In occasione del cinquecentesimo anniversario della prima edizione dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1516), una mostra a Villa d’Este di Tivoli (Roma), “I voli dell’Ariosto. L’Orlando furioso e le arti”, appena conclusa, ha dato modo di approfondire l’impatto esercitato dal Poema sulle Arti Figurative.
Organizzata dal Polo Museale del Lazio, è stata curata e realizzata da Marina Cogotti, Vincenzo Farinella e Monica Preti in uno splendido ed ideale scenario: la residenza fatta costruire dal cardinale Ippolito II d’Este, nipote del cardinale Ippolito I a cui lo Scrittore, che lo aveva frequentato presso la Corte Ferrarese, aveva dedicato il Furioso.
E, di recente, si è aperta a Ferrara, a Palazzo dei Diamanti, fino all’8 gennaio 2017, una mostra veramente bella: “Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi”, un viaggio appassionante nell’universo ariostesco ricco dei variegati capolavori di alcuni tra i più grandi artisti suoi contemporanei. L’esposizione è a cura di Guido Beltramini e Adolfo Tura, organizzata da Fondazione Ferrara Arte e MiBACT Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Cosa vedeva, dunque, Ludovico Ariosto quando chiudeva gli occhi? Quali immagini affollavano la sua mente mentre componeva il poema che ha segnato il Rinascimento italiano? Quali opere d’arte furono le muse del suo immaginario?
A queste domande vuole dare una risposta la mostra, al fine di celebrare i cinquecento anni della prima edizione dell’Orlando furioso. Concepito nella Ferrara Estense e stampato in città nel 1516, il poema è uno dei capolavori assoluti della letteratura occidentale, entrato immediatamente nell’immaginario e, paradossalmente, nel quotidiano anche minimale dei lettori italiani, europei e, addirittura, mondiale – suoi studiosi e cultori son anche d’oltreoceano.
Più che una ricostruzione documentaria, l’esposizione è una imperdibile ed unica rassegna d’arte: un essenziale iter per immagini che introdurrà il visivo fruitore alla magìa dell’universo ariostesco, tra battaglie e tornei, cavalieri e amori, desideri e incantesimi.
I capolavori dei più grandi artisti del periodo – da Giovanni Bellini a Mantegna, dal genio ferrarese Dosso Dossi a Raffaello, da Leonardo a Michelangelo e Tiziano, oltre a sculture antiche e rinascimentali, incisioni, arazzi, armi, libri e manufatti di straordinaria bellezza e preziosità – fanno rivivere il fantastico mondo cavalleresco del Furioso e dei suoi paladini, offrendo, al contempo, un suggestivo spaccato della Ferrara in cui fu concepito il libro, raccontando sogni, desideri e fantasie di quella società delle corti italiane del Rinascimento di cui Ariosto fu sensibile cantore, un po’ cortigiano, malgré lui.
Grazie al sostegno dei maggiori musei del mondo, le opere note o ammirate dal poeta, sono riunite a Ferrara per dare vita ad un appuntamento espositivo irripetibile: dal leggendario Corno di Orlando di Tolosa, con il quale l’eroe metteva in fuga i pavidi avversari, alla straordinaria Scena di battaglia di Leonardo da Vinci proveniente da Windsor, in cui il geniale artista toscano restituisce, con straordinaria leggiadria, un cruento groviglio di cavalli e cavalieri; dalla preziosa terracotta invetriata dei fiorentini Luca ed Andrea Della Robbia, raffigurante l’eroico condottiero Scipione proveniente da Vienna, al romantico, trasognato Gattamelata di Giorgione di Firenze, celebre capitano di ventura ritratto nella sua luccicante armatura moderna; dalla raffinata illustrazione di Andromeda liberata da Perseo di Piero di Cosimo degli Uffizi, dipinta in punta di pennello e fonte dell’episodio di Ruggero che salva Angelica dalle spire del drago, all’immaginifica e monumentale visione di Minerva caccia i vizi dal giardino delle virtù di Andrea Mantegna del Louvre, che Ariosto vide nel camerino d’Isabella d’Este, le cui figure fantastiche paiono averlo ispirato per narrare del corteo di mostruose creature incontrato da Ruggero nel regno della maga Alcina.
