Il nuovo articolo di Missione poesia di questo mese, si concentra sulla poesia di Carlo Alberto Sitta, in specie su un libro storico dell’autore, e ripubblicato recentemente: Il principe errante (Terra d’Ulivi edizioni, 2025). L’opera, molto complessa, di rara bellezza e compattezza, affronta diversi temi tra i quali prevalgono quelli dell’erranza e dell’amore, laddove il poeta diventa protagonista del viaggio che, ponendosi tra la vita e la morte, diventa un tema esistenziale e universale.
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Carlo Alberto Sitta è nato a Medolla, Modena, nel 1940. Ha praticato la poesia, inizialmente, attraverso una fase di scritture sperimentali, esemplificate da alcune opere quali IN/FINITO (Geiger, Torino, 1968); Magnetodrome (Agenzia, Parigi, 1971); Animazione (Geiger, Parma, 1974). Successivamente, in un recupero della scrittura in senso semantico, ha pubblicato: La sesta terra (Società di Poesia, Milano 1985); Il principe errante (Edizioni del Laboratorio, Modena, 1989); L’anima virtuale (Book Editore, Bologna, 2000); Museo degli astri (Edizioni del Laboratorio, Modena, 2006). Nel 2009 ha pubblicato una prosa di viaggio: India Minima – cronaca di un viaggio annunciato (NEM Editore). Nel 2017 ha firmato, per le Edizioni del Laboratorio, due volumi “gemelli”: “I generi e il gesto” e “L’età del gesto”, complementari in quanto ricostruiscono, documenti e cronaca, gli Anni della sperimentazione letteraria e artistica dagli Anni Sessanta. Sempre per le Edizioni del Laboratorio ha fondato e diretto la Rivista di poesia Steve (dal 1980). Per le Edizioni del Laboratorio ha fondato e diretto la Rivista di poesia Steve (dal 1980); la collana i “libri di Steve” (dal 1986); la Newsletter aperiodica Plurabelle (dal 2001).
Dal 1968 ha collaborato, fra le altre, alle storiche riviste “Il verri”, “Nuova Corrente”, “Il caffè”, “Carte Segrete”, “Uomini e idee”, “Periodo ipotetico”, “Cervo volante”, “La Corte”, “Change”, “Invisible City”, “Opus International”, “VH 101”, “Yale Italian Poetry” e altre. Negli Anni Settanta è stato redattore delle riviste “Tam Tam” e “L’Humidité”. Ha tradotto dal francese opere di Pierre Albert-Birot, Jean Tardieu, Jaques Henric, Patrick Boumard. Ha curato numerose antologie di poesia contemporanea, per le Edizioni del Laboratorio e altre Editrici. Ha organizzato, attraverso il Laboratorio di Poesia, diversi Convegni, fra cui: L’Orizzonte di bruma (luoghi del Novecento poetico in Emilia), curandone la pubblicazione degli Atti (Modena, Edizioni del Laboratorio, 2002); Il Governo della Poesia, 2004; Guanda, Delfini e la cultura modenese (2007). Ha fondato nel 1979 il Laboratorio di Poesia di Modena, di cui resta Presidente in carica. Nel 2024 ha vinto Riconoscere una storia ricevendo in premio, tra l’altro, la pubblicazione del libro Autobiografia di Mal Cantore edito da Terra d’Ulivi edizioni, per la stessa casa editrice è poi uscita, nel 2025, una riedizione de Il principe errante – Poesie dal 1985 al 1988.
Conosco Carlo Alberto Sitta da diversi anni, per averlo incontrato varie volte a Bologna, in occasione di eventi di poesia. Recentemente ci siamo avvicinati maggiormente, grazie all’editore Elio Scarciglia, che ha promosso alcune iniziative dove ha invitato autori da lui pubblicati, ed ho riletto alcuni suoi testi. L’ho sempre trovato una persona molto interessante, profonda nei contenuti e capace di incantare il pubblico con la sua voce, la sua gestualità, la sua attorialità innata. Felice di averlo ospite, per la prima volta, all’appuntamento di ottobre della rassegna Un thè con la poesia, a Bologna.
