L’Orso d’oro e il Premio del pubblico a Berlino. Nanni Moretti presidente al prossimo festival di Cannes, segnano il favorevole momento del nostro cinema di qualità. Risplende il riconoscimento dei fratelli Taviani, sensibili narratori della nostra cultura e del nostro tempo.
Sono di quelle notizie che riconciliano con l’arte vera e pura, con il coraggio di osare e di sentirsi portatori di emozioni. Il 62° Festival del Cinema di Berlino ha appena conferito l’Orso d’Oro a Paolo e Vittorio Taviani per il film “Cesare deve morire”, liberamente ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare e girato come un documentario in bianco e nero con i detenuti del carcere romano di Rebibbia.
La notizia sovrasterebbe ogni cosa nel mondo della cultura nazionale e non solo, se non fosse in atto lo stordimento da canzonette e sfide al pudore perpetrate dalla lunghissima kermesse sanremese, evento mediatico senza pari nell’italietta delle convenzioni.
Erano 21 anni che l’Italia non vinceva questo importante premio. Nel 1991 se lo aggiudicò il compianto Marco Ferreri, munifico autore di opere controverse ed imperiture, con “La casa del sorriso”, una storia d’amore fra anziani ambientato in una casa di riposo: interprete l’immensa Ingrid Thulin, una delle muse di Ingmar Bergman e del cinema svedese. Tutti nomi di un’epoca che non c’è più, che hanno scritto la storia della cultura mediante il cinema d’autore.
Anche per questo occorre esaltare questo Orso d’oro al nostro cinema, con autori che da oltre cinquant’anni si ostinano, come i fratelli Taviani, a portare sul grande schermo storie e sensazioni che fanno epoca, con riconoscimenti internazionali, quelli che non arriveranno mai per quei (tanti) film nostrani che, quantunque incassino molto, dopo che si è usciti dalla sala non rimane un solo fotogramma impresso nella memoria. Un mirabile riconoscimento per il cinema italiano, dunque, questo per i fratelli Taviani, cui si aggiunge la presidenza della giuria a Nanni Moretti all’imminente Festival di Cannes.
“E’ un premio che riempie di gioia – ha commentato Paolo Taviani – soprattutto per chi ha lavorato con noi. Sono i detenuti di Rebibbia guidati dal regista Fabio Cavalli che li ha portati al teatro. Questi detenuti-attori hanno dato se stessi per realizzare questo film e ci fa piacere vincere un premio al festival di Berlino che non ha un indirizzo generico ma che al contrario ha un carattere molto specifico: cerca forze nuove e cerca forze che si appassionino a tematiche sociali. Questo film combina tante cose – ha continuato – Shakespeare entra dentro Rebibbia. E io penso che questa esperienza forte ci rimarrà dentro sempre, anche come contraddizione, e comunque come grande momento di qualità ».
Paolo e Vittorio Taviani approdarono al cinema nel 1960 come aiuti registi del grande Joris Ivens, che insieme a Tinto Brass girarono anche in Basilicata il documentario “L’Italia non è un paese povero” sulla nascente epopea delle estrazioni di metano, voluto da Enrico Mattei. Il loro primo film è del 1967 “I sovversivi” con il quale anticipavano gli avvenimenti del 1968. Riconoscimento mondiale con la Palma d’oro a Cannes nel 1977 per “Padre padrone” ritenuto un film cult.
Armando Lostaglio