Esce con due nuovi libri Giancarlo Sissa, entrambi editi nel 2015. “Autoritratto” edito da Italic di Ancona, e “Persona minore” edito da Qudulibri di Bologna. In quest’articolo di Missione Poesia ci occuperemo del primo. “Autoritratto”, come testimonianza di esperienze che dalla giovinezza passano per le varie fasi della vita fino ad arrivare a quella attuale, dove si approfondiscono i temi dell’amore, del lavoro, degli ideali politici, degli ambienti che hanno lasciato un segno, degli amici e dei maestri di cui non ci potremo mai dimenticare. Il tutto attraverso un “legame musaico di parole”.
Nato a Mantova nel 1961, vive a Bologna. Curriculum già presente nel sito Altritaliani.
AUTORITRATTO
Autoritratto uscito nel 2015 per Italic Edizioni, è il titolo del nuovo libro di Giancarlo Sissa, autore di cui ci siamo già occupati in Missione Poesia, con un articolo in merito a Manuale d’insonnia (edito da Aragno nel 2004).
Il titolo del libro, come sempre nella produzione artistica di Sissa, è emblematico rispetto al suo contenuto e alle sue intenzioni. Infatti, pur trattandosi in realtà di una raccolta che va a incardinare al suo interno una sorta di auto-antologia, prendendo testi dai vari libri editi oltre ad presentarne alcuni inediti, l’autore preferisce utilizzare la parola Autoritratto, dando un valore aggiunto a tutta l’opera.
Il libro, in effetti, non solo individua il percorso poetico letterario di Sissa ma, ne traccia quasi i connotati fisici e interiori, gestualizzando con la continua ricerca di senso l’esigenza di un resoconto del proprio vissuto, e del proprio essere uomo e poeta in relazione col mondo.
Ora, benché buona parte di quello che scriviamo è autobiografica, o comunque mette in relazione la propria esperienza di vita con l’esperienza della poesia, perché un poeta dovrebbe decidere di scrivere e pubblicare un Autoritratto?
Me lo sono chiesto, analizzando il lavoro di Sissa e pensando anche a cosa fa/ha fatto la maggior parte dei poeti, arrivata a un certo punto della propria carriera. Se non è Autoritratto è appunto auto-antologia, è insieme di testi già editi e presentati nuovamente in antologie curate da altri, è necessità di raccogliere le idee intorno a quanto fatto, a quanto detto. Se poi aggiungiamo la voglia di provare a conoscersi meglio, a identificarsi con la propria opera, a capire quanto di riflesso questa ha inciso sul nostro essere – o viceversa – ecco che l’Autoritratto acquista un suo perché.
Nato come raffigurazione di sé nelle arti pittoriche e affermatosi in epoca medievale, per poi svilupparsi nel corso dei secoli attraverso varie forme stilistiche, il genere acquista un alto significato culturale nel momento in cui, la sensibilità umanista, centralizza la posizione dell’uomo, con tutte le sue sfumature possibili, rispetto al creato, andando a indagare la psiche del soggetto raffigurato, quindi di se stesso e, al tempo stesso, acquista un alto significato sociale in quanto, l’artista amplifica il proprio processo di emancipazione trasformando la mera funzione di artigiano avuta sino ad allora.
Nel ‘600 l’Autoritratto apparirà poi come un ulteriore mutamente della concezione dell’uomo, visto dagli artisti, come parte integrante di una realtà naturale più ampia e indagabile, anche da un punto di vista razionale: l’indagine psicologica e la riflessione autobiografica diverranno elementi drammaticamente centrali degli autoritratti, che sfoceranno in un ritorno alla narrazione settecentesca.
Il lungo cammino del genere, in fondo mai del tutto esaurito, si completerà con gli inizi del ‘900, periodo in cui l’Espressionismo raffigurerà maggiormente il tormento interiore, l’alienazione sociale, il racconto del periodo storico (Prima Guerra Mondiale) dove l’introspezione psicologica dei predecessori sarà maggiormente approfondita.
Insisto molto sul genere dell’Autoritratto perché è in questa dimensione, non solo pittorica ma anche poetico-letteraria, racchiusa nel titolo del libro, nella quale io credo si possa e si debba trovare la sua chiave di lettura. Se pensiamo, infatti, ad un autore come Rimbaud – certo amato da Sissa, così come tutta la “poesia maledetta” – che scrive nella sua Lettera a Paul Demeny da Charleville, il 15 maggio del 1871, (in Opere, a cura di D. Grange Fiori, edito da Mondadori nel 1975) l’espressione, argomentandone il significato, Poiché io è un altro, divenuta ormai riferimento per indicare il processo di autoanalisi e di ricerca della propria identità, possiamo anche immaginare come interpretare l’opera in questione. Certo, su un livello poetico dove la poesia acquista la voce dell’autore che porta la sua visione su se stesso e sul mondo con cui si relaziona ma, anche e soprattutto, sul livello interiore dell’autore dove la lacerazione, il doppio che è in ognuno, porta alla scoperta dell’inconscio.
