Il romanzo “La fantasia di Francesca” di Mariacarla Rubinacci (Alfredo Guida Editore) parte da un significativo incipit: dopo un improvviso attacco di cuore il protagonista Roberto Schio, affermato avvocato milanese, decide di prendere una pausa di riflessione ed esaminare tutta la sua vita dall’infanzia alla maturità, annotando con la scrittura le tappe del suo vissuto.
Veniamo così a conoscenza di due donne importanti per Roberto: la moglie Francesca, Elvira la compagna, e poi i figli, i nipoti. Conosciamo gli accadimenti della sua vita come la scuola, i primi amori, il dolore per la morte del padre, ecc. Arriviamo sino alla sua morte con la famiglia tutta unita, comprese la moglie e la compagna a rendere l’ultimo saluto.
La prima peculiarità da sottolineare nel romanzo, è il linguaggio usato dalla Rubinacci, che si sviluppa su diversi piani. E’ lirico, elegiaco, risente di una formazione poetica della autrice che, evidentemente, prima di essere narratrice è poetessa (la Rubinacci conserva nel cassetto circa cinquanta poesie non ancora pubblicate). Tale linguaggio racconta la storia attraverso metafore, procede per immagini spesso metafisiche e talvolta mutuate da quadri: penso a De Chirico quando nel primo capitolo si fa cenno alla Grecia e a dei cavalli che corrono nel mare quasi fossero nati da esso. Infatti la narratrice si serve spesso, nel corso del romanzo, di parole che si possono con facilità tramutare in immagini pittoriche. E’ evocativo: l’autrice attraverso la descrizione minuziosa di oggetti, luoghi, paesaggi, riverbera stati d’animo, sentimenti, la vita stessa del protagonista. Così Roberto evoca magicamente la descrizione/immagine di uno spicchio di Venezia con gondola e relativo gondoliere, mentre appare all’improvviso una persona mascherata con la bautta a fare da sfondo ad un ricordo. Dunque i luoghi della memoria, attraversano anch’essi come metafora il viaggio della vita e dei sentimenti.
Il linguaggio è in qualche modo al servizio delle tappe fondamentali della storia, così come suddivise: Infanzia, Giovinezza, Maturità. L’autrice adatta gli stilemi della lingua a queste scansioni così che nell’Infanzia il linguaggio risente di una certa leggerezza e invece nel progredire della storia sembra si faccia più nebuloso e greve, come l’età del protagonista. E’ spesso onirico e usa pochi dialoghi, quindi poca azione. Si ha la sensazione che la storia sia come un sogno quasi mai interrotto. Il finale spiegherà la rêverie.
La seconda peculiarità riguarda la struttura del racconto che ha la cadenza arcaica di una favola, tanto vero che il primo capitolo ha la forma del prologo introduttivo, il romanzo si chiude con rivelazione finale e con una conclusione esplicativa.
L’andamento della storia, tra l’altro, a tratti richiama alla mente il famoso dickensiano “Canto di Natale” con i tre fantasmi mandati durante il sonno al protagonista per emendarsi. In questo caso, invece, si tratta di carte che Roberto pesca nel caos della vita e come per il famoso gioco delle “tre carte”, vengono fuori appunto le tappe salienti del suo vissuto: Infanzia, Giovinezza, Maturità.
Ultima riflessione riguarda il finale che spiega e in qualche modo rende giustizia al racconto-sogno al racconto-favola. Nell’ultimo capitolo, intitolato la fantasia scopriamo che non era Roberto a ricordare, a scrivere ma Francesca che, ormai avanti negli anni, riceve dai nipoti in regalo un diario e lì inizia ad annotare dapprima pensieri liberi fino ad arrivare ai ricordi e alla vita di Roberto che, a quanto pare, è stata anche la sua vita avendone diviso con lui buona parte. Ecco che risiede, a mio avviso, in questo rivelamento finale, in questo “colpo di teatro” il significato fondamentale di “La fantasia di Francesca”.
Un gioco di scatole cinesi, un viaggio attraverso il mondo altrui, in questo caso di Roberto, per manifestare il proprio mondo, i propri sogni, le istanze, la inesauribile voglia di amare di Francesca. La vita di Roberto non è altro che l’escamotage per indagare nella propria vita e dunque assolvere ad uno dei bisogni della scrittura che è quello della finzione, del travestimento, della fantasia, del raccontare una storia altra che contiene inevitabilmente parte di sé stessi.
Mariacarla Rubinacci, come su un lettino dello psicanalista, mette a nudo la storia di Roberto con le colpe e le gioie, trasfigurandola in quella di Francesca e lo fa con mano delicata e femminile. Agguanta la realtà dell’esistenza con i suoi problemi, dolori, ripensamenti, attraverso l’immagine poetica, la favola, il sogno, e come in un bel quadro attribuisce un colore virtuale ad ogni parte del vissuto. Un mondo che può sembrare elegiaco ma che non dimentica l’amarezza, le difficoltà, come la vita stessa ci insegna.