“Un petit wagon rose”, racconto e foto inedite di Flavio Brunetti.
Dopo la cosiddetta “Unità d’Italia” le linee ferroviarie del Regno erano quelle che correvano lungo la costa tirrenica e la costa adriatica e i treni servivano solo per trasferire velocemente al Sud le truppe del Nord al fine di reprimere barbaramente in numerose, sanguinose e orrende stragi le popolazioni meridionali ribelli al nuovo Stato. Quelle genti, che, dal 1861, avevano visto le ricchezze finanziarie, culturali e sociali depredate con la forza dai vincitori e portate al Nord e che stavano subendo, giorno dopo giorno, la depauperazione della loro pur misera terra, tentavano di ribellarsi alle imposizioni ed alle vessazioni del potere piemontese.
Così protestava il deputato Francesco Proto, duca di Maddaloni. « Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina;… annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. … burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani … Questa è invasione non unione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le provincie meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico… »
E i treni, che, scendendo trasportavano i soldati Piemontesi affamati di sangue o salendo venivano riempiti di giovani deportati dal Sud, erano simboli di morte o di disgrazia.
Ma nel 1897, nel tentativo di dare un impulso all’economia regionale e in quello di creare un collegamento ferrato tra l’Adriatico ed il Tirreno, venne inaugurata la ferrovia Carpinone – Sulmona, che univa L’Aquila, Isernia, Venafro e Napoli. L’ avevano costruita, naturalmente, i Piemontesi. Un geografo, anch’egli piemontese, Gustavo Strafforello, di quella linea già allora scriveva: « … la vaporiera spanderà per ora con poco profitto le sue capricciose volute di fumo in quei solitari altipiani e soltanto l’avvenire potrà apportare attraverso quei monti una più intensa corrente di traffico…»
Ed aveva ragione perché purtroppo quei treni, da vuoti, o quasi, che erano sempre stati, servirono, poi, soprattutto a trasportare le povere genti abruzzesi e molisane nel porto di Napoli dove imbarcarsi per terre straniere a cercare ancora un tozzo di pane. Poi, di nuovo, tornarono ad essere vuoti o quasi.
Oggi quella ferrovia è stata completamente abbandonata e solo ogni tanto, lungo di essa, si sente il fischio di un treno che torna da un lontano passato.
***
UN PETIT WAGON ROSE
– Oh mio Dio! Fu una vera sciagura!
– Ma come?… un viaggio che tutti dicono indimenticabile e suggestivo! La Carpinone – Sulmona, una strada ferrata da sogno, che corre attraverso valli e montagne!
– Per carità! Non ricordarmelo nemmeno! Fu una tortura infinita! Non vedevo l’ora di scendere giù da quel maledetto treno a vapore e tornarmene a casa!
– Ma cosa successe per lasciarti questo ricordo così triste?
– Niente di particolare. Forse fu tutto il tempo, che passava lentissimamente e io, che non riuscivo ad abbandonare quella carrozza. Adesso non mi viene in mente il nome dell’associazione ambientalista che organizzò il viaggio, ma avevano fatto arrivare da fuori un antico treno a vapore, forse da Roma o chissà da quale altro deposito ferroviario storico.
– Un treno con la locomotiva che sbuffa?
– Sì proprio uno di quelli. Sai?… dovevano inventare, mettere in scena un tuffo nel passato. Quella linea ferroviaria, era praticamente abbandonata da anni e allora organizzarono questo viaggio di andata e ritorno da Carpinone a Sulmona col treno a vapore. Se fosse stata solo andata… ma a Sulmona chi ti viene a prendere per tornare?
– Uha! Una locomotiva a vapore! Ma cacciava proprio il vapore? E fischiava per davvero? Come quello della vecchia canzone francese “… un train qui siffle dans le soir…”
– Ma che fischiava!… Ma quale vapore! Era un fumo nero di fuliggine di carbone, che ci appestò tutto il giorno. Eravamo partiti alle nove del mattino… e sai a che ora tornammo?
– A che ora?
– A mezzanotte!
– A mezzanotte?
– Ed eravamo tutti neri di fuliggine!
– Menomale!…. perché questo nuovo viaggio di “andata e ritorno” Carpinone – Sulmona, di cui ti sto parlando, e per il quale ho già pagato il biglietto, trentacinque euro!, si farà su un treno antico, ma non a vapore. La locomotiva va a nafta e le carrozze hanno sedili di legno. Un treno del 1931. Il “Centoporte”. Così si chiama, questo era il nome che gli dettero quasi un secolo fa, quando lo costruirono. Almeno, noi passeggeri, non diventeremo zozzi e neri.
