Sorpresa a San Gregorio Armeno per gli artigiani delle statuine del presepe, nel pieno clima natalizio partenopeo, per l’assunto del Papa Benedetto XVI che nel suo ultimo libro “L’infanzia di Gesù”, sosteneva che nei pressi della grotta della natività non c’erano animali ne pastori che cantavano.
“Il bue – ha scritto Ratzinger – conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”.
Com’è possibile sostengono in coro gli eredi dell’antica tradizione una tale affermazione. La rappresentazione della nascita di Gesù si deve a San Francesco, quando nella notte del natale del 1223, il santo di Assisi costruì nel bosco di Greccio una capanna con bue e un asinello vicino ad una mangiatoia e si mise a pregare. La tradizione vuole che in quel momento appaia il Bambino e da qui i primi presepi composti solo con personaggi essenziali, vale a dire la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello.
Palcoscenico d’elezione in questo teatro natalizio è Spaccanapoli, il lungo budello che partendo da Forcella arriva a lambire la collina del Vomero. Lungo i suoi tre chilometri di percorso è un susseguirsi di monumenti, chiese, biblioteche, monasteri, palazzi, botteghe d’orafi, librai, di arredi sacri, di cartai e legatori, bancarelle e carrettini della più varia mercanzia.
Per disciplinare il ciclopico afflusso di turisti e compratori di nuovi pezzi da aggiungere alla propria composizione, è stato necessario istituire il senso unico pedonale nei decumani e nei cardini del centro storico. Un itinerario fantastico, in questo periodo per la presenza di numerosi « scogli » e per il suono delle zampogne, cosi come per le luci d’artista offerte dal sindaco della città di Salerno De Luca ricambiato con un presepe allestito dai maestri pastorai di San Gregorio Armeno.
Il presepe a Napoli comincia a vivere momenti di splendore solo nel Seicento, quando s’arricchisce anche dell’episodio della taverna, affascinante monumento all’abbondanza (rappresentava tutto ciò che era assente sulle mense dei poveri).
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Con l’arrivo di Carlo III di Borbone, il re riformista (1716-1788), il presepe prosperò e si diffuse fin nei borghi i più lontani. Lui preferiva circondarsi di artigiani ai quali commissionava le statuine e la regina Maria Amalia, assistita da dame incipriate, cuciva gli abiti dei personaggi.
“Da una bottega all’altra – racconta un giornalista dell’epoca – escono ed entrano amatori di presepi e pastori; arriva un carico di piccole case di cartone; il sughero trionfa con le sue contorsioni di magma vulcanico pietrificato di rocce ridotte ai minimi termini. Si vive in un mondo di sogni. Di qua, di là, a sinistra, scenari di montagne bianche di neve, palmizi ebbri di sole, montagne di sughero che si azzuffano e mille e mille piccoli uomini dai vestiti sgargianti dei più inverosimili colori, in piedi, seduti e la teoria dei re magi. Se passate di sera per San Gregorio Armeno, quando la luce delle lampade elettriche non giunge ad illuminare ogni angolo, questo piccolo popolo di pastori sembra si animi e sorga dalle ceste”.
Nelle stradine del centro storico si lavora tutto l’anno. Solo in pochi giorni del mese di dicembre si vende al pubblico. “Da me vengono di solito collezionisti che hanno particolari esigenze – dice Marco Ferrigno, figlio del più noto don Peppino, venuto a mancare qualche anno fa. Negli ultimi tempi alle cinque misure tradizionali dei pastori (dai sei ai venticinque centimetri) ne ho aggiunta un’altra: quella di quattro centimetri, molto richiesta perché è tornata di moda il presepio girevole sotto la campana”.
Gli artigiani esperti nel lavorare la creta stanno però scomparendo, ed è grande il rischio che con loro scompaia anche il prodotto di qualità. In Via San Gregorio Armeno, dove nacque Giuseppe Sanmartino, si coltiva in poche superstiti botteghe l’antica tradizione della modellatura delle statuine di terracotta. Questa più che un mestiere è un’arte che si tramanda di padre in figlio, un vero e proprio amore ereditario insieme alla tecnica.
I maestri artigiani Ferrigno, Genny di Virgilio e Lello Scuotto che riforniscono mercati internazionali e vendono le loro opere a collezionisti, continueranno a modellare angeli e pastori, personaggi orientali, mucche, pecore e principalmente bue e asinelli come da antica tradizione. Michele Cuciniello, l’architetto che donò a fine ‘800 il suo presepe al Museo di San Martino, il più significativo e importante della città, visitabile tutto l’anno, disse: « Il prepepio non è altro che la traduzione in dialetto napoletano della pagina più sublime del Vangelo ». Per fortuna anche Papa Ratzinger nel terzo volume “I racconti dell’infanzia di Gesù” aggiunge: “Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e l’asino”. Quanto al “canto degli angeli” raccontato dal Vangelo, “si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori e, fino ad oggi, nella notte santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia”.
Per chi sta o andrà a Napoli durante questo Natale, interessanti i presepi esposti nella chiesa del Gesù Vecchio (fine ‘700), Santa Chiara, con pastori in terracotta, in Santa Maria del Parco a Mergellina (pastori a grandezza naturale), nello Spirito Santo (animato del Settecento), al Palazzo reale raccolta ricca e preziosa del Banco di Napoli.
Danno vigore alla tradizione, professionisti, impiegati, operai, liberi dal lavoro, con mostre e iniziative.
Mario Carillo