A 100 anni dalla nascita: Spadolini e la Francia

Nel bagaglio culturale di Giovanni Spadolini c’è moltissima Francia, dalla Rivoluzione francese ai grandi pensatori che nei secoli sono stati la base del patrimonio della civilizzazione occidentale. Rousseau, Montesquieu, Diderot, naturalmente Voltaire tanto da destare impressione e ammirazione nei suoi interlocutori francesi che gli offrivano ulteriori volumi con cui arricchire la sua già nutrita biblioteca, come: un’edizione originale de “L’Ancien Régime et la Révolution” di Tocqueville o la prima edizione di “Rome, Naples et Florence” di Stendhal regalategli dal Presidente Mitterrand nel 1981.

Nel bagaglio intellettuale di Spadolini, non potevano mancare tutti quegli approfondimenti alla base degli avvenimenti della Storia d’Italia insegnata a Firenze e nei suoi volumi. A partire dall’analisi nel 1947 del pensiero di Georges Sorel (che aveva avuto pallidi e diversi riflessi su Croce, Pareto, Gobetti, Gramsci e Mussolini); e a partire dalla raccolta nel 1989 ne “La nuova Antologia” (con scritti di Carducci, De Sanctis, Villari) sul ricordo della Rivoluzione Francese nel suo bicentenario in Italia, non tale da essere celebrato senza i timori repubblicani e rivoluzionari del secolo precedente.

L’attenzione di Spadolini per la Francia si manifestava anche nell’aver voluto, tra gli esponenti del Partito Repubblicano Italiano, Annita Garibaldi Jallet, nel ricordo non solo di Giuseppe, ma anche del figlio Ricciotti che nella guerra franco-prussiana del 1870 aveva combattuto con la Legione Garibaldina nella battaglia di Digione, e del figlio di questi Sante che nella 1a Guerra Mondiale aveva combattuto pure con la Legione Garibaldina nelle Argonne, e che nella successiva guerra mondiale era stato dai tedeschi arrestato in Francia, deportato in Germania per poi essere liberato nel 1945. Sua figlia Annita è dunque l’erede di più di un simbolo della Resistenza in Francia, come lo erano stati i Fratelli Rosselli sul cui pensiero mazziniano Spadolini aveva scritto un libro nel 1990.

Viceversa la considerazione della Francia verso Spadolini era iniziata prima della sua visita da Presidente del Consiglio a Mitterrand nel 1981: non solo negli articoli di uno dei massimi ex corrispondenti (dal 1966 per 10 anni) a Roma, Jacques Nobécourt, dal 1976 per 7 anni “barone” (nel gergo interno) negli editoriali di politica estera di “Le Monde”; ma anche in quelli in questo giornale e altrove di uno dei massimi storici francesi, Maurice Vaussard, che già nel 1965 in occasione della pubblicazione in francese (ed. Del Duca) de “Il papato socialista” (ripubblicato da Longanesi l’anno prima) aveva scritto: “je ne me souviens pas d’avoir lu une synthèse plus lucide d’une large période de l’histoire du monde”; “magistral essai” de “deux parties, dont la seconde s’applique à l’Italieà travers le Risorgimento, mais dont la premièreremonte au Moyen-Âgepour donner une explication convaincante des principesde l’Église en face du pouvoir civil sous les différents régimes”. “Le termesocialismesignifie simplement que la Papauté a toujours cherché appui auprès des milieux populaires et que sa solidarité avec les Monarchies n’a été qu’une mesure de défense contre le protestantisme”. “La politique pontifical a bien été celle qui depuis Grégoire VII a entendu faire plier devant elle l’arrogance des empereurs germaniques”.

E ancora Vaussard nel 1972 aveva scritto, per reazione al suo allontanamento dalla direzione del “Corriere della Sera”, che Spadolini apparteneva “au cénacle littéraire et artistique toscan”, con la sua “bibliothèque privée d’une valeur documentaire inestimable”, e che, eletto nel Partito Repubblicano “qui se réclame toujours de Mazzini”, “c’est sous l’égide de ce grand idéaliste” qu’il sera “appelé à faire partie d’un cabinet de coalition”.