Il principe errante
Il Principe errante (poesie 1985 – 1988) di Carlo Alberto Sitta rivede la luce grazie a una ristampa dell’anno in corso a cura di Terra d’Ulivi edizioni, dopo una prima pubblicazione avvenuta per le Edizioni del Laboratorio, a Modena, nel 1989. L’opera, molto complessa, di rara bellezza e compattezza, si compone di un prologo e sei capitoli e affronta diversi temi tra i quali prevale quello dell’erranza, come si comprende dal titolo, ma anche quello dell’amore, forse di un’erranza d’amore stesso…
Da subito viene spontaneo chiedersi chi sia il Principe errante. Non certo il protagonista di una fiaba, se pure nel movimento continuo alla ricerca di sé stessi, in quel desiderio di attraversamento del liminare della vita, in quella possibilità di una crescita interiore a cui tutti tendiamo, anche una figura di tal genere potrebbe essere considerata adeguata, specie se ci viene sussurrata tra i versi che dicono: fino alla curva insenatura di blù//dove l’immagine che vai cercando/ti porta lontano con ali d’aereo/vola via dall’infanzia stregata. Ma il principe errante qui è da intendersi, invece, nella figura del poeta che, consapevole della transitorietà della condizione umana, trasforma attraverso le metafore e le immagini poetiche i passaggi dell’erranza stessa, dapprima riferiti solo a sé stesso e poi all’erranza del mondo, l’erranza che arriva sino ai nostri giorni. Vedremo come il tema accompagnerà anche la figura femminile che attraversa un po’ tutte le sezioni della raccolta: che si chiami Barbara, bella che torna, o che sia la sposa giovane e snella di Giobbe…
Ad ogni modo, questa tematica, è il nucleo fondante della seconda sezione del libro, dal titolo Nuvole di meringa, nella quale assume molto rilievo l’accostamento ideale di immagini quasi pittoriche di un paesaggio dove le nubi, i cirri, le nuvole sono, per la maggior parte, vicine ad una simbolica dolcezza definibile come gastronomica, o pasticcera che dir si voglia, appunto nominata nelle meringhe, ma anche nei canditi, nella glassa, nello zucchero, nella vaniglia, nella panna montata… e nella quale, ancora, vediamo quelle stesse nubi sciogliersi in pioggia, mentre i cirri assumono una natura quasi filacciosa, che sembra farci sognare, accompagnandoci tra profumi di sandalo, sentieri di fiumi, laghi ghiacciati in un intenso viaggiare dentro di noi/sipario sulle volute di fumo/che l’autunno ci alza/ma il silenzio/dei luoghi che amiamo ci strappa/di mano l’applauso.
Nella terza sezione del libro, La bella è arrivata, titolo che rappresenta la traduzione in italiano del nome Nefertiti, avvertiamo maggiormente la complessità della raccolta, complessità che non si basa certo sulla mancanza di nitidezza del linguaggio, che in effetti è assolutamente riscontrabile, quanto sulla volontà del poeta di presentarci un parlare erudito, potremmo dire per palati sopraffini, un parlare che si presenta difficile da capire a chi non ha la biblioteca o il vocabolario dell’autore, entrambi intrisi di cultura egizia, africana, di memorie del Macbeth… tanto per citare alcun riferimenti. La fortuna di un testo poetico, tuttavia, è data anche dalla sua possibile ambiguità, ovverosia dal fatto che puoi leggerci e vederci cose, anche senza conoscere tutto dell’autore e del suo percorso. Qui, ci sembra di poter affermare che, La bella che arriva (Nefertiti), porta con sé, soprattutto, da un punto di vista del suono una notevole cantabilità offerta dalla versificazione, mentre da un punto di vista del senso probabilmente porta l’amore, la solarità, la luce… del resto viene anche nominato, a un certo punto, in uno dei testi, il castello di Aton che è senz’altro una divinità solare, quasi a significare un risveglio del poeta che, nel suo percorso di erranza, passa dal canto del sole che lo porta dunque verso l’amore. Nella polifonia dei versi brevi, di sei/sette sillabe è facile quindi ripercorrere il cammino del poeta che giunge nella primavera di una storia avverata.
