“Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito”. Questo paradosso poetico di Giorgio Caproni può valere per molti di noi italiani all’estero, ancor più nel mondo “globalizzato” di oggi (le distanze, per facilità di trasporto e accesso all’informazione, si sono accorciate, creando a volte l’illusione di non avere mai lasciato davvero l’Italia). Ma non sempre è così. Tullia Conte, arrivata in Francia nel 2010 dall’Italia del Sud, si è data una regola diversa: quella di non tornare indietro. L’abbiamo incontrata per Altritaliani.net
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Altritaliani: tu dirigi SuDanzare, “La Maison de la tarentella à Paris”, associazione che promuove e custodisce le danze e musiche tradizionali dell’Italia del Sud. Su una rete sociale, hai scritto qualcosa che ci ha colpiti:
23 NOVEMBRE 2010. 14 anni fa sono partita. Ho lasciato l’Italia con una regola chiara: andare, NON tornare indietro. Non era una fuga impulsiva, era una scelta ragionata, dettata anche dalla rabbia. Non quella che esplode e poi svanisce, ma una sensazione più sottile, gelida, tagliente. Non bruciava, congelava. Una forza che, se non stai attenta, si insinua dentro e ti cambia, ti rende cattiva. Ero stanca. Di aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Di vivere nella privazione più assoluta.
Quando parlo di questa parte della mia vita, negli occhi di chi ascolta scorgo sempre la stessa reazione: un velo di diffidenza. Se dico: “Ho conosciuto la mancanza, quella vera”, noto subito una crepa nella comprensione. È come se la mia storia non trovasse posto nell’immagine che gli altri hanno di me. Quanto può essere stato difficile il passato di una persona così istruita? È un giudizio che non viene mai espresso a parole. “Chi lotta davvero per sopravvivere non ha tutto questo tempo per studiare.”
Nell’inverno del 2009, l’anno prima di partire, nella casa dove vivevo con mio padre non c’erano soldi per il riscaldamento. Le sere le passavamo accanto al camino, bruciando la legna con cautela. Avvolti in delle coperte, dosavamo ogni ciocco. Una sera, cercando di sdrammatizzare, dissi: « Pa’, sembriamo la piccola fiammiferaia! » Papà aveva sorriso. Ma nei suoi occhi c’era qualcosa che non dimenticherò mai. Non era il riflesso delle fiamme. Il freddo, come la fame (che, per fortuna, non ho mai patito), è una verità che non mente. Ti sbatte in faccia la realtà e non puoi più far finta di nulla. I denti battono, le mani tremano. Nel Cilento l’inverno è spietato.
Partire, per me, non è stato un sogno. È stata una necessità. Oggi sono 14 anni che vivo in Francia. Amo questo paese, ma ogni anniversario è un misto di orgoglio e rabbia. Fiera di essere rimasta fedele alla mia regola, di poter accendere il riscaldamento (con parsimonia, per carità, ma almeno è un passo avanti).
Quando ho preso la decisione di partire, mi serviva qualcosa che mi desse la forza di andare. Registrai un video sul mio vecchio cellulare, un frammento che passava in TV proprio in quei giorni: Berlusconi che diceva: “meglio donnaiolo come me che gay.” La rabbia non era per la miseria, non era solo per il freddo. E così, per non soccomberle, sono andata via.
Tullia Conte: lo so, quello che ho scritto può suonare duro. Essere frainteso.
Altritaliani: puoi parlarmi del luogo in cui hai deciso di non tornare?
T.C.: Provengo dal Cilento, in provincia di Salerno, in Campania. È una terra dove è difficile tirare avanti, soprattutto se si cresce in una famiglia di modeste condizioni, come la mia. Nel paese accanto, nel 2010, è stato ucciso a colpi di pistola Angelo Vassallo, conosciuto come il « sindaco pescatore ». Questa è una zona lontana dai riflettori, ma spesso ancor più problematica di quelle descritte dal cinema o dalla televisione, come l’hinterland napoletano. Qui la criminalità non ha un nome preciso; quando ne parli, rischi persino di sentirti dire che non esiste, che “non succede mai nulla”. Eppure, ci sono i morti ammazzati.
