L’appuntamento è stato confermato alle 17.00 di domenica.
La voce telefonica mi indica la via e il numero civico che vengono annotati diligentemente sul taccuino.
Riprendo fiato, godendomi le ultime pagine del libro.
Il giorno prestabilito mi trovo puntuale davanti ad un vecchio palazzo del centro storico di Torino.
Una cortese signora, che scopro chiamarsi Anna Carla, apre la porta, indicandomi un lungo corridoio semilluminato che porta alla stanza agognata.
Tra pareti interamente tappezzate di libri, il mostro « bicefalo » Fruttolucentini mi accoglie, quale malcapitato intervistatore, con un sorriso sprezzante, con un gesto arcanamente gentile.
Non riesco a celare l’imbarazzo davanti a una tale creatura che emana un’odore di sigarette Gauloises, vestita dignitosamente, avvolta da un’aura che ricorda i romanzi di Dickens.
Mi viene offerta una tazza di tè verde, per sciogliere l’impaccio dell’incontro ed arrivare a porre la prima domanda senza paura.
Marco: – In Italia il giallo è da sempre considerato un prodotto di sottocultura popolare. Con questo libro sembra che il genere abbia messo le ali e sia entrato di diritto nella letteratura « alta ». Che ne pensa ?
Fruttolucentini: – Caro signore, il giallo, dal marzo del 1972, ha sicuramente cambiato pelle con la pubblicazione del mio libro. Ricordo che da una cronaca criminale – pagine poco frequentate dagli scrittori dell’epoca – cercai di estrarre dei caratteri ben delineati, da romanzo inglese ottocentesco, colorandoli di una luce dostoevskiana – per capirci, quella di « Delitto e Castigo » – senza troppo affondare il piede nel tragicizzare la vicenda, accennando, diluendo molto con l’ironia e la scrittura leggera.
Marco: – Colpisce, dopo un’attenta rilettura, il taglio narrativo delle scene, tipicamente cinematografico, che sembra aver fatto scuola negli scrittori a venire fino ai giallisti contemporanei. È d’accordo ?
Fruttolucentini: – Lo scrissi per piacere, per ridare al lettore la gioia di una vicenda raccontata senza mai alzare troppo la voce, inoculandogli un leggero fastidio. Niente più.. Quello che ne è derivato non m’importa un granché. La critica, dopo un certo silenzio iniziale, se ne è accorta lungo gli anni, dopo aver constatato che il libro non smetteva di piacere e di vendere. Ma comunque…
Marco: – Vorrei soffermarmi sull’immagine di Torino che emerge dalle pagine del libro. L’idea di fantasticare sulla città, con i suoi meandri , con le figure che appaiono e discutono, la luce nei quartieri popolari e il ritratto della borghesia chiusa nelle sue ville collinari.
Fruttolucentini: – È una città per molti versi sconosciuta, ci sono nato, nonostante abbia sangue romano nelle vene, e poi l’idea di ritrarre un palcoscenico dove far danzare delle figure, rimodellandole con i tic, gli usi e costumi ed infine le scelte lessicali. Tutto questo è stato divertente, devo ammetterlo. Rendere l’anima di Torino è stata un’impresa difficile e a tratti fallita, ma, lo ripeto, comica ed appagante.
Marco : – Il commissario Santamaria, personaggio che conduce l’indagine, appare cosi’ diverso da tutti i poliziotti protagonisti dei romanzi contemporanei. Umano e distaccato allo stesso tempo, s’innamora ma lascia trapelare poche emozioni, quasi neutro.
Fruttolucenti: – Mah, non saprei rispondere. All’epoca colpì il carattere ben saldo, il cosidetto « tutto d’un pezzo », ma non troppo. Con la bella Anna ci sono fuochi che si accendono tra le pagine, al lettore lascio il piacere di goderne, segretamente. Una tensione morale, lo spinge a cercare di sdipanare il groviglio della vicenda. Di sciogliere l’enigma, di tenere i cocci nelle mani, senza troppo farsi del male. Un’anima disincantata e tendente al nobile. Così lo vedo io, ancora a distanza di anni.
Marco: – Beh il personaggio ha comunque funzionato, ne hanno tratto anche un film con Marcello Mastroianni nella parte del commissario.
Sul taccuino, veloce, provo a riordinare le battute, le allusioni, le idee che sono emerse da questa conversazione rapida e inusuale. Il mostro chiede, cortesemente, di congedarmi. È stanco, affaticato dagli anni e la voce ne risente. Continuano a ronzarmi nella testa pezzi di frasi come: scrittura nobile, figure leggere e tragiche, « ferri del mestiere ». Saluto e esco all’aria aperta, lasciandomi alle spalle l’odore maledetto di quelle sigarette.
Una figura con una parrucca bionda, vestita con un soprabito e borsetta, mi passa accanto, sfiorandomi. Un leggero brivido mi accarezza la pelle. Rientro veloce a casa a scrivere questo pezzo.
Marco Rognoni
Dall’omonimo romanzo il film di Luigi Comencini (1975)
Pubblicato il 19 aprile 2011
Rubrica “OLTRE LA POLVERE”, libri e recensioni da (ri)scoprire
Rubrica dedicata ad autori, di prosa o poesia, il cui periodo di attività inizia alla fine degli anni ’60 (o in alcuni casi particolari anche prima) e che se non ancora attivi hanno smesso da poco di esserlo. Perché certi autori, che rischiano di essere ingiustamente dimenticati, avrebbero meritato, meriterebbero maggior fortuna critica. Oltre la polvere, dunque: perché questi libri, a rischio di oblio, non siano schiacciati dal peso della polvere dell’indifferenza – o anche, se preferite: per soffiarla via, questa polvere, dai libri su cui ha già cominciato a posarsi… almeno momentaneamente, con un articolo… Insomma la polvere a noi proprio non piace! Almeno quella che sembra immeritata…