosa di nuovo, o comunque affrontare argomenti da un punto di vista altrimenti italiano, appunto. I Foja sono uno di quei gruppi che nonostante la forte connotazione regionale, data anche dal lemma, certamente, riescono a travalicare i confini nazionali e, insomma, un piccolissimo successo lo hanno raggiunto anche a Parigi, ma di questo ne parleremo fra un po’. Avevamo accennato all’uscita del loro album nella retrospettiva 2010 di ciò che era successo, musicalmente, in Italia ed è a questo punto arrivata l’ora di parlare per intero del loro album.
Quando mi capitò di scrivere dei 24 Grana, la napoletanità era uno dei punti sui quali mi soffermai, sottolineando come non fosse un limite, bensì una forza, la stessa forza che ha permesso a “Na storia nova” di uscire dai confini regionali e trovare apprezzamento anche nel resto del paese. A supportare l’album, è giusto dirlo, c’è stata anche la forza del (forse inaspettatamente virale) video del singolo ‘O sciore e ‘o viento di Alessandro Rak
Era una fredda serata parigina quando per la prima volta vidi un concerto dei Foja. Anzi, a dire la verità era un Foja; il cantante Dario Sansone (assieme a lui, formano i Foja: Ennio Frongillo, chitarra, Giovanni Schiattarella, batteria e Giuliano Falcone al basso). Nonostante la maggior parte dei presenti capisse poco o niente di quello che cantava Sansone ci furono attimi di sorpresa. Sarà che c’era voglia di musica, che il napoletano è musicalmente una lingua abbastanza universale, sarà che anche solo in acustico Sansone riuscì a scaldare i freddi cuori parigini, fatto sta che (nonostante non ci fossero migliaia di persone e forse neanche centinaia, ma si giocava fuori casa) ci fu enorme consenso. Parte del merito, forse, fu quello che colpisce chiunque veda un live del gruppo, ovvero quella voce calda che quasi ti chiedi come faccia a uscire dal corpo minuto di Sansone.
L’album, fortemente connotato, come detto, dai testi in dialetto riesce a unire i suoni partenopei alle sonorità folk statunitensi (ascoltare “Guerra persa” ad esempio, “Ce voglio parlà”, ma forse sarebbero troppe le citazioni) – non a caso la cartella stampa parla de “L’indie internazionale figlio del Neapolitan Power” – alternando struggenti ballads, come il primo singolo ‘O sciore e ‘o vient, a pezzi più prettamente rock, come ‘a Freva o Uocchie sicche. Insomma i Foja hanno masticato bene le sonorità folk internazionali aggiungendoci proprio la Foja, la foga, quella la rabbia – anzi ‘a raggia – che brucia dentro, come cantano proprio in ‘a Freva:
votta ‘a for’ chello ca nun va
e tutto chello ca credevi
vide ‘o munno chello ca po’ ffà
se poi ‘a ffinale rieste ‘a pper’
voglio ‘o ggenio e ‘a raggia pe’ alluccà
pe’ tutto chello ca nun tengo
pe’ stu dulore ca se sente
(Butta fuori quello che non va/e tutto quello in cui credevi/guarda il mondo, quello che può fare/se poi alla fine rimani a piedi/ voglio la voglia e la rabbia di gridare/per tutto quello che non ho/per questo dolore che si sente)
Una rabbia che torna spesso nei testi di Dario Sansone e che li caratterizza, ovviamente, come in Guerra Persa dove canta: “sempe scavezo e arraggiato cu ‘o munno/so’ crisciuto cu o’ ggenio e cagnà” (“sempre scalzo e arrabbiato col mondo/sono cresciuto con la voglia di cambiare). Una rabbia che è spinta per cercare (creare?) un mondo migliore, che però è miccia iniziale, il principio, ma chissà che poi, come si canta nella ghost track che dà il titolo all’album, non sia vero il fatto che “pè ffà ‘na storia nova/nun ce vò cchiù raggia ma pacienza” (che “per creare una storia nuova/non ci vuole più rabbia, ma pazienza).
Insomma al neapolitan folk dei Foja si mescolano bei testi, di rabbia, d’amore (‘O sciore e ‘o viento), di passaggi e consigli sbagliati, ché in fondo “simme nat’ pe campà/e sbaglià” (“Cose ‘e pazze”), solitudine (la bella “Natalina”), ma anche di speranza in un cambiamento di cui siamo soggetti attivi.
Se la rinascita di una città passa anche per le sue forze culturali, beh probabilmente passerà, anche se solo in minima parte, per questo gruppo, questo movimento, questa raggia con cui, non c’è niente da fare, prima o poi dovrà fare i conti!
Francesco Raiola