– Ma dimmi: perché dalle nove del mattino voi tornaste a mezzanotte?
– A mezzanotte, sì! … a un certo punto quella maledetta locomotiva si sfasciò e si fermò.
– Dove si fermò?
– In mezzo alla campagna! Dove se no? Alla Scala di Milano? O in Piazza San Pietro? Davanti ad un bar? O davanti ad un cinema? In mezzo alle montagne si fermò. E per aggiustarla ci misero un sacco di tempo! Fermi come salami lungo quella ferrovia, che sale per le montagne dell’Appennino!
– Dicono che sia un capolavoro di ingegneria, che si arrampica e scende con pendenze costanti del 28 per mille e con 56 gallerie, 25 chilometri al buio sotto terra, correndo su un viadotto dietro l’altro, attraversando tunnel paravalanghe e lambendo scarpate incredibili e muri protettivi. La corsa del treno cambia suono ad ogni passo ed è tutta una musica. Dopo la ferrovia del Brennero, in Italia quei binari di ferro raggiungono la quota più alta di tutte le altre ferrovie, 1.269 metri sul livello del mare!, nella stazione di Rivisondoli. La chiamavano la Transiberiana d’Italia.
– Ora ci sono soltanto caselli e stazioni abbandonate! E ogni tanto dal finestrino vedi i cafoni, che ti guardano dalle loro masserie disperse nelle campagne dell’Abruzzo e del Molise, con la bocca aperta, sorpresi che finalmente un treno sia tornato a passare accanto alla loro terra.
– Ma i paesaggi devono essere meravigliosi…
– Sì! Sì… è un lunghissimo abbraccio frenetico di monti e di colli, un susseguirsi di gallerie, di ponti e di trincee. E all’improvviso resti attonito quando ti si aprono agli occhi gli sterminati altipiani ricoperti di neve.
– Scusa, ma allora perché non vuoi ritornare anche tu con me? Solo a pensare che, appena partito, il treno sfiorerà il canto della cascata del fiume Carpino, e dopo penetrerà nelle orride gole profonde scavate tra i ripidi pendii dei boschi dell’alto Molise e correrà e correrà per giungere nelle piane disegnate dagli antichi laghi e ora ricoperti ancora di neve!
– Ma chi se ne tiene! Ancora non posso dimenticare quant’altro ci successe quel giorno del viaggio sul locomotore.
– Cos’altro ti accadde?
– La mattina, verso le dodici, il treno si era fermato a Roccaraso, famosa per le sue piste da sci, e là la stazione sta praticamente dentro il paese. Allora siamo andati a fare due passi e ci siamo fermati in una pasticceria.
– Avevate lasciato il treno?
– Sì! Avevano detto che c’era una sosta di circa mezz’ora. Ma in quella pasticceria, Valerio nostro figlio, il nostro ragazzino discolaccio, forse stufo di stare sul treno, era scomparso.
– Scomparso?
– Era uscito senza farsene accorgere, mentre stavamo mangiando un dolcino. Non ti dico lo spavento!
– E dove s’era ficcato?
– Dopo più di tre quarti d’ora l’abbiamo trovato che stava intorno ad una edicola a guardare le buste con i giochi. Gli avrei proprio voluto dare una bella zampata in culo! E fin tanto che l’abbiamo ritrovato, il treno era bello e ripartito.
– Oh per la miseria!
– Dovemmo prendere un taxi ed inseguirlo! Come gli indiani all’assalto della diligenza. Ma per quelle strade di montagna che volevi raggiungere! Quella ferrovia è così ardita e unica che è più veloce delle strade. Se non fosse stato un treno d’epoca e un viaggio d’epoca non l’avremmo più ripreso. Invece dopo venti o trenta chilometri siamo riusciti a raggiungerlo a Campo di Giove dove il treno era fermo per le pacchiane.
– Le pacchiane?
– Avevano organizzato un’accoglienza ai turisti del treno con canti popolari abruzzesi. E menomale, altrimenti chi l’avrebbe raggiunto più! Almeno per riprenderci le borse che avevamo lasciato sopra.
– Però sai che ti dico? … Tutto ha un sapore così romantico. Mi vengono in mente quei versi di Rimbaud:
L’hiver, nous irons dans un petit wagon rose
avec des coussins bleus.
Nous serons bien. Un nid de baisers fous repose
dans chaque coin moelleux…
(L’inverno ce ne andremo su un piccolo treno rosa
con dei cuscini blu.