A quattordici anni dall’omicidio di Vassallo, sono stati effettuati alcuni arresti, tra cui due carabinieri. Questo dimostra che la criminalità è riuscita a infiltrarsi persino nelle istituzioni che dovrebbero rappresentare lo Stato.
Altritaliani: come è maturata la scelta (che tu chiami “una necessità”) di partire?
T.C.: A un certo punto ho deciso di seguire la mia passione e di fare esattamente ciò che desideravo: dedicarmi alla danza e al teatro. Una scelta ambiziosa, ma estremamente complessa. Avevo una determinazione incrollabile, volevo che il mio progetto facesse davvero la differenza, che fosse un successo. Tuttavia, mi sono scontrata con una realtà piena di ostacoli.
Oggi, in Francia, siamo un’associazione strutturata : un funzionamento normale, certo, ma che nel luogo da cui provengo sembra quasi un lusso irraggiungibile. Aprire una partita IVA, ad esempio, può diventare un’impresa insormontabile. Quando ero ancora in Italia, mi sono resa conto che, anche se il mio progetto avesse avuto il successo sperato, non avrei avuto gli strumenti per tutelarlo. Con questo non voglio dire che non sia possibile tout court, io non ci sarei riuscita.
Altritaliani: e la tua famiglia?
T.C.: I miei genitori entrambi sono precari, mia madre ha lavorato come insegnante di sostegno. Io ho vissuto nel Cilento con mio padre, che purtroppo oggi non c’è più. Papà era professore a contratto alla Sapienza, in una condizione di precariato con retribuzioni estremamente basse. A soli quarantacinque anni si è ritrovato senza lavoro, un colpo che lo ha profondamente destabilizzato.
Ha dovuto affrontare anche un contenzioso legale con l’università, che si è concluso in modo disastroso per lui. Nonostante tutto, ha cercato di reinventarsi, sfruttando le sue competenze da sociologo per lavorare con alcune aziende. Ma nella nostra zona era malvisto, soprattutto a causa del suo impegno in progetti ambientali e nella riqualificazione delle aree verdi.
(Io, in qualche modo, sono riuscita a sottrarmi a queste dinamiche perchè in quei luoghi nessuno si interessa minimamente delle danze tradizionali.)
Altritaliani: e poi, la Francia. E SuDanzare. Corsi, spettacoli, conferenze su musica e danze tradizionali e “rituali” dell’Italia del Sud.
T.C.: Quando sono arrivata in Francia, ho seguito il percorso comune a molti italiani emigrati: lavori nei ristoranti, impieghi precari e saltuari. Ma a differenza di quanto accadeva nel mio Paese, qui la mia cultura d’origine è percepita come una risorsa, e non come una vergogna. Parigi non è certo Disneyland, ma per tanti aspetti mi somiglia, mi rispecchia, e forse per questo mi ha offerto un contesto in cui fiorire.
SuDanzare non è un’associazione di italiani malinconici, infatti, siamo una minoranza: è un progetto che si occupa della cultura minoritaria del Sud Italia con una prospettiva aperta e innovativa, non sessista ed aperta veramente a tutte e tutti.
Ecco il paradosso: siamo riusciti a raccontare la nostra cultura e a darle una voce forte proprio qui, lontano dalle nostre radici. Vivere all’estero, diventare una sorta di “altritaliana”, mi ha fatto scoprire una comunità invisibile ma potente, composta da chi parte portandosi dentro il Sud, il Mediterraneo e tutto ciò che rappresentano: speranza, resistenza e un’identità che sa evolvere senza mai perdere se stessa.
Altritaliani: si muore un po’, per poter vivere… (cantava Caterina Caselli)
Grazie Tullia!
A cura di Maurizio Puppo
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SuDanzare – La Maison de la tarantella est une association loi 1901, basée à Paris depuis 2012. SuDanzare poursuit une action culturelle pour la diffusion des danses et musiques traditionnelles ou rituelles de l’Italie du Sud. L’association propose à tous et toutes des ateliers de danse, de percussions, de théâtre ainsi que des spectacles, concerts, conférences et des résidences en Italie. Les deux principaux fondateurs en sont Tullia Conte et Mattia Doto
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