Domenica 14 si vota in Italia per le primarie della Lega Nord (aperte solo ai soci e militanti leghisti), molti non lo sanno nemmeno e si fa fatica a capire perché l’informazione italiana non abbia dato nessuno spazio a questo evento importante per i futuri scenari italiani. Salvini contro Fava. La linea nazionalista contro le nostalgie federaliste e padane della “vecchia guardia”.
Nel silenzio pressoché totale dei media italiani (e ovviamente internazionali), domani la Lega Nord sceglierà il suo nuovo segretario attraverso le primarie. Ebbene si, le primarie in Italia le fanno solo il PD, largamente pubblicizzato e diffuso e la Lega Nord. Tutti gli altri a partire dal movimento di Grillo al partito di Berlusconi, non conoscono questo metodo democartico (in vero non conoscono neanche un più banale congresso) che in Europa è stato lanciato per primo proprio dal PD un tempo Ulivo.
E’ inspiegabile o forse spiegabilissimo, perché queste primarie siano passate cosi sotto silenzio. Non certo per l’esito, che appare scontato, ovvero la vittoria dell’attuale segretario Salvini, si diceva scontato anche l’esito delle primarie PD, eppure vi è stata comunque un’ampia copertura mediatica.
Eppure, queste primarie, qualunque sia l’esito, hanno rivelato l’esistenza di un’opposizione interna all’attuale leadership, una cosa che francamente è stata del tutto nascosta dalle Tv e dai giornali e ben poco se n’è parlato sui social. Anche questa è una cosa che non si spiega, specie riflettendo sul fatto che le minoranze PD, negli scorsi anni hanno avuto tempo e spazio per i loro contenuti almeno alla pari con la schiacciante maggioranza di Renzi. Va aggiunto, che la storia e i sondaggi riveleranno poi, a scissione avvenuta, che quelle minoranze davvero erano scarsamente rappresentative e seguite dagli italiani, malgrado le ore ed ore di estenuante informazione su di loro.
Ma veniamo a queste primarie nelle quali si giudica il nuovo corso di Salvini che, abbandonata ogni prospettiva federalista, per non parlare del secessionismo, ormai ampiamente nel dimenticatoio, è assolutamente impegnato su una linea sovranista, predicando una difesa dell’Italia e dei suoi interessi che vada almeno da Lampedusa alle Alpi. Nel tempo Salvini è diventato il campione del nazionalismo e non a caso il primo alleato in Europa di Madame Le Pen.
Il suo oppositore è Gianni Fava, che non è un Carneade qualunque, è assessore con Maroni nella regione Lombardia e soprattutto rappresenta la “vecchia guardia”, quella vicino a Bossi e a Maroni. Anche perché, grazia alla nostra informazione, attenta solo ad ogni virgola pronunciata dai tre partiti maggiori, pochi sanno che Salvini ha una forte base al suo fianco (un po’ come Renzi nel PD), ma molti avversari nei piani alti, dove la sua rivoluzione, con tanto di rottamazione dei protagonisti della prima ora leghista, non è stata mai digerita.
Per questo occorre spiegare un po’ cosa si propone Fava. In primo luogo il competitor di Salvini è tutt’altro che entusiasta della Le Pen, e in chiave nazionale, vorrebbe un partito che tornasse federalista e soprattutto nordista. Cosa ampiamente condivisa da Maroni e da quadri di partito come Gianluca Pini che parla di deriva autoritaria e di destra e di un Salvini come “novello Erdogan”.
Ritornare nordisti, moderati ed alleati con Forza Italia di Berlusconi. Una linea che contrasta duramente con la stagione di Salvini che spinge sui toni populisti, su un estremismo che sembra suscitare consensi in un’Italia sempre più irrazionale e lamentosa.
Un Salvini che fa a gare in populismo con Grillo e che non ci sta alla moderazione berlusconiana che in Francia si è tradotto in un maggior favore verso Macron che Le Pen.
Orbene, mai come ora gli antieuropeisti sembrano in difficoltà e questo potrebbe influire anche sulle primarie “silenziate’ della Lega.
Tra i bossiani c’è nostalgia dei fasti di un tempo, quando innanzi al crollo della prima repubblica e con i grandi partiti che andavano ricomponendosi in forme nuove, l’unica forza antisistema e popolare (ed a volte populista) era proprio quella Lega che si esprimeva nelle parole ruspanti, essenziali e finanche offensive di Bossi.
Era una Lega che per prima aveva capito che il mondo e la politica non potevano dividersi più in destra e sinistra. La Lega di Bossi, Calderoli, Formentini, Speroni, del cantautore Gipo Farassino e della Irene Pivetti, che giovanissima diverrà la presidente della Camera, ma anche del professore Miglio che non si poneva nelle classiche divisioni ideologiche, ponevano un tema di contrapposizione Roma/Milano, del nord sacrificato per l’assistenza ad un sud assistenzialista e cialtrone, evocando, per la prima volta, concretamente l’ambizione alla secessione della Padania dal resto di una Italia romanocentrica, arrivando a formare un parlamento padano che in verità funzionerà ben poco.
Dopo gli scandali e la difficile coabitazione con la destra di Fini e l’aspirazione centrista di Berlusconi, arrivo’ per la resurrezione di quel partito, che ormai sembrava alla fine dei suoi giorni, Salvini, il quale lascia perdere la vocazione federalista, che pure aveva molto influenzato tutto il quadro politico di quegli anni, conducendo la Lega su una deriva sempre più destrorsa.
Una scelta che ha allontanato una parte del suo popolo e anche dei suoi dirigenti, in primis l’attuale sindaco di Verona, Flavio Tosi, che non ha mai nascosto le sue idee progressiste e di dialogo con la sinistra, ma ha avvicinato un altro popolo quello che è insoddisfatto dalla burocrazia che affligge il paese, che avverte nella globalizzazione una minaccia alla propria storia e alle proprie tradizioni, che diffida delle regole e dello Stato, che guarda all’immigrato, al diverso con paura e sospetto.
Contro di lui Fava conduce una battaglia difficile che mira a riportare la destra in un alveo di maggiore moderatismo, che vorrebbe ricucire quel filo federale e che non crede ad una Lega che possa esprimersi egualmente nel sud Italia, tra quegli odiati terroni che insieme ai Baluba (i neri) di Milano erano puntualmente bersaglio dei sarcasmi dell’ala dura e pura quella di Calderoli, Borghezio a cui oggi si contrappone una classe dirigente, meno effervescente ed esplicita, ma tuttavia insidiosa e non priva di durezze, espressa dai vari Fedriga, Zaia (governatore del Veneto) che oggi sono alleati con le destre estreme di Fratelli d’Italia e Casa Pound, ma che guardano sempre alle mosse del cavaliere, ancora indispensabile per costruire un’alternativa di centrodestra nel Paese.
Nicola Guarino