Staremo bene. Un nido di folli baci riposa
in ogni molle cantuccio…)
Sono le dieci del mattino. Aspettiamo il treno che arrivi qui alla stazione di Carpinone. Il treno storico “Centoporte” sbucherà dalla galleria che viene da Isernia. Televisioni, giornalisti, uomini politici, rappresentanti di Enti e di associazioni, ci sono un po’ tutti quelli che vogliono mettersi in mostra. Borse ricolme di acqua, di vino e di panini con la frittata e con la salsiccia. Ognuno di noi ha almeno una macchina fotografica e una cinepresa. Mi faccio strada tra quella confusione, la campanella della stazione, tintinnando, annuncia l’arrivo prossimo del trenino rosa, quando a un certo punto, tra tutta quella gente accalcata sul marciapiede, chi mi appare? Valerio!
– Valerio! – Lo chiamo.
Il ragazzo si volta, si avvicina e gli chiedo
– Ma tu sei Valerio?
– Certo. Sono Valerio. Non mi riconosci? – mi risponde con il suo vocione ormai da uomo.
– Sei cresciuto. – gli dico squadrandolo dalla testa ai piedi, poi aggiungo – Erano anni che non ti vedevo. Quest’anno che classe fai?
– Devo fare gli esami di Stato.
– Come passa il tempo! Anche tu sul treno storico?
– Altrimenti perché sarei qua?
– Giusto! Ma sei venuto da solo?
– No c’è anche mio padre. Sta cercando parcheggio.
– Ah! Alla fine si è deciso? Diceva che ricordava questa andata e ritorno, quando tu sparisti dalla pasticceria a Roccaraso, tutto come una grande sciagura!
– Sì! Sì. Pensa che a casa, quando io gli chiedevo di venire, di tornare di nuovo, andava scandendo ad alta voce dentro casa questo slogan:
“NO TAV! NO CARPINONE – SULMONA!”
Poi un giorno è tornato con i biglietti e, con voce bassa, mi ha detto:
– “Non possiamo perdere questa occasione. Andare è come inseguire le nostre anime che spesso, da stupidi, lasciamo volare via insieme ai nostri sogni di bimbi.”
Flavio Brunetti
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copyrights: flaviobrunetti(at)virgilio.it
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Grazie del tuo articolo…ma pare che i fetenti delle FS hanno questa estate deciso di chiudere la linea per via delle gallerie non in buono stato…una vergogna tutta italiana!! Alla faccia di chi sa quanto servirebbe per il turismo di queste aree la valorizzazione di questa bellissima linea ferroviaria…Nicola Galasso
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Ho utilizzato per anni quel treno e conoscevo ogni curva, ogni paesaggio che si svelava e in ogni stagione, vivo a Sulmona, ma sono molisana e, nonostante la lentezza ho sempre amato questo percorso che dovrebbe essere valorizzato maggiormente.
Grazie per le belle parole e le foto.
Loredana Carrieri
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
sano esercizio di lentezza!
ho inviato l’articolo in posti dove vanno tutti di fretta…
carmine
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Sai Flavio su quella Ferrovia mio nonno ci lavorava (era capostazione a Sulmona) e mia madre, studentessa universitaria, innamorata di mio padre ci ha raggiunto il Molise per la prima volta per inseguire il suo destino d’amore di cui io con mio fratello e mia sorella siamo i frutti. un abbraccio. Stefano
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Eppur mi manca. TGV da Parigi a Nizza e per oltre 5 ore sei servito! Lasciata gare de Lyon e abbandonata la grigia metropoli sud il treno prende quota e a 300 km buca la campagna senza lasciarti ricordi. Provo a cambiare posto e osservare il mondo che piuttosto che il mondo che viene.
Cosí i campi, le fattorie, i villaggi, le nuvole sembrano sfuggire più lentamente ma sempre troppo veloci per imprimere immagini nella mente. In tre ore si arriva a Marsiglia e la lentezza si riappropria del procedere anche se è un susseguirsi di cemento, cemento, cemento. Il mare solo in lontananza.
Resti ansioso in attesa che il TGV riprenda velocità, sfugga da agglomerati urbani fatiscenti e si incunei tra le calanche che frastagliano la costa verso Nizza.
Niente. Il procedere è diverso, sornione, quasi affaticato. Peró vedi il mare, le spiagge, la costa a strapiombo anche se il bello è interrotto da Tolone, Saint Raphael, Cannes, Antibes e finalmente Nizza. Quasi 3 ore da Marsiglia a Nizza per soli 220 km in netto contrasto con le 3 ore da Parigi a Marsiglia per quasi 800 km. Ma negli occhi le immagini che restano sono quelle della lentezza e allora il paragone è immediato: i treni del sud, quel treno che da Campobasso porta a Roma oppure a Termoli o quello, appunto, che da Carpinone porta a Sulmona. Ferrovia che assomiglia al tratturo, che come il tratturo ti invita a fermarti e osservare, che come il tratturo ti cambia la prospettiva dopo ogni galleria, dopo ogni tornante, piano, con cauta marcia, passo dopo passo, sbuffo dopo sbuffo.
