C’è un evento che suscita in tutto il paese almeno altrettante polemiche che la mancata candidatura romana alle Olimpiadi ed è lo sdoppiamento del Salone del libro. Questo da oggi ha due capitali: Torino, come da vecchia tradizione, e Milano.
Che la candidatura di Roma sia fallita pero’ desta meno stupore che la scissione blasfema della Fiera del libro.
Dal libro e dalla sua civiltà ci saremmo infatti aspettati concordia ed armonia come appunto nel mito di Cadmo ed Armonia.
Il problema è che, in entrambi gli eventi, ha fatto prepotente il suo ingresso un’altra civiltà antitetica a quella del libro, la civiltà se così possiamo definirla, del denaro, del business.
Se pensiamo alle antiche biblioteche, al culto del libro nel mondo antico e rinascimentale, non possiamo che desumere da questo fallimento una sorta di trauma che ci coinvolge ed uno scandalo inatteso.
Che cosa sia stata la caduta della biblioteca di Alessandria tutta l’Antichità ce l’ha testimoniato. Si sono smarriti codici preziosi e testimonianze storico-culturali di secoli che compendiavano i fondamentali valori di conoscenza dell’Oriente e dell’Occidente.
Il mondo fu più povero e negletto.
Le deprecazioni anche oggi sono infinite a riguardo del fallimento di un unico salone del libro che ha rappresentato negli anni la centrale del sapere italiano.
L’ultimo commento di Giuseppe Laterza su Repubblica pero’ almeno conteneva una parola magica: periferie.
(Vedi: Le tribù di Torino e Milano hanno ucciso il Salone).
Senza avanzare alcun progetto, l’editore di Bari ha inserito nel testo il sogno che alla rinascita del Salone del libro è legato: partire dalle periferie dove per periferie si intende un centro dinamico e in continuo mutamento, dove sono vivi fermenti di creativa originalità, contaminazioni particolari, mediazioni di linguaggi.
Certo nel concetto di periferie è anche implicito il decentramento, ma anche qui in chiave positiva come elemento che consente la differenza, la diversificazione, la non omologazione, il cuore della trasformazione in una parola.
Senza mutamenti, ricordava Roberto Calasso, editore di Adelphi, ma anche scrittore e filosofo, senza mutamenti non ci sono emozioni e, tramontata la retorica classica con le sue classificazioni ed i suoi generi, la letteratura consiste proprio nell’emozione e nella differenziazione. Tutto è letteratura, tutto puo’ esserlo. Lo diceva nella lectio magistralis, all’assegnazione del premio Formenton per tutta la sua attività e per il recente volume Il cacciatore celeste.
Abbiamo ricordato Calasso non certo come rappresentante di periferie editoriali, ma come mediatore supremo tra filosofie orientali e elementi della tradizione classica.
La lettura del mito è sublime forma di conoscenza, di quell’alternanza tra vuoto e pieno da cui scaturisce il mutamento, l’evoluzione.
Le periferie editoriali hanno espresso la loro funzione egregiamente se pensiamo, per tornare a Laterza, che la casa editrice omonima ha individuato, raccolto potenziato lo storicismo meridionale, ne ha studiato e proposto la fisionomia di eccellenza, e cosi’ ha fatto Sellerio di Palermo e ancora Gangemi di Roma senza i quali molte voci postalvariame, nel sud, sarebbero andate disperse.
Ed allora l’idea forte?
Che il Salone del libro, quello di Torino, riprenda la sua funzione maieutica, di sollecitazione, di lotta alla dispersione dei talenti a livello non solo nazionale, ma mondiale.
Io immagino una mappa di periferie editoriali splendenti nei vari saloni al Lingotto e dibattiti continui e proficui sulle energie emergenti.
Carmelina Sicari