Dopo le promesse avventate e illusorie del capo del governo di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, ci si accorge che per non cadere nella sindrome greca bisogna fare una manovra da 70 miliardi di euro in due anni. Eppure la Germania è già in ripresa, mentre l’Italia è ferma da 20 anni. Cerchiamo di capire qual è il segreto tedesco.
La crisi economica ed industriale che si è abbattuta in maniera traumatica sulle nostre comunità, ci porta a scrutare e capire come altrove ne siano usciti in maniera meno dolorosa che da noi. Da noi intendiamo il sud, intendiamo questa regione, queste comunità. Il dato devastante dei licenziamenti senza futuro (come si paventa ad una azienda locale di imbottigliamento di acque minerali, o ad altre di Vitalba e S. Nicola di Melfi) lascia sgomenti sul come si sia giunti fino a questo punto. Ma le responsabilità andrebbero ricercate anche oltre la singola azienda, coinvolgendo il sistema produttivo quanto le relazioni industriali, parti sociali comprese. Occorre, quindi, allontanarci un po’ oltre i confini locali e anche nazionali per avere risposte sul come in altre parti hanno saputo meglio fronteggiare la crisi.
Tocchiamo la Germania governata da una donna sagace, Angela Merkel, di estrazione democratica e conservatrice, cresciuta (secondo le cronache) nella ripulsa verso il socialismo reale dei Paesi dell’
Est. In questi mesi, il suo modello di “autocoscienza collettiva” sta raccogliendo consensi ovunque, fino da meritare la più alta onorificenza pubblica degli Stati Uniti: “The Medal of Freedom”, e l’ammirazione del
presidente Obama. La stampa americana (che per tradizione non fa sconti di alcun tipo) ha scritto di “The German Exemple” sostenendo che la Germania “funziona meglio”, ed ancora “è riuscita dove noi abbiamo fallito”. In pratica, sebbene sia stata sempre rigorosa nella spesa pubblica, “la Germania ha saputo usare il potere dello Stato per aiutare la propria economia”, molto più di quanto non abbia saputo fare la stessa America. Soprattutto “è stata spietata – scrive Federico Rampini in una corrispondenza dagli USA – nel tagliare le
parti più inutili del suo apparato pubblico”. La politica economica della Merkel ha dunque saputo diffondere benessere sulla maggioranza della popolazione, al punto che oggi le retribuzioni dei lavoratori tedeschi sono cresciute del 30% al netto dell’inflazione; in America solo del 6%. Ma cosa avranno fatto gli
amati-odiati tedeschi di così straordinario da crescere in maniera esponenziale mentre gli altri Paesi come il nostro sono in costante affanno?
Di straordinario c’è che (ed è qui il punto dolente che ci coinvolge da vicino) ha
saputo evitare i licenziamenti di massa, mediante un dispositivo di protezione dei posti di lavoro, il cosiddetto Kurzarbeit. Nell’ultima crisi la Merkel, ben guidata e sostenuta dal consenso, ha semplicemente saputo legiferare: siamo nel 2009 e lo Stato ha incentivato le aziende in crisi a mantenere in servizio i
propri dipendenti, sia pure con orario e salario ridotto, con lo Stato che interviene a versare la differenza nelle buste paga. L’autorevole stampa americana ha analizzato con compiacimento la scelta tedesca, che ha salvato ben mezzo milione di posti di lavoro. In tale contesto, con l’arrivo di una certa ripresa dei mercati, si è consentito alle assunzioni di ripartire più velocemente. Come sottolinea Rampini, a differenza di chi viene licenziato e
rimane inattivo, quei lavoratori coinvolti nel Kurzarbeit non hanno perduto il proprio addestramento e l’attitudine stessa al lavoro, evitando contraccolpi anche e soprattutto di natura psicologica.
Come evidenzia la stampa americana, la Germania ha saputo operare dei tagli mirati al proprio welfare. Un intervento selettivo che ha potuto colpire la politica delle indennità di disoccupazione. Mediante un apparato ben attrezzato, si è andati a visionare caso per caso ed appurare quali lavoratori potevano tornare sui posti di lavoro ed essere attivi anziché rimanere a carico dell’assistenza pubblica. In tal modo, anche una parte di disoccupati di lungo periodo sono rientrati ai posti di lavoro. Qualora l’impiego veniva sottopagato rispetto al lavoro precedentemente svolto, interviene lo Stato a colmare le differenze. E così il sistema produttivo tedesco ha potuto verificare con successo che questo è un processo applicativo meno costoso che mantenere il lavoratore a casa, e dunque anche maggiormente produttivo, in quanto quegli ex disoccupati hanno riscoperto la vita attiva. Un processo che rimette in moto anche una economia indotta, fatta di spostamenti e di recupero del tempo libero non solo nel senso del consumo.
Infine, la stampa americana evidenzia la “forza dei sindacati”, nel senso che in Germania tutti hanno impedito la decimazione dei sindacati, cosa che è invece avvenuta in America. Si individua proprio nella forza del sindacato una delle spiegazioni per cui le classi lavoratrici hanno goduto di un maggiore benessere rispetto agli americani.
Alla luce di tutto questo, è possibile fare un raffronto anche se minimale con il sistema produttivo del sud, e di questa regione? Il tanto discusso federalismo si potrebbe applicare in parte ad una regione piccola come la Basilicata che, proprio in virtù delle potenziali risorse energetiche, potrebbe attingere a risorse che salvaguardino quei posti di lavoro in aziende in crisi? Associazioni di industriali, parti sociali e istituzioni locali sarebbero messi su un banco di prova che andrebbe ben oltre le competenze dettate da una agenda preconfezionata. Il coraggio della Merkel (lungi da banali esaltazioni) parrebbe da esempio imprescindibile. Con la sola differenza, che lì siamo in Germania. Sarà il tempo di sfatare illogici pregiudizi?
Armando Lostaglio