Nella sezione seguente, Ho alzato pareti di bambù, il poeta, da sempre appassionato anche di teatro, insiste sul concetto di recita, sul pensare all’esistenza come a un palcoscenico. La dimensione scenica aiuta così a costruire la morte, una morte dolce e bella che tenta di creare un legame con la poesia, attraverso la forza della parola e la sua funzione ma il poeta, come un figurante succube assiste alla morte del sapere, in un viaggio che è un ritornare partenza mentre di nuovo fa la sua inaspettata comparsa l’amore e forse si salvano le parole bambine come parole che occupano tutta la scena. Sul finale del libro compaiono memorie bibliche, tra le quali Giobbe in un racconto che ci riporta al Principe errante che, questa volta, è un principe rapito, allontanato dalla casa del padre, fatto schiavo in terre lontane… Una storia che va anche collocata temporalmente, come un po’ tutti gli scritti di quest’opera… nel ricordo di Ungaretti e di Palazzeschi che affrontano a loro volta, ad esempio, il tema della schiavitù, o della sottomissione in diverse opere.
Ma, resta il fatto che questo libro, di poesie datate in anni ben precisi, a noi sembra attualissimo vuoi per la modernità del linguaggio, vuoi per il canto che, pur nei riflessi del surrealismo, racconta comunque l’amore e il viaggio, il desiderio di riscatto e la paura, sentimenti che si riscoprono ancora una volta, universali e assolutamente contemporanei.
Alcuni testi da: Il principe errante
La tua voce flessibile avvampa
e sogna, è lingua figlia
del pianto, velo e volumi
che uguagliano la vibrazione
spenta tra crespe magnetiche
(la pastorale lanosa, cornice
che non sa, ora, il suo esito).
Ma il tuono veglia e ritarda
la festa incompiuta, il tuono
pungente sui vetri. Potessi
scompormi nei vortici, a tu
per tu nella mente che mi cerca.
*
Scrivo con la tua penna rosa la voce
che la sorpresa rischiara
levitazione dolce sul cotto di questa
riarsa campagna
e scrivo gli illimitati
vasi ricolmi e i festoni canditi
l’applicazione della terra e del cielo
per stivare il calore che cuoce
ti ho preparato le minime dosi
da raschiare nel crudo dell’ombra
*
La bella è arrivata
presente e viva
tesa come arpa.
Cede come flutto
alla chiglia.
Il giunco toccato
in volo da un’ala
di libellula piega
la fronte lucente.
Naviga un castello
Spinto da niente.
*
Non cambia l’intima radice
notturna della necessità,
né lo spessore del tempo
che a piacimento si allunga
in volute di fumo – o sono ombre
planate al suolo, incomprimibili,
fantasmi di pensieri che tornano
scacciapensieri?
Una sola stagione ci sta davanti
come una filastrocca – lo spirito –
e il rigore non chiede equivalenze.
*
Fa inaspettata comparsa l’amore.
E subito tutto si annulla, tutto
sparisce come neve sulla vampa,
tavoli sedie fondali e dialoghi
sordi in mezzo al bambù. Tu sola
dentro l’attesa infinita occupi
il nudo spazio presene. L’amore
si stacca da te come la vela dal
vento, come la traccia esclusiva
che assorbe l’ombra obbediente.
E il luogo non mi sembra più così
lucido la recita non intima quanto
vorrei stranamente fragile per dire
che tu sei qui. Ora so che vederti
e parlarti senza tremare e sentirmi
capace di dirlo è impossibile.
Bologna, ottobre 2025
Cinzia Demi
(Logo: foto di Raffaella Terribile)
P.S.: “MISSIONE POESIA” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi. Altri contributi e autori qui: https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/






































