Appartiene ad Henry Rousseau detto Le Douanier, il Doganiere (1844-1910) per il suo lavoro di base, questa frase bellissima che già la dice lunga sull’arte di un grande dimenticato o, forse, lasciato in secondo piano per decenni:
Ci credereste che quando vado in campagna e vedo il sole, il verde, i fiori, a volte mi dico: tutto questo appartiene a me (H. Rousseau,1910).
La bella mostra veneziana (grazie ai prestiti eccezionali dei Musées d’Orsay e de l’Orangerie di Parigi, progettisti e commissari dell’esposizione Gabriella Belli e Guy Cogeval) che aprirà ufficialmente venerdì 6 marzo prossimo in una già stupenda cornice – il sontuoso appartamento del Doge, arte nell’arte – proporrà, per la prima volta in Italia, 41 opere di Rousseau – molte, se si considera che la sua produzione pittorica non propriamente ricca, coprì appena 5 lustri, in un arco di tempo che va dal 1885 al 1910 – messe a puntuale filologico e storico confronto con i grandi che gli fecero da maestri, fin dal periodo di Giotto, il Quattrocento dello Scheggia, fratello di Masaccio, per arrivare ai suoi contemporanei come Cézanne, Gauguin o, poco dopo, Picasso, presenti in mostra con una sessantina di pezzi, insieme con i suoi iniziali maestri come Clement o Gérôme.
Da chi era venuto prima di lui, prese a poco a poco le distanze, fino a raggiungere una sua peculiare bidimensionalità, una cromìa tutta sua, un modo di esprimersi pittorico che colpirà i Surrealisti ed affascinerà i Futuristi come Ardengo Soffici, allora ‘appena nati’.
Così si esprimeva, infatti, lo stesso Soffici nel 1910, un anno dopo la nascita dell’ultimo grande e vero – ismo tutto italiano: Le piante, i cieli, i fiori, le vesti, le carni hanno sfumature e tinte di una dolcezza e ricchezza inaudite.
Il richiamo alle origini di Rousseau ha in sé tutta la pittura: persino Bosch e Bruegel non sono estranei alla piccola-grande lezione rousseauiana.
Il suo ‘segno infantile’, che prelude al progresso del mondo, alla sua semplificazione, è un grande antesignano messaggio di pace.
Paolo Fossati, docente ed intellettuale, così si espresse nei confronti di Rousseau, nel 1995: L’artista è un fanciullo ed è un fanciullo prodigio, perché alla fanciullezza è tornato, non per la incondita regressione ad una stagione nostalgica ed irresponsabile: ha saputo tornarci per una matura conquista.
Dopo di lui, che aveva raggiunto un suo Realismo virginale, un candore arcaico, intelligentemente infantile, come la frase d’ouverture, l’arte non sarà più la stessa o, meglio, grazie a lui, dopo la Prima Guerra Mondiale, il suo lavoro permetterà agli artisti di costruire una nuova pittura europea, in perfetta simbiosi e continuazione ideale con chi, nei secoli, li aveva preceduti.
D’altro canto, Rousseau stesso, non era nato ‘dal nulla’: c’è sempre continuità e contiguità perché l’Arte è un grande fiume che, anche a distanze siderali, può portare, cosmicamente, i diversi soggetti agli stessi risultati.
Maria Cristina Nascosi Sandri
Henri Rousseau. Il Candore Arcaico
6 marzo – 5 luglio 2015
Venezia, Palazzo Ducale – Appartamento del Doge
ORARI:
da domenica a giovedì, 9.00 – 19.00 / venerdì e sabato, 9.00 – 20.00