Oggi Milano dà l’ultimo saluto a Enzo Jannacci che sarà sepolto al Famedio del cimitero monumentale dove riposano i grandi personaggi che hanno lasciato un segno importante nella storia della città meneghina. Jannacci, lo porteremo tutti nel cuore.
E’ triste come sovente ci viene da celebrare un amico che va via. Di quegli amici che non hai conosciuto ma che rappresentano uno spaccato bello e talvolta controverso della propria esistenza.
In queste settimane scorse (sempre di marzo, “chi mmena marz” recita un detto lucano) abbiamo salutato Pietro Mennea, e prima Damiano Damiani. Ora ci saluta alla sua maniera quel poeta scanzonato di Enzo Jannacci, eclettico e bizzarro quanto basta per far sorridere e soprattutto riflettere. In quel milanese stretto, lui che pure aveva un nonno pugliese, era capace di argute riflessioni senza però sbiadire il suo carattere, senza ostentare intellettualismi di moda.
Lui che è stato un affermato cardiologo, aveva studiato nella equipe di Christian Barnard (il primo “trapiantatore” di cuore in Sudafrica), lui che fra teatro cinema e televisione ha raccontato l’Italia dagli anni ’50. Con ilarità caustica con cui dipingeva i suoi quadretti quotidiani, ha collaborato con le firme più importanti a partire dal suo compagno di liceo Giorgio Gaber, quarant’anni di sodalizio fino a dieci anni fa quando l’altro musicista poeta ci lasciò. Se a Gaber si attribuirà la nascita del teatro-canzone, a Jannacci si potrebbe ascrivere quella del cabaret-canzone.
Tante le firme illustri con le quali ha contribuito in maniera determinante, in primis Dario Fo, Nobel della letteratura, del teatro, della denuncia civile. Enzo nasce a Milano nel giungo del 1935 e si annovera fra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana degli ultimi sessant’anni. Caposcuola del cabaret italiano, diverrà artista poliedrico e modello per le successive generazioni di comici e di cantautori. Ha inciso una trentina di album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della discografia italiana, e di varie colonne sonore. È ricordato come uno dei pionieri del rock-and-roll nostrano insieme ad Adriano Celentano, Luigi Tenco, Little Tony e Giorgio Gaber, appunto.
Il suo esordio nel cinema è del 1964 con “La vita agra” di Carlo Lizzani: lì canta la bellissima “L’ombrello di mio fratello” in un locale dove entra il protagonista, Ugo Tognazzi. Sarà lui stesso protagonista di un episodio (Il frigorifero) diretto da Mario Monicelli per il film “Le coppie” (1970), e de “L’udienza” di Marco Ferreri (1971). Ha inoltre fatto parte del cast de “Il mondo nuovo” di Ettore Scola (1982), “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada” di Lina Wertmüller, accanto a Ugo Tognazzi (1983) e “Figurine” di Giovanni Robbiano (1997). Nel 2010 è tra gli interpreti de “La bellezza del somaro” diretto da Sergio Castellitto, film nel quale interpreta il ruolo dell’anziano fidanzato della figlia adolescente dei protagonisti.
Diverse e struggenti le colonne sonore composte, come quelle di “Romanzo popolare” di Mario Monicelli del 1974, di cui insieme a Beppe Viola (grande scrittore e giornalista scomparso prematuramente) ha anche tradotto in un felicissimo slang milanese i dialoghi di Age e Scarpelli, e al quale ha regalato una delle più poetiche e intense canzoni da lui scritte, “Vincenzina e la fabbrica”; quindi la colonna sonora e la canzone “Quelli che…” per “Pasqualino Settebellezze” di Lina Wertmüller l’anno dopo; “Sturmtruppen” del ’76 diretto da Salvatore Samperi e scritto da Cochi e Renato, suoi amici d’esordio; ed ancora “Gran bollito” di Mauro Bolognini (1977); “Saxofone” di e con Renato Pozzetto (1979) e “Piccoli equivoci” di Ricky Tognazzi (1989). Per la televisione Jannacci si dedicherà inizialmente ai mitici “Carosello” , mentre sempre agli inizi degli anni ’60 il regista Filippo Crivelli lo scrittura per lo spettacolo Milanin Milanon, con due colonne del grande teatro come Tino Carrano e Milly, dando così inizio alla sua carriera parallela di attore di teatro e poi anche di cinema. Per quello spettacolo Jannacci compone una nuova canzone, Andava a Rogoredo, incisa su disco due anni dopo. In televisione, quella in bianco e nero, va ricordata la partecipazione allo spettacolo Quelli della domenica, con Cochi e Renato, Lino Toffolo, Bruno Lauzi e Felice Andreasi, provenienti dal cabaret dello storico Derby di Milano, fucina di altri artisti successivi come Abatantuono Teocoli, Boldi e Faletti.
Tante le emozioni che ci ha regalato Jannacci coi suoi testi apparentemente sbrigativi (“Vengo anch’io, no tu no” con milioni di dischi) o fortemente evocativi come “Gli zingari”, “Vincenzina davanti alla fabbrica”, “L’Armando” e la solidale “El Purtava i scarp del tennis”.
Ci lascia a settantasette anni questa eredità di belle canzoni, di interpretazioni e di sensazioni colte nella loro leggerezza. Una figura elegante e erudita, che con una leggera malinconia ha saputo offrire una dose di poetica ad una epoca fra le più difficili e controverse.
Armando Lostaglio