E’ il nostro vivere che fatica ad apprezzare il lento procedere. Se l’arrivo avviene con pochi minuti di ritardo del viaggio ti resta il ricordo di quei minuti, l’ossessivo guardare l’orologio, il telefono che suona, nulla del bello che hai incrociato, nulla, nulla!
Grazie allora a Flavio, al racconto di quel treno che va, qualche volta si ferma, ma nel cuore ti lascia una struggente voglia di ritornare.
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Piccolo refuso di salvataggio. Anche in questo conta la « lentezza » alla quale non siamo più abituati e pur leggendo e rileggendo non vedi che ti salta un « va » e ciò che scrivi perde di significato. Allora puoi decidere di lasciar perdere o fare ammenda e ….. riscrivere.
« Eppur mi manca. TGV da Parigi a Nizza e per oltre 5 ore sei servito! Lasciata gare de Lyon e abbandonata la grigia metropoli sud il treno prende quota e a 300 km buca la campagna senza lasciarti ricordi. Provo a cambiare posto e osservare il mondo che va piuttosto che il mondo che viene.
Cosí i campi, le fattorie, i villaggi, le nuvole sembrano sfuggire più lentamente ma sempre troppo veloci per imprimere immagini nella mente. In tre ore si arriva a Marsiglia e la lentezza si riappropria del procedere anche se è un susseguirsi di cemento, cemento, cemento. Il mare solo in lontananza.
Resti ansioso in attesa che il TGV riprenda velocità, sfugga da agglomerati urbani fatiscenti e si incunei tra le calanche che frastagliano la costa verso Nizza.
Niente. Il procedere è diverso, sornione, quasi affaticato. Peró vedi il mare, le spiagge, la costa a strapiombo anche se il bello è interrotto da Tolone, Saint Raphael, Cannes, Antibes e finalmente Nizza. Quasi 3 ore da Marsiglia a Nizza per soli 220 km in netto contrasto con le 3 ore da Parigi a Marsiglia per quasi 800 km. Ma negli occhi le immagini che restano sono quelle della lentezza e allora il paragone è immediato: i treni del sud, quel treno che da Campobasso porta a Roma oppure a Termoli o quello, appunto, che da Carpinone porta a Sulmona. Ferrovia che assomiglia al tratturo, che come il tratturo ti invita a fermarti e osservare, che come il tratturo ti cambia la prospettiva dopo ogni galleria, dopo ogni tornante, piano, con cauta marcia, passo dopo passo, sbuffo dopo sbuffo.
E’ il nostro vivere che fatica ad apprezzare il lento procedere. Se l’arrivo avviene con pochi minuti di ritardo del viaggio ti resta il ricordo di quei minuti, l’ossessivo guardare l’orologio, il telefono che suona, nulla del bello che hai incrociato, nulla, nulla! »
Di nuovo grazie allora a Flavio, al racconto di quel treno che va, qualche volta si ferma, ma nel cuore ti lascia una struggente voglia di ritornare. Anche a correggere ciò che hai scritto.
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Anche a me hai regalato un pò di poesia con qs breve lettura e le tue foto…Gli occhi dei bambini che hai fotografati sono quelli di miei figli trascinati recalcitranti sul trenino che,increduli, in un’era di automobili, spiavano i paesaggi inconsueti che si aprivano davanti a loro….
Bravo e grazie
Lia armagno
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
ho nel cuori il colore degli occhi dei tuoi bimbi.
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Flavio, come sempre mi hai regalato un tuffo al cuore e non so se abbia qualcosa di romantico, di patetico o di commovente, so solo che quella ferrovia io l’ho percorsa cento volte da bambina, quando andavamo a Carovilli e nella mia mente era l’incanto del viaggio senza frontiere, dell’estate che arrivava, dell’emozione dell’avventura. Torno ogni domenica da quelle parti e trovo una tristezza raccolta nell’abbandono dei binari. Miope, assolutamente miope la politica di chi non capisce le potenzialità di un percorso tra bellezze straordinarie, la possibilità di attraversare « mito e storia ». Eppure continuiamo a sentire parlare, come in una litania, della necessità di investire su un turismo d’ambiente…
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
grazie. sensazioni comuni.
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Bravo Amico mio, la semplicità che scardina i sentimenti e le esperienze conservate dall’amgidala.
La Carpinone-Sulmona. Il treno dei monti del Sud, tra mito e storia.
Flavio,
sei grande!!!
Alfredo