In questi giorni di convulse trattative per definire le liste, con
la crisi dei partiti e di idee illuminanti, trapela sempre qualche
voce sulle impressioni prima ancora che sul toto-nomi. Fa specie qualche
dichiarazione sottovoce di alcuni trentenni probabili candidati a
“riempire” ovvero rendere credibili le liste.
Da una di queste è filtrata una ingenua quanto affranta dichiarazione: “voglio candidarmi perché voglio pensare ai fatti miei…” Una voce sincera, certo, ma
che la dice lunga in quale stato di decadimento umano e sociale sia
giunta l’amministrazione della cosiddetta cosa pubblica. Non si può dar
torto a quella o quelle persone che intendono mettere a posto le proprie cose, vista la crisi sempre più devastante che penalizza soprattutto i giovani. Soprattutto loro, che hanno formato la propria coscienza civica negli ultimi quindici vent’anni: la barbarie mistificata dal
consenso.
Proprio qualche giorno fa, dai pulpiti cattolici veniva
inviato il messaggio ai giovani di andare via da questa regione,
piuttosto che soggiacere al ricatto della partitocrazia, del
compromesso del potere forte.
No, proprio non viene di dar torto a quei giovani. Hanno compreso come vanno le cose magari a loro spese.
Perché a loro non è stato concesso di bagnarsi alla fonte della
solidarietà, della convivialità, del confronto ideale: sono cresciuti (magari in
fretta) nella logica delle “tre I”, l’efficientismo fine a se stesso
e non già ragione di incremento di crescita collettiva. Precariato se
va bene. Non hanno colpa quei giovani. Ancora nessuno gli avrà
ispirato che “Una democrazia che si fondasse veramente sui sentimenti, non
saprebbe cosa farsene di quei visi infelici, che superano la soglia
del pudore per sopravvivere ad una felicità che non sanno regalare
perché non conoscono.”
Gli avranno mai suggerito di leggere qualche pagina
di Sturzo e don Milani, di Salvemini e Gramsci, di Fortunato e Dorso? O
la visione di film fondamentali come « Le mani sulla città » di Rosi. E’
probabile che la tradizione si perpetui: li manderanno allo
sbaraglio, come ad una “Corrida” senza speranza, possibilmente si valuti la
provenienza da una “famiglia” numerosa. Mentre i giochi si fanno
sopra le loro teste.
“Le idee che vanno a morire senza farti un saluto [[« Una notte in Italia », di Ivano Fossati]]”, è quanto ci
accade ormai da qualche decennio, canzoni di fuoco e di speranza.
Può risultare di qualche minima (non banale) riflessione l’invito all’
ascolto di brani proprio sulla democrazia: ce le suggeriscono poeti
come Gaber e Fossati, di una generazione passata, che ancora
voleva nutrirsi di belle speranze. In larga parte tradite.
Armando Lostaglio