E’ in questo scarto che nasce per Rimbaud così come per Baudelaire, e in misura analoga per Sissa, il linguaggio che porta la poesia, tra simbolismi e immagini, tra regole e sregolatezze, a diventare visionaria, di una visionarietà oltremodo consapevole.
Autoritratto dunque come consapevolezza e visionarietà di essere protagonisti delle nostre vicende, e di quelle dell’universo, attraverso la complessità che questo comporta, specie nell’uso della parola poetica. Ma, Autoritratto, come dicevamo all’inizio, anche come indizio di fisicità dualistica alla moda di Sandro Penna, all’insegna del narcisismo montaliano – nel ritratto che si fece fare da Guttuso -, alla rappresentazione di un ego ebbro e traballante di Dario Bellezza ricordato in abbigliamento bohémien da Elio Pecora, in una biografia dell’autore (Attorno a questo mio corpo. Ritratti e autoritratti degli scrittori della letteratura italiana, a cura di L. Pacelli, M.F. Papi e F. Pietrangeli, Hacca edizioni).
Autoritratto, infine, come testimonianza di esperienze che dalla giovinezza passano per le varie fasi della vita fino ad arrivare a quella attuale, dove si approfondiscono i temi dell’amore, del lavoro, degli ideali politici, degli ambienti che hanno lasciato un segno, degli amici e dei maestri di cui non ci potremo mai dimenticare. Il tutto prodotto attraverso un timbro musicale e ritmico che scandisce la versificazione, restituendo alla poesia una delle sue caratteristiche primordiali, quella del suono che si fa musica anche attraverso il legame delle parole (Dante parlava di poesia come di un legame musaico di parole).
Per concludere, possiamo dire che, la familiarità con cui Sissa compone con tanto garbo e raffinatezza, ricreando incantamenti musicali, non è solo data dal buon orecchio di cui è dotato ma, si completa dalla frequentazione di quei padri poetici – di cui si riconoscono le impronte nei testi – quali Giudici, Benzoni, Caproni, Saba e che hanno “musicato” con il ritmo dei loro versi buona parte della poesia italiana.
Autoritratto: alcuni testi
Abisso
Quello che mi interessa è l’abisso
iniziale, non quello definitivo, quello
.qualcuno lo chiama paradiso, io sto
.nel vortice dell’ombra invece
che ruzzola a un buio vento
.le foglie sul ciglio della statale
.e in silenzio ascolto il nostro male
– questa notte vorrei sognare
immobile l’aratro della morte
non avere conosciuto vino mai
o diversa sorte, resuscitare
.una pianticella di fagioli
seminata da bambino –
*****
E l’avessi avuto io
un sergente d’educatore
che con atti mi dicesse
non soffrire non scordare
quel mattino di nebbia e sole
il primo in bicicletta
e lieto d’una tristezza
che asciuga le parole
– età stupida – la chiamano
quell’immenso dolore
– o adolescenza – che si trascina
poi la vita in assurda convalescenza
*****
Potrei dirvi che mi manca il bere
Potrei dirvi che mi manca il bere
il sapore di certi liquori almeno
ma in realtà vi dico
quando mi sveglio è mattino
e non inferno e nella noia
mi alleno, non mi maledico,
pedalo in bicicletta, non freno
la mia voglia d’inverno, ma senza fretta,
e di lavoro non voglio parlare proprio,
sono poco produttivo, bensì veglio
copio, trascrivo l’eresia del nulla, mi provo
vivo, durante lente passeggiate stremo
nauseato il furore del passato – mi invento
una culla di foglie e poesia con la sosta
– senza comprare – in libreria
non ingabbio più il desiderare
lo chiamo adesso e posso quasi
confessare che mi manca
abbastanza spesso e dunque sì
qualche volta anche il bere quando,
più spesso nel buio che s’annuncia,
so di non sapere…
*****
Pont Neuf
E cosa importa si porti vino
a un tavolo dove non se ne beve
solo lettere scriviamo e malaccorte
ma vere come il bere del mattino
o nebbia la nebbia che si porta
altrove le parole – ma lo fa piano –
come a notte la tua mano cioè
quel posto dove riposo e amo
e solo lettere scriviamo e malaccorte
– o notte – ma le scriviamo forte
così a lungo io t’ho aspettata
fino al che saremo un’altra cosa
o quella semplice che non sappiamo
– carezza senza morte – sul Pont Neuf
la luce nella neve era rosa
******
Baciata
(dal breve poemetto dedicato a Giovanni Giudici)
V
O ripida maestra di parola
che a notte spalanchi le finestre
e di fola in fola (rivivi?)
la rima distesa a un diverso prima
da nuovi spalti chi ci racconta cosa?
e dove gli amici ad altro intenti ma
senilmente senza rosa eppure attenti
al minimo svolio delle loro traditrici?
parola accesa sul pianeta minima
vittoria o grande resa e di nessuno
sposa ma amante vilipesa e cancellata
nel dorso di una moneta cosa chiedi
ancora a chi troppo ti ha baciata?
Cinzia Demi
Bologna, ottobre 2015