Ma nel governo di Moro di coalizione DC-PRI dal 1974 al 1976 Spadolini, a Capo del nuovo Ministero per i Beni Culturali (ancora senza portafoglio) s’ispira più che a Mazzini ancora alla Francia, ossia all’esempio precedente di Malraux neo Ministro della Cultura quando l’unificazione delle competenze a favore di questa erano state tolte agli altri Ministeri (Istruzione, Interno, ecc.). Anche in ciò, dunque, riprendendo una considerazione di Nobécourt del 1982, “cet érudit” est “porté par un grand dessein: marquer son temps à la suite des architectes du Risorgimento” (“c’est là le changement dont son oeuvre d’historien annonce l’ambition”).

Mitterand e Spadolini

Jean Musitelli, ex diplomatico a Roma dal 1981 al 1984 ed ex consigliere e portavoce di Mitterrand fino al 1995, ha intitolato nel 2004 “Le rénovateur des relations franco-italiennes” un capitolo di ricordi del Presidente francese (per la rispettiva Fondation), ma il titolo valeva pure per Spadolini poiché nelle stesse righe è scritto che l’intensificazione dei rapporti tra Parigi e Roma era ricominciata con la sua visita da Presidente del Consiglio all’Eliseo nel 1981. Mitterrand, intervistato prima dalla TV, aveva dichiarato di conoscere Spadolini già dai tempi in cui andava a Firenze senza la notorietà successiva, forse anche per studiare e scrivere su Lorenzo dei Medici, e Spadolini aveva poi confermato che aveva frequentato nel 1957/58 la Biblioteca Laurenziana nonostante fosse solo una personalità della Quarta Repubblica. A Mitterrand piaceva inoltre recarsi a Cortona, gemellata dal 1962 con Château-Chinon di cui è stato sindaco dal 1952 al 1981 (a Cortona aveva partecipato nel 1989 alla celebrazione del bicentenario della Rivoluzione francese).

Nell’intervista di Mitterrand erano presenti i primi cenni a un legame tra Parigi e Roma come controbilanciamento di quello tra Parigi e Bonn, e già di anticipo di quello nel Trattato del Quirinale del 2021: “Pourquoi n’irais-je pas travailler avec les dirigeants italiens des gros dossiers avec les ministres compétents? Pourquoi ne dépasserait-on pas le simple contact personnel pour avoir des échanges de vue groupés qui permettraient de montrer à l’Italiela considération dans laquelle je la tiens? Voilà de quelle façon je pense aller bientôt en Italie”. Infatti il “sommet” all’Eliseo (titolo de “Le Monde” del 19 novembre 1981: “Une nouvelle donnée franco-italienne”) era stato anche preparatorio della visita di Mitterrand con numerosi membri dell’Esecutivo a Roma nel 1982, alla fine della quale Spadolini era stato orgoglioso pure di dichiarare che c’era stato così il primo Consiglio dei Ministri italo francese (esempio di quello del 2020 a Napoli preparatorio, nonostante le crisi governative, del trattato del 2021), e alla fine della quale Mitterrand aveva detto: “Je suis heureux de vous accueillir aujourd’hui à l’Ambassade de France à l’issue de ces deux journées d’entretien qui ont permis aux plus hauts responsables italiens et français de souligner l’importance qu’ils entendaient redonner au dialogue entre Paris et Rome”.

E Mitterrand era stato poi sempre lieto di ricevere Spadolini anche come Presidente del Senato (1987-1994) all’Eliseo (1989 e 1993), quando la corrispondenza tra di loro era continuata con le congratulazioni ricevute dal Presidente francese: per la sua rielezione nel 1988: “in una trasmissione televisiva di pochi giorni prima ho formulato esplicitamente l’augurio che Ella vincesse, intromettendomi come Presidente del Senato negli affari interni della Francia…”; per la Laurea Honoris Causa all’Università di Bologna nel 1989: lettera al Rettore Roversi Monaco: “per suo tramite desidero esprimere a François Mitterrand l’omaggio del Senato”, “Nella cerimonia di oggi vive l’Università come simbolo di quella repubblica dei saggi di cui aveva parlato tante volte Voltaire”, che “era l’idea stessa dell’Europa e traeva … ispirazione dalla diffusione dei principî fondamentali del diritto come sinonimo della ragione umana”; e per l’esito del referendum in Francia sul trattato di Maastricht nel 1992: “Lei si è battuto per l’Europa come nessuno in Francia ha fatto finora”, “Mai come in questo momento gli italiani hanno sentito la loro sorte indissolubilmente legata a quella dei francesi”, “abbiamo salvato le vie dell’avvenire”.

