Delude “Bons à rien” il nuovo film di Gianni Di Gregorio, che conclude la sua triologia sulla terza età. Un film insipido, uscito al cinema in Francia, che tenta di raccontare la Roma di oggi, scomposta e maleducata, quella del dopo Monti, degli esodati. Davvero poco da salvare.
Tutto qui? ecco mi sono detto uscendo dalla sala dopo aver visto il nuovo film di Gianni Di Gregorio.
Dopo aver sorpreso la critica e il pubblico nel 2008 con la straordinaria commedia
“Il pranzo di Ferragosto” e poi nel 2011 con “Gianni e le donne”, il regista romano esperimenta altri ingredienti per poter ottenere un prodotto simile a quello che lo ha reso famoso. Purtroppo il risultato non è molto allettante. Di Gregorio ci offre una commedia priva di mordente, piena di non-sense e nella quale l’unica cosa degna di nota è la sua interpretazione. Per il resto è un groviglio di clichés.
La storia è quella di un dipendente pubblico prossimo alla pensione, che aspetta impaziente il decorrere degli ultimi anni di lavoro per poter infine godere una meritata pensione. Ma ecco che tempi di montiana memoria attraversano il nostro desolato paese e scopriamo nel vocabolario italico una nuova parola: “esodati”.
Purtroppo anche Gianni fa parte anche lui di questi sfortunati “promessi” pensionati ed è costretto a rimanere al lavoro per altri 3 anni. Di per sé questa spiacevole notizia potrebbe ancora essere digesta, se non fosse che altre disavventure soffiano su questo personaggio un po’ sfigato. Il direttore infatti comunica a Gianni che è costretto a trasferirlo in una sede distaccata alle porte della città di Roma, nella triste periferia al di là del GRA. Per Gianni è uno shock, perché la vita da funzionario scansafatiche viene sconvolta e, ormai prossimo alla pensione, è costretto ad iniziare a lavorare. Per giunta, deve anche saper utilizzare i software principali del computer e questo lo manda completamente in tilt.
A partire da questo punto, iniziano varie vicissitudini, poco legate tra di loro e talvolta noiose, che lo portano a diventare da vittima ad approfittatore. Gianni diventa comunque amico con l’unico collega “buono”, lo sfigatello Marco. Il suo è l’esempio del talento sprecato nell’amministrazione, un uomo buono e docile, innamorato della collega Cinzia, più giovane di lui, che lo illude. Gianni e Marco stringono amicizia e imparano a farsi rispettare da tutti.
Nel complesso, il film non sa di nulla, i personaggi sono anche bravini ma nessuna scena è degna di ricordo. La musica è quasi inesistente. Alcune scene, come quella della partita della Roma, rasentano il patetico. Se Di Gregorio voleva rendere l’idea della vita infelice e monotona dei dipendenti delle amministrazioni locali italiane, bastava fare un cortometraggio.
L’opera non è per nulla ben strutturata. I personaggi entrano ed escono senza capire quale sia il loro ruolo. Qualche critico lo ha descritto come un nuovo ‘Fantozzi’, moderno e meno demenziale. Il problema di fondo è sicuramente la sceneggiatura, anche se l’idea iniziale poteva essere molto interessante.
Di Gregorio ha così chiuso la propria personale trilogia della “terza età” in forte ribasso, descrivendo una Roma tanto bellissima quanto incredibilmente maleducata.
Si salvano solo i due anziani che abitano sotto di lui: forse Di Gregorio avrebbe dovuto mantenere la storia di base ma rendendo più partecipi alla trama i suoi vicini di casa. La differenza con la prima opera è abissale e manca quell’eleganza delle anziane signore romane che è la più grande bellezza della capitale.
Fabrizio Botta
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