L’Italia in cuor suo, tra mille contraddizioni, sogna il cambiamento, la svolta, come nella Francia di Macron. Purtroppo in Italia la politica continua a parlare di alchimie e formule e cosi addirittura c’è chi avrebbe nostalgia dei vecchi tempi di Prodi e Berlusconi. Occorre un bagno nella realtà per ritrovare il filo di un cambiamento per il paese che è necessario specie innanzi alle grandi battaglie della globalizzazione.
Si chiudono con i ballottaggi le mini amministrative di giugno. Il secondo turno è andato come previsto, con il successo della destra e un centrosinistra in coalizione che è andato male. Va sempre ricordato che il voto amministrativo non è quello delle legislative e quindi ogni Comune fa storia a se, e quindi ogni proiezione a livello nazionale rischia di essere fuorviante ed utile solo al tedioso spettacolo televisivo della polemica politica. Va aggiunto che proprio la varietà delle realtà amministrative induce, come al solito, a prese di posizioni dei partiti che rischiano di non dare chiarezza su chi sono i vincitori e chi gli sconfitti. Ad esempio il centro-sinistra, a chi fa notare che si è perso Genova, risponde che si è vinto uniti a Lecce e a Taranto e viceversa.
C’è pero’ un dato indicativo che è quello che l’alleanza del PD, con i partitini alla sua sinistra e con la benedizione del padre nobile Prodi, non è garanzia di successo. Proprio a Genova lo sconfitto candidato Crivello, vicino alla vecchia sinistra, non graditissimo a Renzi che l’ha subito dopo la recente débâcle della sua Paita, era un uomo prossimo a Burlando, autentico “boss” locale nella sinistra che fu ai tempi di D’Alema e Bersani, nonché ministro proprio di un governo Prodi. Eppure questo sussulto tanto rosso non ha impedito la storica, per quella città, vittoria della destra.
Una vittoria che Berlusconi vuole presto dimenticare, dato che quel successo è figlio della linea Toti, il governatore della Liguria, che punta ad un’alleanza, non solo elettorale, tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Un matrimonio che per il cavaliere non si deve fare, essendo risolutamente fermo sulle sue posizioni moderate e legato, anche per motivi ancora una volta personali, al PPE, in attesa che la Corte Europea gli permetta, riabilitandolo, di rientrare in politica.
A sinistra in queste ore, si è scatenata la solita tempesta in un bicchiere d’acqua, con Renzi che rilevava l’inutilità di formule e formulette politiche a fronte di una realtà che richiede risposte serie e profonde e con lo sdegno del professore Prodi che si è dichiarato pronto a ritornare al suo pensionato, se non gradito.
Lo sdegno del professore fa ancora effetto, tanto che nel PD molti si sono agitati, polemizzando direttamente o indirettamente con il segretario Renzi. Francamente fa un po’ sorridere pensare che la soluzione per l’Italia sia ancora, come ieri, un duello magari tra Prodi e Berlusconi, 158 anni in due. Venti anni della nostra recente storia evidentemente non ci hanno insegnato nulla.
Proprio gli anni della loro alternanza furono segnati da una sostanziale stagnazione dell’Italia, bloccata dalla contrapposizione “berlusconismo/antiberlusconismo” che tenne il paese fermo, incapace di rinnovarsi e riformarsi, in una pericolosa ed aspra abulia i cui effetti nefasti furono tutti evidenti con la crisi economica del 2007/2008.
Oggi l’Italia ha bisogno di riforme, di cambiamento, di spezzare la catena a un sistema pubblico e privato ingessato ed incapace di rinnovarsi. Ha bisogno di dare fiducia a nuove generazioni che nel ventennio passato (e proprio con quei protagonisti) sono state dimenticate ed abbandonate ad un destino oscuro.
Invocare per il cambiamento Prodi o Berlusconi è come se in Francia si contrapponesse alla speranza Macron, l’idea di riesumare Chirac o Giscard d’Estaing, figure che hanno fatto il loro tempo, che nel bene e nel male, hanno segnato la storia ma che, anche per questioni anagrafiche, hanno dovuto lasciare il posto, nella cronaca politica, a nuovi soggetti.