Il governo Spadolini

Nel prestigio di questa carica c’era dunque ulteriore spazio per l’intellettuale (tra l’altro Direttore de “La Nuova Antologia” dal 1956 fino al decesso) anziché per il politico che dalle liti “delle comari” (come aveva definito la sua prima crisi di governo del 1982) e dalle altre in cui mantenendosi più filooccidentale che terzomondista in opposizione agli altri leaders, aveva difeso Comiso per l’installazione delle basi missilistiche e la missione militare di pace italiana in Libano (insieme a quella francese e alle altre occidentali), poiché “con l’acume dello studioso” e “l’intuizione dello statista” riteneva che ”la condizione dell’Italia come grande nazione democratica dell’Occidente non poteva prescindere dalla stabilità della sua collocazione internazionale” (come ha scritto nel 2008 lo storico, diplomatico e poi Accademico di Francia Maurizio Serra nella stessa “Nuova Antologia”). Aveva inoltre difeso il senso dello Stato simboleggiato dalla liberazione di Dozier dalle Brigate Rosse a Padova e dal sacrificio di Dalla Chiesa a Palermo nel 1982 (e aveva pure invertito la tendenza dell’inflazione dal 22% al 16%).  Solo l’esplicita solidarietà con l’Inghilterra nella guerra delle Malvine era mancata a causa della prudenza per gli italiani in Argentina.

Anche rispetto al periodo da Ministro della Difesa (1983-1987), quando le liti con Craxi (Presidente del Consiglio) e Andreotti (Ministro degli Esteri) si erano acuite nel 1985 con la crisi di Sigonella (e quando Mitterrand nel 1985 aveva dichiarato di voler distinguere tra i brigatisti “pentiti” e quelli “sanguinari” rifugiati in Francia), Spadolini da Presidente del Senato rimaneva dunque “homme politique sceptique mais historien toujours enthousiaste” (com’era stato ancora definito da “Le Monde” nel 1982): fino al punto da voler incontrare anche Pierre Pflimlin per farsi raccontare (invano) del colloquio segreto nel 1958 tra lui Presidente del Consiglio e de Gaulle suo successore alla fine della IV Repubblica;  e fino al punto da includere ne “Il mondo in bloc notes 1986-88” (ed. Longanesi 1988) Barre (Primo Ministro dal 1976 al 1981) oltre a Mitterrand.

Alla presentazione nel 1988 di questo a Cortina con Andreotti, dopo aver dichiarato di essergli grato del “grande sforzo” di “contenere la malizia”… concentrandola “essenzialmente verso la Compagnia di Gesù” ove “lo trovava solidale”…, aveva precisato che i “bloc notes” dell’allora Ministro degli Esteri erano una rubrica su un settimanale sui temi del giorno mentre quelli suoi avevano un “copyright” più vecchio, avendo egli anche ospitato da Direttore de “Il Resto del Carlino” (1953-1968) in questa formula Mauriac e Aron. Ai quali, tra i massimi intellettuali francesi nelle conoscenze di Spadolini, si aggiunge Jean-François Revel (legato a Firenze essendovi stato insegnante di Storia e Filosofia, editorialista e scrittore di lungo corso, Direttore de “L’Express” dal 1978 al 1981, considerato l’erede di Aron prima dei suoi oltranzismi), membro (dal 1997) dell’”Académie Française”, dove nel 1989 il Secrétaire Perpétuel Maurice Druon (altro scrittore e oratore “vulcanico”, Ministro della Cultura dal 1973 al 1974, per ambedue i motivi definito il Malraux di Pompidou) aveva ricevuto nella massima solennità Spadolini.

La cui “vulcanologia” culturale, se era allora favorita dalla stessa corpulenza fisica di Druon, non lo era allo stesso modo nei riguardi di Mitterrand, avendo egli scritto nel suo “bloc notes” in ammirazione del discorso di questi al Consiglio d’Europa del 1982 al quale aveva assistito, che “l’evidenza (vi diveniva) solenne senza che la solennità (divenisse) mai banale”.  Un riflesso di sé stesso? O (come ha scritto Giorgio La Malfa) un riflesso di un politico che avrebbe visto ancora più lontano se non vi fosse stato di mezzo sé stesso? O un riflesso di cultura medicea dalla Toscana alla Francia, divenuta comune a Spadolini e Mitterrand?

Lodovico Luciolli

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Lodovico Luciolli
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