Il mondo musulmano prende le distanze ma non si decide ad una condanna clamorosa ed inequivocabile del terrorismo. L’Europa mostra le sue insicurezze culturali sul tema dell’integrazione e del contrasto all’islamismo, il tutto un anno dopo “l’esecuzione” a “Charlie Hebdo”, figlia anche di errori dell’occidente e con un mondo che ormai va assuefacendosi agli attentati, innumerevoli come dimostra questo inizio 2016.
Era piena di certezze la folla di due milioni di persone che invase Parigi esattamente un anno fa, l’11 gennaio 2015. Per sfidare il terrorismo. Per lavare il sangue sparso dai boia di Charlie hebdo e del negozio ebraico Hyper-Cacher. Per dire di no ai predicatori di violenza del fanatismo islamico. Quali certezze ? Prima di tutto la forza della legge e dei valori che la ispirano. Poi l’unità del paese e degli « uomini di buona volontà », presenti in massa – Merkel compresa – alla sfilata parigina dell’11 gennaio. Infine l’intrinseca fragilità di un terrorismo, capace di colpire oggi, ma non certo di costruire il domani.
E’ piena di dubbi la folla immaginaria dei parigini, dei francesi e degli europei di questo gennaio 2016. Folla immaginaria perché quelle persone non scendono più nelle strade. Smettono di manifestare e – se possono – anche di uscire, di circolare e soprattutto di viaggiare. Quali dubbi ? Prima di tutto la capacità della legge di prevalere in tempi brevi contro la spirale della violenza. La legge vincerà. Sì, ma quando ? Ma come ? Ma a che prezzo ? Poi la capacità stessa delle nostre società di ritrovarsi attorno ai loro valori fondatori. Rispondere alla violenza con la xenofobia sarebbe un modo per risolvere i problemi o per crearne di nuovi ? Infine c’è una sensazione di profonda incertezza, prodotta da crisi totalmente diverse tra loro (dall’economia al terrorismo passando per le istituzioni stesse), ma convergenti nel renderci più fragili e più zoppicanti.
In mezzo al malinconico percorso dalle certezze ai dubbi, c’è un anno caratterizzato sia dalla terribile capacità di nuocere da parte del terrorismo sia dalla fragilità della nostra politica di fronte a problemi in buona parte creati proprio dalla nostra politica (nel senso di politica dell’insieme dei paesi europei e occidentali). Oggi si combatte in Iraq, ma chi – se non gli Stati Uniti, che esibirono allora false prove di fronte all’ONU – ha deciso nel 2003 di invadere l’Iraq, scoperchiando così il vaso di Pandora ? Oggi si combatte in Libia e in Mali (paese fortemente influenzato dalla Libia stessa), ma chi ha deciso nel 2011 di bombardare la Libia ? I nostri paesi hanno fatto (o comunque favorito) guerre senza avere la forza di costruire la pace e il risultato è stato produrre un’ondata d’instabilità di cui – soprattutto a causa della catastrofica situazione in Siria – siamo noi stessi vittime.
Formazioni terroristiche colpiscono in mezzo mondo e riescono a tenere anche l’altro mezzo col fiato sospeso. Le comunità islamiche europee dicono che quelle formazioni fanatiche non hanno alcun diritto di inalberare la bandiera dell’Islam ? Benissimo. Ma allora che le comunità islamiche europee scendano in campo con tutte le loro energie per condannare, per isolare, per bloccare e – quando sia il caso – per assicurare alla giustizia i predicatori di violenza. Che ci diano l’esempio di un’autentica predicazione di pace, di cui abbiamo tutti bisogno.
Il 2015 è stato anche l’anno dei terribili attentati in Tunisia, che hanno seminato il lutto e lo sconforto fino alle nostre case. Ed è stato l’anno degli attentati del 13 novembre a Parigi, con oltre 130 morti e con centinaia di feriti.
Un anno esatto dopo la manifestazione parigina (e veramente internazionale) dell’11 gennaio, c’è oggi da chiedersi se l’Europa possa ritrovare lo spirito di allora. La volontà di vincere contro ogni violenza. La fiducia in noi stessi. La fiducia nei nostri «fondamentali». Una cosa, però, l’abbiamo imparata. Per vincere le sfide abbiamo bisogno di una politica seria, capace di guardare lontano e di tenere la rotta. La nostra politica deve mettersi all’altezza delle nostre sfide.
Alberto Toscano