Ariosto non smise mai di rielaborare il suo poema: fu un vero e proprio labor limae di catulliana memoria: lo fece, infatti, nuovamente stampare a Ferrara, con lievi ritocchi, nel 1521 e poi una terza volta, ancora rimaneggiato, nel 1532, appena pochi mesi prima di morire.
Negli anni tra la prima e la terza redazione del Furioso il mondo attorno al suo autore cambiò radicalmente ed in più ambiti, a cominciare dagli sconvolgimenti culminati nella battaglia di Pavia del 1525 che segnò la sconfitta di Francesco I – evocati in mostra dalla preziosissima Spada da parata riccamente ornata del sovrano francese e dal severo e intenso ritratto del condottiero Andrea Doria di Sebastiano del Piombo – e l’inizio dell’egemonia politica e culturale di Carlo V sulle corti padane. Analogamente, nelle arti figurative, maturano negli stessi anni espressioni nuove, trionfa quella che Vasari chiamerà ‘maniera moderna’ e si consacra la fama di artisti grandi come Raffaello e Michelangelo di cui Alfonso I d’Este, signore di Ariosto, desidera ardentemente possedere le opere.
L’espressione nuova che, in letteratura, Ariosto porta a compimento nell’edizione del 1532 (il poema, è stato detto, è «classico di una classicità nuova»), è concomitante alle nuove espressioni nel campo dell’arte. Ariosto assiste e talvolta contribuisce alla nascita dei capolavori che Bellini, Dosso e Tiziano hanno dipinto per il camerino del duca, come il Baccanale degli Andrii, tela che, eccezionalmente concessa dal Museo del Prado, torna a Ferrara dopo quasi cinquecento anni dalla sua creazione.
E last but not least, per tornare al ‘nuovo’ inventato o, forse, reinventato da Ariosto piace in questa sede far cenno ad un volume appena pubblicato per i tipi di Marsilio editore, di cui è autore Alberto Casadei, Ariosto: i metodi ed i mondi possibili.
L’Autore è docente di Letteratura Italiana all’Università di Pisa. Ha scritto parecchi testi intorno a tematiche inerenti il XIV ed il XVI secolo e, d’altro canto, di poesia e narrativa contemporanea. Molti dei suoi studi riguardano Ludovico Ariosto, di cui quest’anno, come già detto, a Ferrara, si celebrano i 500 anni dall’edizione princeps del suo capolavoro, l’Orlando Furioso, risalente al 1516. Nei secoli c’è stato un cambio di interpretazione del lavoro ariostesco davvero bouleversant, e per più d’una volta.
Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso Italo Calvino lo vedeva semeioticamente diverso, ‘riducendolo’ in prosa, Luca Ronconi (molti ne ricorderanno la meravigliosa versione teatrale) ed il critico Edoardo Sanguineti ne spezzavano l’armonia, addirittura, ribaltandola – sceneggiandolo per la Tv, negli anni Settanta.
Ora lo si ‘ri-osserva’ come fantasy – dice Casadei (con le sue figurazioni come l’ Ippogrifo, i viaggi di Astolfo sulla luna) – ma, per ribadirla con Leibniz, l’aspetto fantastico è confrontato con il ruolo reale, diretto e forse sgradevole di Ariosto, allora governatore della Garfagnana, dunque condizione di vera, autentica quotidianità…estense, vita reale, nel bene e nel male. Ma, forse, è la nostalgia di sintetismo l’elemento fondante e ‘rassicurante’ del Furioso come poema-armonia, pur se sussistono fratture che l’idea di fondo dello stesso lascia trapelare: in ciò – sottolinea Casadei – sta la sua Modernità, il suo essere antesignano ante-litteram che si rileva anche formalmente e simmetricamente, a livello stilistico, nel verso da lui prescelto, insieme con la sua armonia, quello dell’Ottava.
Maria Cristina Nascosi Sandri
Da Ferrara
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Palazzo dei Diamanti, Ferrara
Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi
24 settembre 2016 – 8 gennaio 2017, tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00
Intero € 13 – Ridotto € 11