In Italia siamo invece ancora una volta fermi. E’ certo colpa anche di noi italiani, della nostra incapacità di avere coraggio, di rischiare, è colpa anche di una nostra opacità, di una tendenza adattivo funzionale per cui prima veniamo noi singolarmente con i nostri egoistici interessi di famiglia, di casta o di categoria e poi l’Italia, l’Europa, il Mondo. Non possiamo neanche permetterci di dire alla Trump: “Italy first” perché già questo è per noi troppo lontano.
Trovo deludente, ad esempio che rispetto a temi mondiali: come il terrorismo, una terza guerra mondiale in corso (come ricordava Papa Francesco), con un ambiente al limite del collasso, una carestia in Africa di proporzioni spaventose, la peggiore che si ricordi nella storia dell’umanità, mentre è in corso una guerra interna ed esterna di civiltà e per i nuovi equilibri geopolitici mondiali, con esodi spaventosi per cui sono in movimento interi continenti, mentre l’Europa non trova ancora la via per proporsi in modo univoco nei nuovi equilibri, con uno come Trump alla testa della più grande potenza mondiale che cerca alleanza con uno come Putin, mentre in Corea un pazzo minaccia a destra e manca di lanciare bombe atomiche ed impazzano nuove forme di criminalità globale, che appena ieri hanno bloccato e ricattato interi Paesi, in Italia, nella nostra bella italietta, i temi delle prime pagine dei giornali e dei rotocalchi televisivi, sono lo stipendio di Fazio, se occorrono davvero i vaccini, se la sinistra ha perso Sesto San Giovanni, ecc. ecc..
Va aggiunto che se a destra esistono tre partiti in cerca di autore, per realizzare un’alleanza ed una leadership comune, il « povero » PD si trova con dei potenziali alleati che mettono in discussione la guida di Renzi e vorrebbero delle primarie di coalizione, senza avere neanche un programma, un progetto per il paese. Come se il problema fosse la persona di Renzi e non piuttosto allearsi per fare qualcosa. Peraltro, anche il volenteroso Pisapia (con cui il PD vorrebbe tessere un dialogo) fatica a districarsi tra i settarismi di una sinistra che ha fermato le lancette dell’orologio al 1989, ovvero alla caduta del muro di Berlino. Per cui al PD resta la domanda se allearsi con qualcuno? e se si con chi? con cosa? Perché la somma dei vari Fratojanni, Bersani, D’Alema, Civati e via cantando, non produce neanche un’idea per il futuro del Paese.
E cosi l’Italia resta indietro, chiusa tra tentazioni populiste e ricordi di un passato che peraltro, come detto, splendido non fu. Gli italiani hanno avuto la possibilità di cambiare, ad esempio, con la riforma costituzionale, che avrebbe modernizzato il paese, ma come al solito al dunque, si sono rosi e corrosi in mille inutili e strumentali polemiche finendo per fallire la prova.
Se qualcosa Genova insegna è proprio questo. Ma cosa puo’ interessare, specie alle nuove generazioni, di questo autoreferenziale dibattito tutto interno alla sinistra tra gli asti di D’Alema e le repliche piccate di Renzi? Gli italiani avevano chiesto rottamazione e rinnovamento, parlare ancora di Prodi e di alleanze per riformare il centrosinistra, in un’epoca in cui questi schemi non hanno più senso è un fuor d’opera dal sapore di restaurazione che non ci si puo’ più consentire.
Egualmente a destra. Il punto non è trovare la quadra tra Salvini e Berlusconi, verrebbe da dire chi se ne frega, ma cosa si vuole fare in Italia e in Europa (ed è strano vedere un antieuropeista ed un europeista a braccetto). Il punto non è la formula è il prodotto ed è questo che interessa agli italiani i quali non credono neanche più alla novità grillina che si è persa tra baruffe di osterie, incapacità croniche di amministrare e l’inaffidabilità di una dirigenza dai poteri assoluti, quella di Casaleggio e Grillo, che vive troppo lontano dai bisogni del Paese e dei cittadini.
Se si vuole bene all’Italia, bisogna capire che Il cambiamento chiede conoscenza della realtà ed interventi su di questa. Il tempo delle formule e dei salotti è davvero finito. Il problema non è l’alleanza con chi farla, il problema è cosa fare e farlo.
Nicola Guarino