Succede a Napoli, la città fantasiosa del sud, ma smemorata ed indifferente nel caos delle sue vie e dei suoi traffici. Si tratta della Biblioteca del già glorioso Istituto Italiano per gli Studi filosofici, considerato a suo tempo come una grande Accademia, simile a quelle di Londra, Vienna, San Pietroburgo… ecc, il cui presidente, l’avvocato Gerardo Marotta, nell’impossibilità di sostenerne le spese, viste che le risorse sono finite, s’è ridotto a vendere i suoi beni pur di cercare di salvare il salvabile. Ma intanto la biblioteca è alla deriva, l’Istituto sfrattato dalla sede storica.
Quando è stato inaugurato l’Istituto, nel 1975, voluto dal Presidente dell’Accademia dei Lincei, Enrico Cerulli, da Giovanni Pugliese Carratelli, direttore della Scuola Normale di Pisa e da Elena Croce, figlia del filosofo, l’avv. Marotta era stato scelto per dirigerlo, perché aveva le giuste competenze.
L’Istituto si è autofinanziato fino al 1987 e poi arrivarono finanziamenti pubblici della Cassa per il Mezzogiorno e della Regione Campania che coprirono il 50% del bilancio. Dopo di che fu delegato il Miur (Ministero della università e della ricerca) ed il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ad assumerne una parte del mantenimento. Ma i finanziamenti arrivarono a singhiozzo per via della crisi solo per qualche anno, per cessare poi del tutto.
L’avv. Marotta, rimasto solo, da allora ha rivolto appelli su appelli, per tentare di salvare la creatura che con tanto affetto gli era stata affidata. Elena Croce gli aveva ricordato, per invogliarlo ad accettare l’incarico, prima che fosse troppo tardi, la profezia di suo padre in Filosofia e Storiografia: « Quando le forze barbare prendono il sopravvento e distruggono le biblioteche e i grandi monumenti, gli uomini, vedendosi privati delle risorse per continuare le loro opere, devono rassegnarsi alla morte. » (Benedetto Croce)
Ed allora l’avvocato s’era convinto a divenire il difensore d’un baluardo così importante che potesse frenare la cupa visione del degrado.
Purtroppo questo «genocidio culturale», come lo definisce Gerardo Marotta, si è ora verificato ed un uomo solo non può impedirlo, nonostante la buona volontà ed una lotta titanica.
Vi sono stata diverse volte, in trasferta dal profondo sud, dove risiedo, e ricordo l’orgoglio con cui tutto l’entourage del luogo menzionava i successi dell’Istituto, il più grande del meridione e le numerose iniziative che non solo coinvolgevano i cittadini napoletani, ma pure attraevano visitatori d’ogni parte d’Italia e relatori di prima grandezza. Ho ascoltato entusiasmanti ed originali relazioni di grandi maestri e partecipato a mostre e convegni prestigiosi. Non m’importava la fatica! Visitare l’Istituto e soggiornarvi è stato come un gradito invito a recarsi ad una mensa variamente imbandita di tutti i grandi temi culturali, dalla Filosofia, in primis, alla Storia ed altri settori affini. Era bello pensare che ancora il Sud impartisse una cultura viva che aveva conservato intatta a mostrare lo splendore dei secoli passati ed il grande valore dell’innesto, nonostante tutto. Era come sognare ad occhi poi aperti e trovarsi a competere con le grandi intelligenze che avevano tante cose da insegnare e scoprire.
Ora tutto questo è finito o quasi! Neppure i libri sono rimasti più a testimoniare l’intensa attività. Sono stati raccolti e relegati in fondo ad un umido cantinato, destinati alla dispersione.
Trovo su “Lettura” del Corriere della Sera, del 1 maggio recente, la costatazione d’una fine così ingloriosa. Trecento mila volumi della biblioteca che era il vanto dell’Istituto, un patrimonio libraio stimato intorno ai dieci milioni di euro, sono allo sbando. Sono stati sfrattati dalla loro sede, il settecentesco Palazzo ducale Serra di Cassano, sulla collina di Pizzofalcone a Napoli, trasferiti in un capannone industriale di Casoria, nell’ex manicomio Bianchi e nell’Istituto professionale Colosimo per ciechi. Eppure sono testi preziosi, completi, ricercati dagli studiosi, ma inutili per il luogo in cui si trovano a non potere più essere consultati e protetti. Ma soprattutto il loro custode, l’avv. Marotta, vi appare come in gramaglie, con un cappello afflosciato ed un pastrano dentro il quale sembra navigare, afflitto e sconsolato. Accanto compare la sua camera da pranzo nella quale alcuni rari esemplari di libri appaiono fotografati accanto alle stoviglie che certo gli occorrono ogni giorno, ma non in un’allegra confusione, piuttosto in una malinconica resa.
Per concludere, è giusto forse smetterla, dato lo spreco delle risorse, con la frammentazione delle iniziative volontaristiche, che pure hanno servito bene il paese per il passato. È tempo di dare inizio invece ad una azione culturale autentica, seria e costantemente monitorata che ridistribuisca, in poli regionali d’interesse primario, l’entità di attrazione della conoscenza avanzata, salvaguardando la tradizione.
Gaetanina Sicari Ruffo
Da Reggio di Calabria
Alla deriva i libri dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli
Sono stato davvero scosso leggendo sul Corriere come alcuni italiani quale anch’io sono hanno accolto la ferale notizia dello « sfratto » della biblioteca che dovrebbe essere un vanto di tutti noi. Patetica ed angosciante la foto del suo ultimo custode… vi assicuro che mi vien,e voglia di piangere quando penso ai milioni che si sprecano in attività diverse (spettacoli di varietà, sport…) per non parlare degli scempi in materia di cultura ai quali dobbiamo assistere ogni giorno di più.
Perchè non organizziamo una lettera aperta al Ministro della Cultura, che ha mostrato anche recentemente di essere attento a questi temi? Facciamo circolare una richiesta e facciamola firmare da tutti, anche da chi non mostra tanta attenzione, come alcuni uomini politici…Diciamo loro che se rifiutano, noi non voteremo per loro e neppure per il loro partito.Forse sembrerà una specie di voto di scambio… « une fois n’est coutume! » come dicono qui a Bruxelles.